Dopo i recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto la rete nostrana avanza la proposta di Legge n. 3139 in discussione domani
Era il 20 maggio del 2015 e il Senato della Repubblica approvava questa proposta di Legge circa la tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. L’8 settembre di quest’anno, le commissioni permanenti II e e XII, rispettivamente Giustizia e Affari Sociali, hanno deliberato di riferire favorevolmente sulla legge, che prevede una serie di iniziative specifiche, tra cui quella della deputata Marzano e dei vari Santerini, Fauttilli, Sberna. E’ la legge che serve per evitare casi come quelli della ragazza suicida dopo i video pubblicati in rete dai 4 conoscenti? Secondo qualcuno no.
Cosa succede
Come scrive BoingBoing, quella che si prospetta in Italia è la più “stupida censura nella storia dell’Europa“. Perché? “La legge non fermerà il bullismo, la molestia o il cosiddetto revenge porn. La maggioranza dei servizi che gli italiani usano non sono stanziati nei limiti della nazione e quelli che attualmente prevedono uffici lì, potrebbero semplicemente spostarli altrove per evitare sanzioni”. Il motivo è che, stando alla proposta 3139, la commissione specifica potrebbe obbligare siti web, personali e appartenenti ad agenzie media, social network e giornali, a censurare certi contenuti che si presuppone violino “condizioni sociali e personali” delle vittime. Nel calderone non andrebbero dunque a finire solo evidenti atti di prevaricazione della propria persona ma tutto ciò che un individuo può considerare lesivo e a suo danno. Per evitare tutto ciò, chi ha un business digitale in Italia, che preveda una qualsiasi forma di “user generated content“, avrebbe tutto l’interesse nello spostarsi all’estero, dato che la legge vale per chi ha server locali. Il deputato Stefano Quintarelli ha proposto qualcosa di diverso, un emendamento che rende la proposta più consona a uno stato di diritto: la ricezione di un avviso di censura, da parte del gestore di un sito web, non aprirebbe le strade a una multa immediata, che nell’ottica dei fautori originali potrebbe arrivare anche a 100.000 euro, ma avvierebbe una causa civile, qualora l’interessato non voglia rispondere positivamente all’invito di cancellazione delle informazioni oggetto dell’analisi. Il Parlamento risponderà domani alle interrogazioni sul testo.