Non è un nuovo format televisivo, ma l’esecuzione di uno stantio piano diabolico: una storia simile a questa si verificò in Liguria nei giorni di “ponte” di inizio novembre 1988 ma nessuno fece tesoro di quella lezione
C’è ancora chi dice di stare attenti ai bancomat, potenzialmente presidiati da occhi indiscreti che sarebbero pronti a carpire il codice segreto che il cliente sta per digitare al fine di dar luogo al sospirato prelievo automatico di denaro. Conosco persone che si avvicinano al cosiddetto ATM con le movenze di un recordman dell’immersione in apnea: già trenta metri prima cominciano una sorta di iperventilazione e ruotano il capo così da scansionare l’orizzonte per individuare eventuali presenze criminali in zona. Quando raggiungono l’apparecchio con l’abilità di Silvan, Tony Binarelli o David Copperfield inseriscono la carta nell’apposita feritoia e digitano il codice, coprendo con l’altra mano le dita che si muovono a comporre la combinazione numerica. Proprio quest’ultima prestidigitazione spesso si traduce in drammatici errori di sequenza che – giunti al terzo tentativo fallito – determinano l’inesorabile ingoio della carta plastica da parte dell’impietoso cash dispenser.
Nessuno – fateci caso – parla mai della malasorte degli istituti di credito, preferendo commuoversi (e mi sembra anche corretto) al semplice sentire raccontare della vecchina buggerata dall’immancabile banda di tecnologi balcanici. Se la popolazione anziana è vittima dei campioni olimpionici di skimming e del pentathlon della contraffazione, va detto che anche le banche non se la passano proprio bene su questo fronte. Una bella domenica della fine di maggio, i quotidiani giapponesi hanno titolato inanellando una serie di dati poco rassicuranti: 1.400 sportelli bancomat piazzati in normalmente frequentatissimi centri commerciali, l’equivalente di una dozzina di milioni di euro di denaro sparito, un centinaio di persone che hanno contribuito a totalizzare un simile malloppo.
La consistente “cricca” (una sorta di battaglione di furfanti) ha agito utilizzando false carte di credito preparate riciclando informazioni della Standard Bank del Sud Africa ed è entrata in azione il 15 maggio tra le cinque e le otto del mattino del fuso orario di Tokyo e dintorni. Un’operazione studiata nel minimo dettaglio, anche considerando che a Johannesburg era la notte di un tranquillo weekend durante il quale gli addetti alla security non erano certo pronti a rilevare il disastro in corso. La banca sudafricana si è affrettata a tranquillizzare la propria clientela, ma – è fin troppo ovvio – il panico si è propagato nonostante le rassicurazioni che il danno (a spanne oltre 17 milioni di euro complessivi) gravava esclusivamente sull’istituto di credito. Le indagini sono in corso e a breve si conosceranno le “best practices” che hanno consentito una così fluida ed efficace esecuzione del “colpo”. Nel frattempo, i delinquenti cercano di colpire gli ATM senza risparmiare la fantasia: i più evoluti studiano la maniera più efficace per sfruttare moderni malware o retrogradi skimmers, i più brutali si armano di possenti martelli e micidiali cariche esplosive.
Mentre la polizia giapponese è al lavoro, sperando di acciuffare i banditi grazie alle riprese filmate dei sistemi di videosorveglianza, l’invito a riflettere in proposito stavolta implica una sorridente raccomandazione a non perdersi un capolavoro cinematografico. Chi non l’avesse ancora fatto, vada a gustarsi “Lo chiamavano Jeeg Robot” e si goda la scena del bancomat smurato a mani nude. Chi prende d’assalto i circuiti finanziari ha la medesima energia del protagonista del film: senza finire a bagno nelle putride acque romane del Tevere e venire contaminato da misteriose sostanze radioattive, lo scassinatore 2.0 è pronto a stupire con effetti speciali. E in quel caso non ci saranno i titoli di coda a far capire che era tutta finzione.