Nel 1976, l’Italia agricola sotto la spinta della ricostruzione e del boom economico entrava nel G7. Oggi, a quarant’anni di distanza, un anno dopo l’Esposizione Universale di Milano, chi siamo e dove stiamo andando? La sfida più grande è costruire il domani, senza però scambiare visione e miraggio, partendo dai fatti per evitare di cadere nella retorica delle sorti positive dello spirito italico o di indulgere nel disfattismo.
Infrastrutture, crescita, spesa pubblica improduttiva, illegalità, burocrazia, tassazione, lavoro sono gli ostacoli che frenano lo sviluppo del Paese e la competitività. Tutte le imprese sono imprese tecnologiche. La rivoluzione dei dati abilita nuovi modelli di business, cambia il modo di vendere, acquistare e prestare denaro, con un impatto sulla sicurezza, la finanza e la privacy come la intendiamo oggi. Ma questo basterà per trasferire il patrimonio di conoscenza dal taschino al cervello?
Quarant’anni di innovazione in Italia come hanno cambiato il volto del Paese? I protagonisti di ieri hanno fatto la storia dell’ICT, non senza errori. Gli attori di oggi si trovano ad affrontare la sfida della Trasformazione Digitale. Gli interpreti di domani interpretano il cambiamento. In quarant’anni, le imprese hanno sperimentato, innovato, fatto passi avanti e gestito cambiamenti epocali. La tecnologia è empowerment. Serve a ridurre le differenze che creano squilibrio. C’è l’innovazione di “moda” e c’è l’innovazione che rilancia il saper fare delle imprese da Nord a Sud. C’è l’innovazione che non ti aspetti, silenziosa e normale, che fa funzionare meglio le imprese, rendendole più competitive e capaci di reagire ai cambiamenti del mercato. L’innovazione è fonte di prosperità, ma non si può sviluppare in un ambiente culturalmente povero.
La tecnologia come finanza non è neutra. La tecnologia crea, trasforma e distrugge. La complessità mette insieme le variabili del lavoro, dell’energia, dell’ambiente e dell’informazione, in una nuova equazione difficile da risolvere. Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione industriale e dobbiamo esercitare la virtù della resilienza. Ma non tutte le resistenze sono positive. Lo sanno bene le nostre imprese migliori, ma non lo sa ancora il Paese.
Eppure, ce la possiamo fare perché l’Italia può ancora disegnare un nuovo percorso di sviluppo. Perché l’Italia ha un patrimonio artistico e di intelligenza unici al mondo. Perché è nel nostro DNA vincere in contesti poco favorevoli. Perché abbiamo perso il treno della componentistica, (vi ricordate Valletta che sosteneva che la Divisione Elettronica di Olivetti fosse un “neo da estirpare”?), ma siamo ancora “forti” sulla service integration. Perché siamo tra i primi integratori di robotica nel mondo. Perché l’Italia resta ancora il secondo paese manifatturiero in Europa e il quinto al mondo. Perché le nostre università formano i cervelli che fanno crescere il PIL del mondo. E perché, le imprese italiane che competono nel mondo – pur facendo i conti ogni giorno con la burocrazia insensata, i costi energetici più alti d’Europa, la legislazione pasticciata e l’illegalità diffusa – sono imprese competitive al cubo.
Per tutte queste ragioni, dedichiamo questo numero speciale di Data Manager a voi che sapete innovare, cambiando modo di pensare prima di sostituire il software. A voi che decidete, ma non vi affidate alla fortuna e non aspettate che le cose cambino da sole. A voi che sapete ascoltare. A voi che andate veloci senza perdere di vista l’obiettivo e anche a voi che aspettate il momento giusto. A voi che lasciate il comando per mantenere il controllo. A voi che parlate chiaro e giocate secondo le regole. A voi che fate le domande giuste, senza accontentarvi delle solite risposte. E a voi che guardate avanti, immaginando il futuro.
Agli imprenditori che non si chiedono come sarà il futuro, ma lo costruiscono, giorno dopo giorno. Ai dirigenti delle aziende pubbliche che non sono tutti uguali. Ai CIO che hanno lasciato il camice bianco e hanno imparato a guardare il mondo con occhi nuovi, intercettando opportunità e calcolando i rischi. Ai direttori delle HR che credono nell’eccellenza e nel talento delle persone. Ai direttori marketing che hanno messo il cliente al centro. Ai CFO che tengono i conti in ordine. Ai partner che lavorano gomito a gomito con le aziende sul territorio. Ai CEO che credono nell’innovazione e investono per trasformare le loro aziende.
Alle imprese, piccole medie e grandi che hanno il Made in Italy nel sangue e che usano la tecnologia per dare alla ricerca e allo sviluppo strumenti più potenti per migliorare i prodotti e i servizi, per usare l’energia in modo più intelligente, per aumentare la produttività e ridurre gli sprechi, per costruire città a misura d’uomo.
La vostra immagine riflessa in copertina è il simbolo di questa caparbia, tenace voglia di innovazione, che non si arresta nonostante tutto. Siete voi il vero motore del cambiamento e per questo siete “forti”, anzi fortissimi. E siamo “forty” anche noi, che da 40 anni raccontiamo tutto questo.