Le case discografiche accusano Google di non stare facendo abbastanza contro la pirateria online nonostante tutti i suoi proclami
Google afferma di aver fatto enormi passi avanti nel combattere la pirateria online ma le etichette discografiche non sono propriamente d’accordo. Ieri Big G ha presentato un report in cui illustrava il successo di Content ID, uno strumento che consente di individuare in automatico i contenuti diffusi violandone il copyright. Questa tecnologia consente ai detentori di diritto d’autore non solo di cancellare i file pirata ma anche di ottenere un guadagno da essi. La BPI, l’associazione che raccoglie i maggiori discografici britannici, e l’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) ritengono però che Google non stia facendo abbastanza.
Secondo il mondo della musica, Google è ancora “uno dei fattori chiave che rendono possibile la pirateria mondiale”. Il suo motore di ricerca rimane il mezzo più comodo e utilizzato per trovare contenuti illeciti in Rete. Inoltre, Big G è convinta che Content ID sia praticamente infallibile mentre i discografici affermano che nel 40% dei casi non identifica correttamente la musica protetta da copyright. Il report di Google sulla pirateria sarebbe quindi solo un modo per dare un’immagine di correttezza e trasparenza in vista del rinnovo degli accordi con i discografici. “Youtube è un business costruito sulla musica, ma non paga un prezzo adeguato”, concludono quest’ultimi. Google, che deve vedersela con nuove accuse dell’Ue per abuso di posizione dominante, ritiene invece che Youtube non è pensato per la ricerca di brani musicali e quindi ogni profitto generato da esso è un surplus di guadagno da sommare a quello generato da piattaforme di distribuzione come Google Play Music o Spotify, che nel frattempo ha caccusato Apple di favorire i suoi servizi a discapito dei concorrenti.