Siete pronti per il Green?

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Data center, smart working, printing, office e building automation. È possibile un’informatica capace di venire incontro ai problemi energetici, climatici, ambientali? La risposta è sì. E l’efficientamento serve anche alla digital transformation

La pressione ambientale sui settori di industria “energivori”, maggiormente responsabili sulla produzione di gas serra, cresce. La moderna informatica dei data center è chiamata, insieme alle reti fisse e mobili degli operatori di TLC, a moltiplicare gli sforzi di contenimento del fatidico rapporto tra potenza di calcolo impegnata e consumi energetici. Per le imprese che possiedono e gestiscono data center, reti e hardware infrastrutturale, in generale questo rapporto si traduce in una maggiore o minore spesa e una maggiore efficienza energetica va a tutto vantaggio della cosiddetta “bottom line”, spesso alla pari con altre misure di efficientamento e riduzione dei costi. L’energia, anche in base a precise normative sull’energy management, deve però diventare più verde attraverso l’intero complesso di attività dell’azienda, in tutti i suoi uffici e facilities. Non solo riducendo i consumi riferiti ai dispositivi esterni al data center, in primo luogo le stampanti, ma intervenendo anche sul problema dell’impatto ambientale di materiali cartacei, plastica e consumabili inquinanti. Un obiettivo che tra l’altro moltiplica le opportunità di chi sviluppa e commercializza soluzioni di building automation e per questa ragione rientra a pieno titolo tra le tematiche affrontate dall’IoT. In prospettiva, questa è una necessità che va oltre l’emergenza “global warning” e può contribuire a un ulteriore rilancio dell’innovazione e della crescita.

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Data Manager ha invitato un panel di aziende (Bennet, Carrefour, CRIF, Epson, IDC, Schneider Electric, UniCredit) a confrontarsi sulle misure di efficientamento e riduzione dei costi della spesa energetica, sul rapporto tra efficienza energetica e informatica, sul ruolo della nuova figura dell’energy manager, sul peso della voce energia all’interno del bilancio di responsabilità sociale come importante strumento di awareness, reputation e, in ultima analisi, competitività sul mercato.

Smart energy e Green IT

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NUOVE MODALITÀ DI DELIVERY E CONSUMO DELL’IT

La tavola rotonda inizia con un intervento di scenario curato da IDC Italia. Secondo Sergio Patano, research & consulting manager, l’ingresso nell’era della Terza Piattaforma – dopo una prima fase caratterizzata dalla dicotomia mainframe/terminale, con sistemi di calcolo di grandi dimensioni gestiti da una ristretta cerchia di tecnici, e la seconda determinata dall’avvento di Internet e dal moltiplicarsi di utenti e dispositivi – ha dato luogo a un’informatica ancora più pervasiva, che poggiando sui quattro pilastri del cloud computing, big data/analytics, social business e mobilità dà luogo a un’infinita varietà di applicazioni rese possibili da quelli che IDC, come sottolinea Patano, chiama «acceleratori di innovazione». Si tratta di realtà aumentata, stampa tridimensionale, robotica avanzata, calcolo cognitivo, intelligenza artificiale, «applicazioni che stravolgono il modo di “fare” business e le modalità di delivery e consumo dell’information technology».

Una evoluzione, ricorda Patano, che si ripercuote inevitabilmente sul data center, sulle capacità di calcolo e storage erogate e, di conseguenza, sui consumi, in termini di potenza elettrica consumata e raffreddamento del calore generato. Solo guardando alle stime sulle informazioni generate, c’è da restare senza fiato. IDC calcola che nei prossimi anni, si arriverà a generare quasi sette terabyte di dati per persona al giorno. «Le previsioni dei miei colleghi internazionali dicono che si verificherà un disallineamento tra le esigenze energetiche delle aziende e capacità di erogazione da parte dei provider. Il rischio è che si arrivi a soglie di utilizzo inferiori al 75%, e quindi un quarto del data center non sarà utilizzabile per l’impossibilità di alimentarlo adeguatamente». A fronte di un tale rischio, saranno vitali le strategie che ottimizzano l’uso delle risorse di calcolo e migliorano il livello di efficienza dell’energia consumata. A parità di kilowattora consumato, il data center dovrà dare di più.

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IL GREEN DATA CENTER È PIÙ COOL

«Le aziende devono rivalutare il disegno del power and cooling dei loro data center e ottimizzare la spesa in capex e opex, ottenendo un corretto bilanciamento». Quanto pesa l’energia sui costi complessivi di un data center, tra infrastruttura, personale e facility? Dalle indagini effettuate da IDC, le tre voci – spiega Patano – sono più o meno analoghe, ciascuna vale un terzo della spesa complessiva. Nel dettaglio, alla voce “facility” corrisponde un 10% per il costo della struttura e il 25% per quello dell’energia. In apparenza, il fabbisogno energetico appare percentualmente in calo. «Non bisogna farsi trarre in inganno» – avverte l’analista di IDC. «Più del 50% delle aziende dichiara che i costi operativi sono in aumento». Mancano, aggiunge Patano, gli incentivi per lo sviluppo di politiche di efficientamento energetico, perché molto spesso l’energia consumata non viene iscritta nel budget IT. Eppure, per le ragioni prima illustrate, la trasformazione digitale del business, basata sulla flessibilità di infrastrutture sempre più virtualizzate, condurrà inevitabilmente ad avere un approccio diverso al consumo di energia, tanto nella sua componente “di calcolo”, che nella parte di raffreddamento e condizionamento.

Patano invita ad applicare al data center una visione ancora più olistica. «Esattamente come lo sviluppo delle infrastrutture iperconvergenti fa guardare alle componenti in ferro come a un unico pool di risorse, anche il data center deve essere visto come un ecosistema, guardando all’intera facility, magari sfruttando gli analytics per fare analisi in real time e studi predittivi». Secondo la visione di IDC, in conclusione, per una corretta gestione, sono fondamentali le soluzioni di data center infrastructure management, dove aspetti di facility convergono con quelli di IT. Non solo. Quando si parla di risparmio energetico – aggiunge Patano – non bisogna trascurare argomenti come l’output management. «Il costo delle infrastrutture di stampa delle aziende è un vero e proprio buco nero della gestione aziendale». La responsabilità non è necessariamente dell’azienda o dei vendor di questo settore. Nelle grandi organizzazioni spesso è solo una questione di eccessiva focalizzazione proprio sul data center, un «elefante che gira nell’azienda», lo definisce Patano. Nel corso degli ultimi anni, ben poca attenzione è stata posta sulle inefficienze delle infrastrutture di stampa, che spesso non sono rinnovate. «I dati IDC evidenziano che, così come per il mondo server anche per il printing, il passaggio a nuove macchine può portare al risparmio di un terzo sui consumi e di un quinto su materiali consumabili come i toner. Senza contare l’abbattimento dello spreco di carta dovuto alle vecchie meccaniche in cui i fogli tendono a incepparsi, i cali di produttività, i costi e le risorse impegnate in manutenzione». L’argomento green IT, conclude Sergio Patano, si può articolare in mille modi, fino ad abbracciare l’automazione e l’intelligenza degli edifici, e gli ulteriori ritorni di immagine di politiche di responsabilità sociale che includano una precisa strategia di tutela ambientale.

UNICREDIT, EFFICIENZA DALLA BUONA GESTIONE

Il successivo confronto intorno al tavolo ha visto i contributi dei rappresentanti del mondo finanziario e della grande distribuzione organizzata (GDO) accanto ai punti di vista di due provider di soluzioni infrastrutturali per data center e printing. La discussione si apre con Enrico Fumi, responsabile Construction & Facility Management di UniCredit Business Integrated Solutions. Fumi ha illustrato l’approccio molto personalizzato che l’organizzazione di insourcing del Gruppo UniCredit adotta nei confronti della gestione dei consumi energetici. In tale modello operativo – spiega Fumi – infrastrutture elettriche e meccaniche sono sotto la responsabilità del Real Estate. «Facciamo tuttavia parte di una società unica, e quindi le occasioni di collaborazione con la parte IT rientrano nella mission aziendale». Sui temi toccati da Patano e le strategie di efficientamento energetico dei data center, ricorda ancora Fumi, è impossibile tracciare un quadro ben definito perché in questo momento UniCredit sta affrontando una importante e delicata fase di consolidamento dei suoi data center, che da quattro distribuiti tra Italia e le nazioni centroeuropee in cui il Gruppo è presente, diventeranno due, localizzati nella provincia di Verona. Fumi afferma di riconoscersi nella clusterizzazione dei costi energetici delineata da IDC, con un 10% dell’energia consumata dal data center e tutto il resto da quella che Fumi definisce la «rete di facility e infrastruttura di agenzia e i sistemi elettrici». Sono due ambiti, sottolinea il responsabile real estate, dove non si può efficientare nello stesso modo. «Le modalità di approccio al problema del risparmio nel data center, ha soluzioni, prospettive e anche metodologie di analisi che sono molto diverse da quelle della rete, dove non è possibile applicare un unico approccio perché ciascuna soluzione individuata deve trovare riscontro con la realtà delle diverse architetture impiantistiche.

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L’ELEFANTE IN NEGOZIO E L’ESERCITO DELLE FORMICHE

Dal datacenter all’office e building automation. Come dall’elefante all’esercito delle formiche. Oltre il data center e la rete, nei grandi edifici come la sede centrale di UniCredit in piazza Gae Aulenti a Milano, che ospita anche la nostra tavola rotonda, le problematiche sono simili. Il Real Estate di UniCredit – sottolinea Fumi – segue il principio per cui, per quanta tecnologia di smart building si possa utilizzare, i risparmi energetici più significativi si ottengono dalla riduzione e dall’ottimizzazione degli spazi occupati. «Qui possiamo introdurre elementi di riflessione legati alle nuove tecnologie di smart working, la soluzione attraverso la quale non metto a disposizione cento postazioni per cento operatori, ma ne riservo 80, o addirittura anche 50 o 40, in caso di attività meno stanziali».

Tornando al famoso elefante nel negozio, il data center, le strategie di efficientamento e risparmio sono quelle che passano per i sistemi di raffreddamento convenzionali, direttamente sulle piastre di mainframe e server, o dove le situazioni climatiche e i sistemi da raffreddare lo consentano, le nuove modalità di “free cooling” con aria o liquidi. «Dove non sia possibile mettere in campo queste tecnologie – continua Fumi – bisogna far leva su una buona soluzione progettuale della parte fluidodinamica. Rispetto al passato, rilevo dai miei colleghi della parte IT, una maggiore disponibilità ad accettare un grado maggiore di complessità forse perché oggi gli aspetti energetici sono visti in un’ottica di business continuity. Sono soluzioni complicate dal punto di vista della struttura impiantistica, e noi cerchiamo sempre un bilanciamento tra complessità impiantistica, rischi derivanti dalla continuità operativa e soluzioni da mettere in campo».

CRIF, SUL GREEN SI GIOCA D’ANTICIPO

Di dimensioni molto più piccole, rispetto a UniCredit, CRIF è un service provider che offre informazioni creditizie e tutta una serie di servizi informativi B2B e B2C. L’azienda bolognese è rappresentata da Carlo Romagnoli, senior director Distributed IT Operations. Indubbiamente, osserva Romagnoli, la trasformazione digitale mette sul piatto tendenze e situazioni nuove, esigenze tecnologiche e di business che non esistevano anche solo cinque o sei anni fa. «Ci viene chiesto di utilizzare tecniche di attivazione e produzione di servizi informatici completamente diverse rispetto al passato». Ma come si sposa tutto questo con l’efficienza energetica, si chiede Romagnoli? In via diretta ancora poco, nel senso che ai responsabili del business, ironizza Romagnoli, non interessa se l’informatica consuma 100 o 150 kilowattora, fatto salvo accorgersi solo a cose fatte di aver speso molto di più. «A mio parere, è più un problema indiretto. Come responsabile dei sistemi informatici, devo essere io a preoccuparmi dell’efficienza energetica, e non solo per una questione di etica ambientalista». L’attenzione posta sui temi dell’efficienza energetica e dei consumi impone nell’informatico, secondo Romagnoli, una grande disponibilità “ex ante”, un’apertura mentale nei confronti di investimenti in impianti e metodologie che consentano un rapido adeguamento alle richieste del business o ai mutamenti normativi. «Se ho un problema a livello di facility o mi dicono che da domani non devo più consumare cento ma ottanta o settanta, i miei tempi di reazione devono essere diversi. Devo muovermi prima, facendomi seguire dal business finché è possibile, ma con la consapevolezza che se il mio data center non è in condizioni di efficienza energetica, potrei trovarmi in serie difficoltà fra tre o quattro anni». Anche per Romagnoli il tema dell’efficienza e quello della business continuity sono inevitabilmente intrecciati, con il primo al servizio del secondo. «In un business in cui l’informazione è assolutamente critica, la mia priorità è non fermarmi. Per questo sono disposto ad accettare, per esempio, un gruppo di continuità che assorbe uno o due kilowatt in più». Ma il nuovo data center Tier 4 di cui CRIF si sta dotando proprio ai fini della massima disponibilità dei servizi, rispetterà comunque – sottolinea Romagnoli – determinati coefficienti energetici e lavorerà a livelli di rapporto potenza di calcolo/energia molto sfidanti.

SCHNEIDER ELECTRIC, LA MISURA È GIUSTA

Per rispondere alle diverse esigenze di un’informatica disposta a consumare di meno ma non a scapito della potenza e della continuità operativa, non resta che digitalizzare l’energia. Lo afferma Vincenzo Spagnoletti di Schneider Electric nel suo ruolo di responsabile delle attività Data Center Secure Power e IT Partners Sales IT Business, riferendosi a tutti gli obiettivi di efficientamento energetico nel data center, ma prima ancora nelle industrie, nella GDO e nelle reti di filiali. «L’energia dev’essere digitalizzata, e quindi per prima cosa la devo misurare. Il processo passa dalla misura, fino a sfruttare al massimo l’automazione del software, perché se non passo per l’automazione, costruendo un percorso circolare, legato alla IoT e all’analytics, di verifica, di ottimizzazione, e poi ancora di nuove misure in modo ciclico, difficilmente riuscirò a centrare i miei obiettivi di efficienza sia nel data center sia in un impianto industriale o nello smart building».

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Vincenzo Spagnoletti di Schneider Italia, visione integrata del data center

vincenzo spagnoletti schneider

Nel corso della discussione viene evocato molto spesso il parametro del power usage effectiveness (PUE), la misura dell’efficienza dell’energia che alimenta e raffredda i computer, ma è un parametro che secondo Spagnoletti diventa sempre “più stretto” perché riguarda solo l’infrastruttura fisica. «Il sistema di “power and cooling” è sì al servizio dell’informatica, ma all’interno del data center è parte integrante di una infrastruttura che è IT e che ha un unico obiettivo e missione: far funzionare le applicazioni con la resilienza, la business continuity, la ridondanza e così via». Se non si lega il PUE a un parametro percentuale di efficienza dell’informatica stessa della parte computazionale non si ottiene un quadro sufficientemente completo di come sta funzionando il mio data center. Dobbiamo insomma metterci nella condizione di rendere più efficienti le infrastrutture IT e le infrastrutture fisiche, il power and cooling, il server, lo storage, il cloud ibrido. «Il vantaggio che deriva quando tutto viene efficientato in modo parallelo, condiviso, non è doppio o triplo, ma esponenziale. Basta ragionare non più in ottica di silos, di componenti separate, ma di integrazione». La grande differenza rispetto al passato, prosegue Spagnoletti, non risiede soltanto nelle nuove tecnologie e modalità di progettazione, o nella maggiore efficienza della nuova generazione di processori e server, sta anche nell’incredibile base di conoscenze acquisite con progetti come l’Open Compute Project di Facebook e più in generale con la creazione dei grandi data center delle Internet company e degli operatori del cloud pubblico. «Esistono anche consorzi e iniziative open che evangelizzano, mettono a fattor comune le best practice, così come codici di condotta a livello europeo e mondiale» – conclude Spagnoletti, lasciando intuire come di fatto siamo entrati in una nuova era di sapienza gestionale delle moderne fabbriche dei bit.

CARREFOUR, ENERGY MANAGEMENT SCELTA TRASVERSALE

Intervenendo sull’innovativa funzione dell’energy manager, Alfio Fontana, che riveste questo ruolo in Carrefour Italia (rispondendo indirettamente al CFO), cerca di inquadrare il tema dell’efficientamento nel contesto della GDO, dove gli impianti di refrigeramento e cottura tipici delle catene alimentari assumono un peso molto rilevante, accanto all’informatica. Impianti che come i server, devono funzionare in modo ottimizzato e senza sosta. «La GDO in Italia consuma 12 terawatthora all’anno, il 4% dei consumi nazionali. Solo noi di Carrefour ne consumiamo 500 milioni di kilowattora e facciamo parte di quel gruppo di attività energivore che comporta anche precisi obblighi di legge». Fontana non concorda con l’idea che l’efficienza energetica sia un obiettivo “indiretto” rispetto al business, o che la figura dell’energy manager debba necessariamente prendere una delle due parti. «Nella nostra realtà, ma credo in tantissime altre – spiega Fontana – è anzi una funzione davvero trasversale che si occupa di energia per quanto attiene sia al procurement sia alla gestione dei consumi in ogni ambito di business. Per me ridurre il volume di kilowattora consumati è fondamentale perché l’incidenza della voce energia sulla cifra d’affari è importante: in Carrefour sicuramente tra le prime tre voci di spesa».

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Forse, riconosce Fontana, anche nella GDO in passato certi aspetti venivano trascurati e l’efficienza energetica non rientrava tra gli obiettivi strategici. «Poi abbiamo cominciato a introdurre il concetto di Life Cycle Assessment: quando realizziamo un negozio, acquistiamo un forno o sostituiamo un impianto di condizionamento, calcoliamo il costo di quell’impianto “cradle to the grave”, producendo risultati molto interessanti». Nelle decisioni di acquisto, afferma Fontana, il prezzo è un fattore non così determinante. «Cento euro risparmiati possono avere un impatto negativo sull’intero ciclo di vita e tradursi in costi di manutenzione e smaltimento assai superiori». Tutte riflessioni, conclude l’energy manager di Carrefour, che hanno spinto la catena di supermercati a dotarsi di sofisticati sistemi di controllo dei consumi e ad autoapplicare una vera e propria “carbon-tax” interna, con l’obiettivo di ridurre del 70% entro il 2050 l’impronta di CO2 dell’azienda. Fontana sottolinea inoltre l’importanza dei bilanci di responsabilità sociale, oggi sempre più utilizzati anche dalle agenzie di rating per valutare la solidità delle aziende ed è un convinto fautore dei processi di certificazione in materia energetica, in particolare della normativa ISO 50001, come strumento per acquisire il corretto mindset nella gestione energetica.

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L’intervento di Alfio Fontana provoca un’interessante risposta da parte di Enrico Fumi di UniCredit Business Integrated Solution, il quale oltre a specificare come UniCredit ha fissato un obiettivo di riduzione dell’80% delle emissioni di CO2 entro il 2030, sul tema dell’energy manager torna a ribadire che il gruppo bancario preferisce optare per una gestione più corale e collaborativa della questione energia, coordinandola attraverso le funzioni Real Estate. «Quando diciamo che l’efficientamento si fa al novanta per cento fuori dal data center – afferma Fumi – e che quindi la partita si gioca quasi tutta nell’ambito della gestione operativa e manutentiva, in altre parole, nel far funzionare bene gli impianti e meno sulle politiche di investimento, è anche perché le strategie di una banca, con la sua forte componente immateriale, sono molto diverse da quelle di un grande operatore retail».

EPSON, TRE ANNI DI STAMPA MESSI NEL SACCO

Ci si avvia alla conclusione del confronto con le considerazioni proposte da Cristiano Vignati, Corporate & Public Administration manager di Epson Italia. Al “pachiderma-data center”, Vignati contrappone l’esercito di formiche costituito dalle periferiche di stampa e dispositivi multifunzione, un insieme spesso trascurato, sul piano dei consumi, in ambito sia domestico sia professionale. «Mi fa piacere leggere i dati IDC sulle politiche di riduzione della spesa energetica e dei materiali di consumo che portano a contrazioni del 20-30%. In Epson dal 2008, abbiamo sposato anche per uso professionale la tecnologia di stampa inkjet, che porta a riduzioni del 95% in termini energetici, senza compromessi di qualità e affidabilità». Vignati presenta i risultati di una ricerca indipendente, svolta in Italia in ambito PA, dove il Comune di Padova, con le sue 500 stampanti, è riuscito ad abbattere di 100mila euro la spesa complessiva delle proprie necessità di output calcolata nei tre anni di ammortamento dei nuovi dispositivi multifunzione. Sono questi i risultati ottenibili quando si comincia a ragionare non solo dal punto di vista di tecnologie meno impattanti, ma in un’ottica più generale di total cost of ownership e ciclo di vita dei prodotti.

In questo senso, l’ultima rivoluzione annunciata in casa Epson va a toccare i costi – solitamente nascosti – del trasporto, stoccaggio e smaltimento delle cartucce di inchiostro. Infatti, l’ultima generazione di stampanti multifunzione A3 adotta un’innovativa “cartuccia” di lunga durata, una sacca di alluminio che contiene l’inchiostro necessario per 75mila stampe. «Con una normale attività di stampa il nuovo sistema permette un’autonomia dai tre ai quattro anni, al termine dei quali invece di una montagna di cartucce di plastica da smaltire, confezioni di cartone e altri rifiuti, ho solo una busta di alluminio da gettare».

Cristiano Vignati di Epson Italia, l’elefante e l’esercito delle formiche

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BENNET, PREVENIRE PER EFFICIENTARE

Infine, in questa tematica che si è rivelata quanto mai composita e articolata, ecco il parere di Marco Oliva, che in Bennet dirige la progettazione e la gestione di impianti meccanici e di refrigerazione alimentare. Dopo aver seguito i diversi interventi, Oliva dice di essersi convinto che investire in efficienza energetica conviene a tutti perché porta lavoro, competenze e diminuzione dei costi. «A mio modo di vedere l’efficientamento serve al di là dei vantaggi che in genere si cerca di ottenere. Una buona analisi costi/benefici ci dice che l’efficientamento è già un valido obiettivo di per sé». Attenzione però a non partire “lancia in resta” senza un’adeguata preparazione. «Prima di efficientare bisogna conoscere, programmare, stilare un piano a lungo termine. Solo così è possibile accreditare, anche davanti al management, l’efficienza energetica come strumento di competitività». Il mondo della regolazione automatica è un mondo complesso, ma è anche un ambito in cui poche migliaia di euro di investimenti possono tradursi in ritorni cospicui e praticamente immediati. «La disponibilità di competenze avanzate sul proprio terreno di lavoro è fondamentale – spiega Oliva – per il successo di interventi di efficientamento, i quali non potranno mai basarsi su benchmark generici ma al contrario dovranno essere personalizzati. Occorre una grande expertise impiantistica anche per agire al giusto livello di integrazione e interfacciamento tra impianti diversi. Attenzione poi al risparmio manutentivo e alla continuità dell’efficienza. Su impianti che consumano molta energia e devono rimanere sempre accesi, la manutenzione deve essere programmata e in futuro prenderà sempre più piede un concetto di manutenzione predittiva, capace cioè di risolvere una situazione di criticità prima che sia necessario l’intervento di un tecnico, o che si producano danni irreparabili».