Alla tavola rotonda dedicata alla commerce revolution, che fa seguito al fortunato evento sull’e-payment, emergono molte tematiche importanti e tantissimi spunti di tecnologia e piattaforma. Il messaggio forte è che non ha più senso parlare di e-Commerce come di un “canale” separato: integrazione e disintermediazione sono le nuove modalità di approccio di un “info-Commerce”, dove tutto può diventare relazione e acquisto
I chief information officer ospitati alle tavole rotonde organizzate da Data Manager e UniCredit tornano a discutere di transazioni economiche digitali dopo il fortunato evento già dedicato quest’anno al tema degli strumenti di pagamento online. Questa volta viene affrontato in senso più ampio il tema del commercio elettronico che, al di là dei valori in gioco (secondo Netcomm, il fatturato globale calcolato su beni e servizi acquistati online raggiungerà nel 2016 una cifra di 2640 miliardi di dollari, equivalente al 7% dell’intero mercato delle vendite retail), assume con estrema rapidità una dimensione nuova. Una dimensione che va oltre il pur fondamentale momento dello scambio commerciale, del passaggio di uno specifico valore monetario dalle mani dell’acquirente al venditore, da chi ordina a chi eroga un determinato servizio. Tra i catalizzatori tecnologici di questo allargamento del contesto c’è sicuramente anche Blockchain, il registro elettronico “totalizzante”, che rivoluziona il concetto di denaro ma anche quello di testimonianza, di rappresentanza, di titolarità. Una tecnologia ormai consolidata e sicura, che si adatta in modo flessibile a ogni forma di contrattualità, a partire per l’appunto da quella forma di “contratto” che è il passaggio di contante.
Le questioni sollevate dal moltiplicarsi delle transazioni elettroniche e dalla evoluzione in chiave digitale del mondo del retail e della distribuzione sono praticamente infinite. Come emerso anche dalla prima tavola dedicata alla questione, ci sono ancora tanti requisiti, anche normativi, da attuare per rendere fluidi e naturali strumenti come i pagamenti mobili contactless, i micropagamenti per l’acquisto dei beni meno impegnativi, come il giornale, il caffè, il biglietto del tram. La commerce revolution, per riprendere il titolo di questa conversazione, è un fenomeno che va di pari passo con la profonda trasformazione dei canali e le modalità di vendita in una sempre più complessa miscela di fisicità e “digitalità”; dei sistemi di distribuzione e logistica; delle strategie di ingaggio, fidelizzazione, stimolo dei consumatori. Anche qui la tecnologia rende possibile una grande flessibilità, riduce le barriere di accesso ai nuovi entranti e ai brand cross-industry, abilita la ridefinizione quasi istantanea del ruolo di retailer, delle relazioni tra produttori, rivenditori, catene, provider di piattaforme e sistemi di pagamento e gli stessi clienti finali, ancora più autonomi – sempre grazie alla tecnologia – sia nelle loro decisioni sia nella capacità di acquisto “disintermediata” rispetto agli operatori tradizionali. Con tanta carne al fuoco e una atmosfera pre-estiva, più rilassata del solito, la tavola rotonda sulla “rivoluzione” del commercio digitale ha avuto grande successo e, insieme al suo prodromo di qualche mese fa, dedicato in quella occasione ai sistemi di e-payment, vince un nuovo primato di vivacità per gli eventi targati Data Manager/UniCredit. Per il relatore di questo resoconto il compito è impegnativo ma anche molto istruttivo, perché gli spunti di riflessione sono davvero tanti, e notizie e dati forniti sono di prim’ordine. Al punto da far venir voglia di rovesciare il tradizionale impianto dei nostri resoconti, anticipando subito alcune delle conclusioni raggiunte durante la discussione alla quale hanno preso parte: Fabio Dibenedetto, head of Credit Card Networks di UniCredit Business Integrated Solutions; Francesco Tornatore, head of Digital & Partnerships di American Express; Alice Morrone, Digital Marketing e e-Commerce manager di Bricoman; Luca Bechelli, membro del direttivo e del comitato tecnico scientifico di Clusit; Fabrizio Alberton, CIO di F.lli Branca Distillerie; Giulio Finzi, segretario generale di Netcomm; Enrico Fili, head of e-Commerce & New Digital Business di RCS; e Alessandro La Rocca, head of the organizational structure Innovation Plans and Sales Integration – Strategic Planning Head Office di Trenitalia.
SINTESI DELLE CONCLUSIONI
- La distinzione tra e-Commerce e canali fisici ha definitivamente perso senso. Come ha efficacemente dimostrato Giulio Finzi di Netcomm, il consumatore decide online i suoi acquisti in negozio e trova in negozio nuovi spunti per gli acquisti online.
- Il vero divario tra i due mondi – come illustrano gli interventi di Alice Morrone di Bricoman e Giulio Finzi – è la logistica, direttamente verso l’indirizzo del consumatore o verso i “concentratori” dei punti per il ritiro (pick-up) “fai da te”. I punti di riferimento in materia sono Amazon e, in prospettiva, Ali Baba.
- Il predominio di PayPal è ingombrante, lato merchant, per i costi delle commissioni e l’inadeguato livello dei servizi di assistenza/implementazione offerti ai webmaster. L’obiettivo in Italia dovrebbe essere quello di un brand federato, ma finora le iniziative stile MyBank hanno deluso le aspettative.
- Per le banche italiane, secondo la testimonianza di Fabio Dibenedetto di UniCredit Business Integrated Solutions, è il momento dei wallet che concentrano, sempre più spesso direttamente su app mobili, molteplici strumenti di pagamento, moltiplicando le opportunità di relazione e vendita B2C ma anche il trasferimento di somme di denaro tra privati (P2P). Il problema è ancora una volta quello della ridondanza e dell’affollamento.
- Si avverte sempre più marcata la problematica della gestione delle identità e della ownership digitale del cliente. C’è un grande potenziale nascosto – avvertono Alessandro La Rocca di Trenitalia, Francesco Tornatore di American Express e Enrico Fili di RCS – nella possibilità di scambiare tra diversi merchant i dati relativi a uno stesso cliente con i suoi comportamenti d’acquisto. Ma le barriere sono di carattere normativo e burocratico più che tecnologico.
- La nascita di nuove metriche e provider di dati come Factual, o le Google in-store activity legate al servizio AdWords, fino alle nuove forme di pubblicità real-time (Facebook, Criteo) può diventare, complice la multicanalità, un forte moltiplicatore di business. Ma rappresenta una grandissima sfida a livello di privacy, sicurezza, invasività, esplorata con acutezza dall’analisi di Luca Bechelli di Clusit sulle nuove normative e sulla tutela dei dati personali.
- Nuove piattaforme, accordi, strumenti di fidelizzazione originati direttamente dai brand, e non solo dalle insegne della GDO, permettono di bilanciare la forza contrattuale di queste ultime, offrendo ai brand più spazio di movimento, come sottolinea Fabrizio Alberton di F.lli Branca Distillerie
- Nell’era della trasformazione digitale, esistono ancora interi territori fisici del tutto non presidiati. Secondo Enrico Fili di RCS, le edicole italiane sono un importante snodo di attività commerciali quasi completamente non tracciate.
Infine, tra i tanti fattori di attrito e resistenza, vengono citati l’uso ancora eccessivo del contante rispetto alla moneta elettronica e, lato azienda, la difficoltà di coinvolgimento del top management, e una progettualità che spesso e volentieri si muove su scale di tempi eccessivamente lunghi per un mercato ormai popolato da “predatori” tattici e opportunistici. Sulla lentezza di movimento, specie delle organizzazioni più grandi, pesa la brillante definizione riportata da Alice Morrone di Bricoman, il cosiddetto «complesso del tornello», che trasforma i decisori aziendali, bravissimi a servirsi delle tecnologie fuori dai confini delle loro imprese, a esercitare un assurdo scetticismo nei confronti di qualsiasi iniziativa tecnologica sperimentata da queste ultime.
Nelle slide introduttive firmate Netcomm, il consorzio di 200 e più aziende che da oltre dieci anni promuove in Italia e, nel contesto internazionale, per conto dell’Italia, una corretta misurazione del retail digitale e le buone pratiche di settore, si evidenzia un trend in costante aumento per tutti i parametri riconducibile all’acquisto di beni attraverso Internet. Al primo posto nel mondo, per fatturati riferiti ad acquisti online, riferisce Giulio Finzi, compare, senza troppe sorprese, la Cina, con un fatturato di 700 miliardi di dollari. «Oggi, in Cina comprano online 400 milioni di cittadini, gli Stati Uniti e il Regno Unito sono il secondo e terzo mercato». Secondo i dati dell’Osservatorio sul commercio elettronico Netcomm/Politecnico di Milano, l’Italia viaggia intorno ai 18 miliardi, con una previsione per il 2016 che supera la soglia dei 19 miliardi. Ma a dispetto dei venti di disgregazione scatenati dal referendum sul Brexit, il dato Europeo è molto confortante, secondo Finzi. Con un fatturato a livello continentale di 510 miliardi di euro per il 2016, l’Europa conta circa 300 milioni di e-shoppers su un totale di oltre mezzo miliardo. Perché sono importanti questi due numeri? «Perché – fa notare Finzi – la gran parte di quel mezzo miliardo di persone anche quando effettua offline i suoi acquisti utilizza le informazioni reperite online. Quello dell’integrazione dei canali è un tema assolutamente centrale».
QUAL È LA SITUAZIONE DELL’ITALIA?
Le percentuali online sul totale degli acquisti ci avvicinano purtroppo alle economie dei paesi dell’Est, dove la penetrazione di Internet è inferiore a quella italiana. Se la media europea sulle percentuali di acquisti online dichiarate dalle aziende è del 13,7%, la media italiana è sicuramente inferiore e si attesta nei dintorni del 5%, riconosce Finzi. Considerando che il numero di acquirenti online si attesta invece su 19 milioni di persone (con un raddoppio rispetto ai numeri di cinque anni prima), che rappresentano nell’insieme oltre il 55% delle famiglie, le responsabilità del ritardo italiano nei volumi del commercio online pesano in misura maggiore sulla scarsa reattività delle aziende, ancora troppo timide nell’affrontare una realtà dai potenziali molto elevati.
Parlando di settori merceologici, Finzi sottolinea il primato che, accanto a una industria del turismo e dei viaggi ormai quasi completamente digitalizzata, la categoria Elettronica e informatica continua a mostrare con i volumi generati (circa 2,79 miliardi con un aumento del 22% sul 2015). Subito dopo l’elettronica, il gradimento dei compratori online si rivolge verso i capi e gli accessori di abbigliamento, che generano un fatturato online di 1,8 miliardi (+25% sul 2015). «La categoria del food and grocery resta molto piccola, considerando che il 20% del bilancio di spesa dei consumatori italiani va in alimentari. Sulla spesa totale online, il food rappresenta appena lo 0,3%» – osserva Finzi. «E questo significa che c’è uno spazio enorme per questi prodotti». Un potenziale di cui Amazon ha già cominciato a rendersi conto, lanciando su aree come Milano il suo programma di consegne in giornata, Prime Now. «In questo momento, le grandi catene di supermarket italiane hanno più paura di Amazon che dei loro tradizionali concorrenti» – dichiara Finzi, citando alcune startup del comparto alimentare che in questo momento stanno imponendo in Italia modelli interessanti, oltre alla classica delivery di cibi pronti effettuata da Just Eat o Deliveroo: per esempio la consegna a domicilio di ingredienti freschi e già pronti da utilizzare per la realizzazione di ricette “home made” proposta da una startup incubata da Digital Magics chiamata Quomi.
GLI STRUMENTI DI PAGAMENTO
La discussione intorno al tavolo si accende quando Finzi di Netcomm affronta la questione degli strumenti di pagamento utilizzati dai consumatori online italiani. I dati raccolti da Netcomm in collaborazione con l’Osservatorio sull’e-Commerce del Politecnico di Milano si riferiscono alle dichiarazioni su un apposito panel di duemila individui rappresentativi e dicono che PayPal è lo strumento più diffuso, con una popolarità superiore al 36%, seguito dalle carte prepagate (23,8% di diffusione) e dalle carte di credito con pagamenti sul sito. Subisce un calo piuttosto rapido (dimezzati i valori in tre anni), il pagamento che avviene in contanti alla consegna, una formula ormai scesa sotto la soglia del 5% degli acquisti. Particolarmente interessanti sono gli spunti offerti dalle ricerche che Netcomm commissiona a società come Net Retail e Human Highway per studiare il comportamento dei consumatori nella sfera di quello che Finzi ama definire info-Commerce. «Persino il termine multicanalità è superato, ne parlano le aziende ma non certo i consumatori, che vedono ormai perfettamente integrato il mondo degli acquisti offline e online». Infatti, secondo le ultime ricerche qualitative, il 72% della base di 19 milioni di smartphone connessi in rete ha cercato in negozio un prodotto che era già stato visto online. E viceversa il 45% di questa base rivela di aver cercato online informazioni sui prodotti osservati sugli scaffali dei punti vendita fisici. L’invito alle aziende è chiaro: occorre superare distinzioni troppo rigide, assicurando la massima uniformità e continuità possibile nell’esperienza vissuta sul web e nel mondo fisico; adattandosi però in modo fluido alle specificità della situazione o del device utilizzato. Anche in questo senso, conlude Finzi, Netcomm svolge una regolare attività di promozione e formazione, mirata allo sviluppo di best practice anche nella user interface dei siti commerciali. L’associazione rilascia per esempio un “bollino qualità” che tiene conto di una ottantina di parametri che contraddistinguono le vetrine dei bravi esercenti online.
EXPERIENCE E USABILITÀ
Per Alice Morrone di Bricoman, che interviene a questo proposito, l’idea del bollino è valida, anche se i costi per ottenerlo sono molto elevati. La catena Bricoman (uno dei quattro brand, insieme a Bricocenter, Leroy Merlin e Zodio, del gruppo multinazionale francese Adeo), è specializzata nella vendita di materiali per edili, falegnami e altri artigiani: una versione “per partite IVA” dei negozi per bricolage. Con sedici punti vendita in Italia, solo recentemente Bricoman ha aperto un canale di e-Commerce, che tuttavia impone all’acquirente una spesa minima di 250 euro per la consegna a domicilio, registrando una soglia di fatturato online molto bassa (intorno al 3%). Nel corso dei suoi interventi, la Morrone individua diversi punti critici, a partire dall’eccessivo peso che PayPal ha assunto in Italia, con le sue commissioni molto elevate e la propensione a tutelare l’acquirente finale in caso di disputa sulle transazioni. Insieme a diversi altri colleghi seduti al tavolo, la responsabile digitale di Bricoman si interroga sullo scarso successo avuto sinora da sperimentazioni italiane di natura consortile, come MyBank. E confessa di nutrire nei confronti del famoso brand americano dei pagamenti online un rapporto di amore-odio. «I consumatori dimostrano di avere una doppia natura. Chi conosce PayPal paga solo con quello, ma molti altri non lo conoscono e spesso non sono a conoscenza di tutte le possibilità. Inoltre, fa poca comunicazione agli utenti finali e non offre alcun supporto a noi webmaster. Il mio sogno è una alternativa italiana». La Morrone sembra concordare con i giudizi espressi da Netcomm sui ritardi accumulati dalle aziende che dominano nel retail. Lo stesso gruppo Adeo pianifica con estrema prudenza le proprie strategie online, adottando tempistiche di rilascio che forse sono poco adeguate al contesto. Per esempio, Bricoman non offre al momento una app mobile per effettuare gli acquisti e neppure una versione mobile del sito web, due evoluzioni previste solo in futuro. Meno temuta, invece, la concorrenza di Amazon. «La tipologia di prodotti venduti rappresenta un incubo sul piano della logistica, in Italia non c’è ancora modo di consegnare tempestivamente un bancale di cemento. Personalmente però, temo l’arrivo in europa di concorrenti come la cinese Ali Baba».
LA RISPOSTA DELLE BANCHE
Come risponde il sistema bancario italiano alle sollecitazioni della Morrone sul quasi-monopolio di PayPal? Per Fabio Dibenedetto di UniCredit Business Integrated Solutions, i problemi non riguardano la tecnologia, la praticità o la sicurezza. «Si tratta di una questione di percezione da parte dei consumatori. UniCredit è appena uscita con il suo nuovo wallet per smartphone, Monhey, in esclusiva per i suoi correntisti. È legato al conto corrente, per cui non si devono neppure registrare le carte di credito possedute, nel momento in cui fai un acquisto sul telefono appare immediatamente la transazione da autorizzare, cosa che si può fare anche senza password, con l’impronta digitale». Molte altre banche stanno sviluppando prodotti analoghi, ma – riconosce Dibenedetto – le transazioni misurate sono ancora poche, evidentemente le varie soluzioni sono troppo recenti per essere percepite». Probabilmente, l’abbondanza di soluzioni non gioca a favore di quell’alternativa “federata”, comune a tutte le banche, che sembra essere auspicata dai merchant. Così come un marchio comune come MyBank forse non è considerato abbastanza semplice e immediato come «il formidabile strumento di disintermediazione» – nella definizione di Luca Bechelli di Clusit – che è diventato PayPal. Semplicità, sicurezza, tutela e servizio al cliente sono le qualità fondanti dell’esperienza American Express, aggiunge dal canto suo Francesco Tornatore. «Con o senza la plastica – sostiene l’head of Digital del grande circuito di carte di credito – sono le stesse esperienze che cerchiamo di replicare anche nel mondo digitale».
LA TRASFORMAZIONE DI TRENITALIA
Alessandro La Rocca interviene sia sul tema della possibile concorrenza italiana a PayPal, sia sull’evidente gap di attività che penalizza l’Italia rispetto ad altre nazioni europee. «Il problema – spiega il responsabile delle innovazioni in Trenitalia – è che l’e-Commerce non è nato da aziende tradizionali che si sono affacciate su questa nuova realtà, rivisitando dalla A alla Z l’intera strategia di attenzione al cliente, inclusa la parte digitale». L’esperienza del grande vettore ferroviario nazionale è indicativa in tal senso. Nella sua primissima fase, quasi 15 anni fa, la biglietteria online di Trenitalia “staccava” meno di settanta titoli di viaggio al giorno. «Oggi, su cinque miliardi, tre dei quali riferibili a contratti con le Regioni per il trasporto locale, e due miliardi incassati dai viaggiatori, più della metà sono generati dal sito di e-Commerce». Una trasformazione legata a una profonda rivisitazione della strategia multicanale di Trenitalia, sottolinea La Rocca. Una strategia che prosegue man mano che Trenitalia diventerà un attore primario anche nel trasporto nazionale su gomma e nel trasporto pubblico urbano. «Sulla parte pagamenti, anche con l’aiuto di UniCredit, stiamo cercando di fare in modo che tutte le nostre società federate possano usare un unico mezzo di pagamento, un wallet interoperabile sotto il brand Cartafreccia, con quattro tecnologie diverse: il chip, il contactless, la banda magnetica e un QR Code personalizzato».
INTEGRAZIONE TRA MONDO FISICO E DIGITALE
Di integrazione e opportunità d’acquisto tra mondo fisico e digitale, e di conversioni di azioni di marketing digitale in acquisti reali hanno discusso ampiamente, nei loro interventi, Alice Morrone di Bricoman ed Enrico Fili, capo dell’e-Commerce e new digital business di RCS Media Group. La responsabile del marketing digitale di Bricoman ha citato il servizio sperimentale di Google, lamentando tuttavia il fatto che dai test di questo servizio sono escluse, in Italia, le catene che non superano i trenta punti vendita. Sfruttando la tracciabilità geografica dei dispositivi mobili, il servizio collegato alla piattaforma AdWords – racconta Alice Morrone – permette al webmaster di stabilire una correlazione attendibile tra i click-through sui banner pubblicitari e la presenza del consumatore nei negozi fisici dell’inserzionista. «Riusciamo a fare qualcosa di simile con Factual, una piattaforma che raccoglie dati di presenza dei consumatori nei negozi dei tuoi concorrenti e permette di visualizzare la tua pubblicità verso i consumatori che hanno visitato un tuo competitor».
La pubblicità mobile mirata e l’interazione tra attività di e-Commerce e presenza fisica dei consumatori sono del resto al centro delle strategie new media del gruppo RCS. «Abbiamo messo a punto una piattaforma di data management che ci permette di gestire in modo molto avanzato i cookie che vengono memorizzati in funzione delle attività dei navigatori sulle nostre properties online» – racconta Fili. In collaborazione con l’italiana Beintoo concorrente di Factual, RCS riesce a proporre i suoi banner in modo estremamente mirato, correlando le informazioni geografiche che arrivano dai terminali registrati nei database di Beintoo. Il gruppo editoriale ha investito anche in una società, Quibee, specializzata nelle applicazioni marketing della tecnologia dei beacon, i minuscoli ripetitori digitali che permettono di marcare digitalmente gli spazi fisici. «Tra i vari esempi, con Quibee possiamo offrire la lettura online dei nostri quotidiani e periodici ai passeggeri delle navi da crociera Moby, ottenendo dei tassi di conversione molto elevati».
Un altro argomento proposto da Fili desta curiosità e interesse. In Italia esiste una rete di punti vendita ancora sostanzialmente immune dall’ondata di digitalizzazione, ma che potrebbe facilmente diventare un grande laboratorio di sperimentazione e di implementazione di nuove modalità di retail. «L’edicola è il principale canale di distribuzione, ma di questo canale non conosciamo nulla, non sappiamo chi siano gli utenti, non conosciamo i flussi di contanti o cambi-merce, considerando che il giornale che leggete al bar viene pagato con il caffé. I micropagamenti e il tracciamento delle attività che passano per questa catena di quasi ventimila punti vendita potrebbero trasformarsi in una miniera d’oro» – conclude Fili. Anche per il possibile aggancio con il tema dei mercati etnici: la proprietà delle edicole passa in misura crescente nelle mani di esercenti extracomunitari, un segmento demografico che utilizza pesantemente i device e le connessioni a Internet mobili.
DISINTERMEDIAZIONE E FIDELIZZAZIONE
Il tentativo di inserirsi nel contesto di un mercato al dettaglio sempre più informatizzato e integrato muove da ambiti diversi dei tradizionali operatori della GDO e dei player finanziari. La disintermediazione piace molto anche ai brand manifatturieri, come dimostra la storia recente di Fratelli Branca, proprietaria di un brand storico del segmento delle bevande alcoliche. Il CIO, Fabrizio Alberton, recente acquisto della distilleria milanese dopo decenni di servizio in ambito consulting, illustra il caso della sperimentazione con un circuito di fidelizzazione espressamente finalizzato a ridurre gli effetti del forte peso contrattuale che la Grande distribuzione finisce per avere nei confronti dei prodotti ospitati sui propri scaffali. Utilizzata direttamente dai brand l’applicazione è la classica fidelity card che premia i suoi utilizzatori con sconti e “charge back” piccole somme di denaro direttamente riversate sul “conto” del titolare. «Branca – afferma Alberton – ha aderito un anno e mezzo fa all’iniziativa, cercando di ottenere l’esclusiva nella categoria “Amari, China, Fernet”, che rappresenta il 95% del fatturato. Elemento chiave dell’applicazione è la possibilità di disporre di preziose informazioni sulle abitudini di acquisto dei consumatori». L’azienda, aggiunge Alberton, proseguirà in questa stessa direzione, cercando in particolare di sviluppare sistemi basati sulla geolocalizzazione. «Se il 60% delle nostre vendite avviene in ambito GDO, rimane pur sempre una grossa quota di amaro consumato nei bar» – precisa il CIO di Branca. Un altro universo di cui si sa molto poco dal punto di vista dell’info-Commerce.
MARKETING E PRIVACY
Geolocalizzazione e tracciamento sono termini molto frequenti nel corso della discussione, e un intervento di Luca Bechelli, membro del direttivo e del comitato tecnico scientifico di Clusit è praticamente obbligato. Sollecitato da un dibattito in cui gli stessi responsabili tecnologici non esitano a dichiarare il loro disagio nei confronti di un marketing online sempre più invasivo, ma temendo d’altra parte l’effetto frenante delle normative a tutela della privacy – l’esperto riporta alcune preziose considerazioni sulle nuove regole europee in materia. «Intanto, si tratta di un regolamento, non di una direttiva, per cui entra in vigore direttamente, senza bisogno di essere recepita dai singoli stati membri. Ed è una normativa molto più “matura”, perché non impone misure minime». La protezione della privacy, spiega Bechelli, parte da una accurata analisi dei rischi e suggerisce di applicare solo misure proporzionate alle situazioni e alle dimensioni dei player. Anche a livello di sanzioni e multe, risulterebbe molto attenuata la componente penale e le contravvenzioni di natura pecuniaria vengono finalmente proporzionate ai fatturati di chi viene multato.
Foto di Gabriele Sandrini