Come cambia l’outsourcing

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Anche in questa fase di digital transformation, l’outsourcing della gestione delle infrastrutture IT e delle operations continua a mantenere un ruolo di rilievo nelle scelte delle aziende, ma non è più quello di prima

Sono tante trasformazioni con cui l’IT si rinnova continuamente. Ma rimangono alcuni punti fermi: l’outsourcing è uno di questi. E come da copione assume diverse forme, interessando di volta in volta diverse funzioni, nella ricerca delle migliori performance oltre che di risparmi dei costi e di maggiore flessibilità. Se affidare all’esterno funzioni non facenti parte del core business dell’azienda costituisce da sempre l’outsourcing per così dire tradizionale, riguardante soprattutto i servizi IT, l’evoluzione incessante del settore ha portato ad allargare questo perimetro tradizionale, ricomprendendo nell’esternalizzazione anche altre funzioni aziendali. Sempre più si ricorre quindi all’outsourcing delle attività operative, dei processi di business, delle HR e delle funzioni amministrative e della supply chain, per citare solo alcuni esempi. A questi sviluppi ha dato da tempo un forte impulso l’avvento del cloud computing, che nelle sue varie declinazioni ha reso estremamente facile fornire servizi e applicazioni quando, quanto e dove servono, con livelli di flessibilità davvero senza precedenti.

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Agilità in primo piano

Le ragioni del crescente ricorso alle nuove forme di esternalizzazione sono analoghe a quelle dell’outsourcing di servizi IT, come risparmi nei costi e maggiore flessibilità, oltre al vantaggio di poter concentrare le risorse aziendali, talvolta scarse per vincoli di budget, su funzioni non direttamente afferenti al core business. Ma non va dimenticato anche un altro driver fondamentale: quello della ricerca della massima agilità per essere sempre più competitive sul mercato. È un fatto che «le aziende ricorrono all’outsourcing per ottimizzare i flussi di lavoro e rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione, accelerando l’agilità e le performance aziendali. Basti pensare che, secondo quanto emerso dalla recente CIO Survey Italiana – promossa da Capgemini Italia, Hewlett Packard Enterprise e TIM, e realizzata da NetConsulting cube – il 32% delle aziende prevede un incremento della spesa in servizi di outsourcing nel corso del 2016, con un focus particolare nelle aree della gestione infrastrutturale, della system integration, dello sviluppo software e della maintenance applicativa» – spiega Sergio Colella, VP & general manager, enterprise services EMEA South di Hewlett Packard Enterprise.

Outsourcing “classico” ancora in affanno

Lo sviluppo crescente di queste nuove forme sta da tempo mettendo in difficoltà il “classico” outsourcing, quello dei servizi IT, come è puntualmente registrato dagli analisti di IDC, che fanno notare come il mercato dei servizi di outsourcing abbia ormai abbracciato i paradigmi del Software as a Service (SaaS) e dell’Infrastructure as a Service (IaaS), con un impatto sul mercato mondiale stimato in una decrescita composta annua del -2,2% nei cinque anni tra il 2014 e il 2019, per un giro d’affari complessivo che nel 2019 scenderà a 103 miliardi di dollari. L’outsourcing dei servizi è, nella classificazione di IDC, un sottoinsieme dell’IT outsourcing, che comprende anche l’outsourcing di reti e desktop, l’outsourcing delle applicazioni, la gestione delle applicazioni hosted (Hosted Application Management, HAM) e l’hosting dei servizi di infrastruttura, come per esempio il web hosting.

BPO in crescita

È su questo tipo di servizi che l’impatto del cloud è maggiore in termini di contrazione del mercato, al quale fa però da contraltare una crescita nella domanda di servizi di Business Process Outsourcing (BPO) nei quali sono ricompresi, secondo l’indicazione di IDC, i quattro mercati orizzontali del BPO, ovvero risorse umane, finanza e contabilità, acquisti e servizio clienti. Questo mercato, che nel 2016 ha un valore a livello mondiale di 178 miliardi di dollari, crescerà nei prossimi cinque anni con un tasso annuo composto del 4,9%, per un totale mondiale stimato da IDC in 219 miliardi di dollari nel 2020. I componenti della Terza Piattaforma continueranno, sempre secondo le previsioni degli analisti IDC, a «guidare la trasformazione del mercato del Business Process Outsourcing, con un focus specifico su automazione, piattaforme cloud e big data e analytics».

Cambiamenti in atto

Ad analizzare quali sono le trasformazioni dell’outsourcing nell’era della trasformazione digitale ci ha pensato Verizon che – nella ricerca “Better outcomes for IT outsourcing” condotta nel 2015 – ha esaminato le tendenze più recenti. La società sottolinea al riguardo che i diversi modelli di outsourcing non devono «essere visti come un ostacolo, quanto piuttosto come catalizzatori che favoriscono l’innovazione e che spingono a ripensare al dibattito sull’outsourcing. Le aziende dovrebbero assicurarsi che tutti i partner scelti siano in grado di fornire le competenze e l’eccellenza del servizio, necessari a supportare la digital transformation. Molte organizzazioni dimenticano che il partner in ambito outsourcing IT dovrebbe aggiungere valore al business, ma l’attività generale di controllo deve restare all’interno dell’azienda».

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Alla ricerca degli “smart digital partner”

Entrando nel dettaglio, servono «smart digital partner in grado di: conoscere le tecnologie utili a individuare potenziali opportunità di mercato; lavorare in modo efficace al fianco di altri partner dell’ecosistema, invece che cercare di condurre l’intero processo; dimostrare di avere le persone, i processi, gli strumenti e le piattaforme per integrare e fornire un servizio migliore rispetto al modello total cost of ownership (TCO); gestire le fasi di transizione e trasformazione con efficacia, fornendo chiare tappe fondamentali che permettano all’azienda di identificare le occasioni in cui è possibile risparmiare; proporre un approccio al miglioramento continuo dei servizi, per offrire un valore aggiunto per tutto il ciclo di vita del contratto; offrire la scalabilità necessaria a soddisfare esigenze globali, fornendo un mix di servizi che comprenda soluzioni onshore, nearshore o offshore; integrare i propri prodotti e servizi con quelli di terze parti per creare soluzioni di business focalizzate e rilevanti per l’azienda; condividere la propria vision tecnologica, dando all’organizzazione la sicurezza e la capacità di continuare a innovare» – spiegano in Verizon. Anche perché il rischio è dietro l’angolo: «Se isolate, le tecnologie hanno poco da offrire, e per intraprendere con successo la digital transformation, le organizzazioni, con la collaborazione dei loro partner, devono combinare la visione strategica con la capacità pratica di promuovere e attuare l’innovazione in azienda. Non c’è più molto tempo per le aziende che restano a guardare un mercato in continua evoluzione. La caduta delle barriere all’ingresso sta favorendo la nascita di nuovi competitor, mentre i player già presenti ampliano il loro raggio di azione, differenziandosi dalla concorrenza grazie alle tecnologie digitali» – conclude la società.

L’ora del sourcing selettivo

In questo quadro, anche il mercato è in fase di cambiamento. «Nell’era della digital transformation, anche l’ecosistema di partner e fornitori si sta evolvendo: oggi sono molte le aziende che stanno abbandonando il modello “one-stop-shop”, ossia un approccio generalista, in favore di un modello di “selective sourcing”, basato invece sulla selezione specifica dei servizi da esternalizzare e dei fornitori a cui affidarli, per rispondere al meglio alle specifiche esigenze dei vendor nei diversi reparti IT» – prosegue Sergio Colella di HPE. È anche per riflettere questi cambiamenti che «l’eccellenza nell’outsourcing si misura con la capacità di supportare, integrare e gestire diverse strategie di sourcing. A un modello monolitico di servizio del tipo “one size fits all”, si contrappongono oggi modelli ibridi, che permettono di combinare diverse soluzioni e tecnologie per supportare in maniera efficace il business. È per esempio il caso della “hybrid infrastructure” ovvero la soluzione dove Hewlett Packard Enterprise, combinando servizi tradizionali a private, managed e public cloud, permette ai clienti di bilanciare efficacemente requisiti di business ed efficienza economica» – sottolinea Colella, precisando che «alle capacità tecniche, di integrazione e di gestione, è poi fondamentale affiancare processi, modelli di governance e strumenti (di provisioning, controllo, contabilizzazione e monitoraggio per esempio) che permettano di mettere a disposizione e misurare le risorse IT provenienti da un contesto diversificato. Da un punto di vista qualitativo, oggi si richiede la capacità di fornire tempestivamente accesso alle risorse IT, riducendo al massimo il downtime, aumentando l’automazione e abilitando il self-service per una maggiore soddisfazione dell’utenza».

Razionalizzare i processi interni

È interessante il punto di vista di un fornitore di servizi specifici nell’ambito delle risorse umane. Innocenzo Casanova, customer service director di ADP Italia, spiega infatti che «le aziende che decidono di gestire in outsourcing alcune funzioni aziendali si aspettano che il fornitore sappia prima di tutto razionalizzare i loro processi interni per liberare risorse ad alto valore aggiunto all’interno dello staff, le quali possono così essere focalizzate su attività di core business». Non solo. «Un’altra necessità che viene espressa dalle aziende è di poter accedere agli insight specifici dei fornitori di outsourcing. Nel caso di ADP ciò si traduce nel mettere a disposizione dei clienti le competenze professionali e specialistiche delle nostre persone in base ai processi o alle attività operative che il cliente ha necessità di sviluppare, e ne risulta evidente che tutto ciò porta come conseguenza diretta una riduzione dei costi interni» – prosegue Casanova. Riguardo ai modelli principali di outsourcing prevalenti oggi, «possiamo riassumerli in tre tipologie di servizi. Il primo è quello legato al cloud outsourcing, che ADP offre sotto il nome di Cloud+, dove viene messa a disposizione del cliente tutta la piattaforma tecnologica necessaria a erogare il servizio e che il cliente gestisce internamente e in modo autonomo attraverso la propria expertise. C’è poi un servizio di outsourcing intermedio chiamato Managed Services in cui, oltre alla piattaforma tecnologica, offriamo al cliente la disponibilità di nostri professionisti che ricevono gli input e si occupano di elaborare i dati, fornendo report periodici. Sono attività che stanno a metà tra il processing e il Full Outsourcing, quest’ultimo altresì chiamato Business Processing Outsourcing, in cui il cliente teoricamente non gestisce più internamente alcuna infrastruttura IT, demandando completamente il servizio ad ADP. Oggi, i trend ci indicano che le aziende si stanno spostando sempre più verso il modello Cloud+» – conclude Innocenzo Casanova.

Pensare e agire come l’azienda stessa

Massimiliano Mastrotto, chief sales & marketing officer di Archiva cita Theodore Levitt della Harvard Business School, la cui frase “le persone non cercano punte da trapano da un quarto di pollice. Cercano fori da un quarto di pollice” rappresenterebbe l’essenza del concetto di outsourcing per Archiva: «Non proponiamo un SaaS ma un vero e proprio Business Process as a Service. I documenti fiscali sono gli unici documenti che la legge ci obbliga ad avere e conservare, e i clienti ci chiedono non solo di svolgere per conto loro il processo operativo, ma soprattutto di ricoprire quei ruoli che la legge sulla conservazione richiede e che presuppongono formazione, competenza e aggiornamento continuo, che sono tutte cose estremamente diverse dal core business dei clienti. Ciò che il cliente si aspetta è che Archiva faccia non solo quanto incluso negli accordi di servizio, ma si renda proattiva nel far evolvere il servizio stesso di fronte ad aggiornamenti normativi, nuovi adempimenti, best practice o semplicemente buon senso. Il cliente si aspetta dall’outsourcer che pensi e agisca come farebbe il cliente stesso per il bene della propria azienda». Per proporre un esempio significativo, Mastrotto cita il caso di uno dei principali clienti di Archiva, che ha un rapporto consolidato da oltre 13 anni e che ha permesso all’azienda di far evolvere il servizio di pari passo con il crescere delle aspettative e delle esigenze del cliente stesso: «È stata ed è tuttora una bellissima avventura win-win che ci ha permesso di imparare a rispondere a nuovi bisogni e di poterli proporre ad altri clienti. Se vogliamo rappresentare i risultati ottenuti con un numero, il rapporto tra fatturato aziendale e numero di impiegati amministrativi è passato da 19,6 milioni di euro per addetto nel 2003 a 37,3 nel 2009, per poi arrivare a 61 milioni di euro nel 2012».

Un approccio “open book”

«Per soddisfare le richieste dei clienti è fondamentale che l’outsourcer sappia comprendere e interpretare la strategia aziendale, oltre che adeguare la propria organizzazione e il proprio personale in funzione di questi principi» – esordisce Ferruccio Borsani, presidente del Consiglio d’Amministrazione di Solutions 30 Italia. «Attivi da anni soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, abbiamo investito in persone, in formazione e in una capillare presenza territoriale, sviluppando sistemi informatici che permettono di gestire e programmare velocemente le attività oltre che di integrarsi con l’azienda e garantire la soddisfazione dei clienti finali, particolarmente rilevante laddove Solutions 30 rappresenta l’azienda nell’erogazione del servizio e nel contatto con il cliente finale» – prosegue Borsani, spiegando che «il modello proposto non è facile da realizzare, se pensiamo che in un processo di outsourcing, l’azienda delega a Solutions 30 la gestione di processi e strutture che rappresentano una parte rilevante della propria catena del valore e di servizio e su cui decide strategicamente di non investire direttamente, ed è per questo che l’approccio “open book” e un’ampia collaborazione sono fondamentali per il successo della relazione».

L’outsourcing degli asset informatici

È infine Luciano Caffi, country service manager di CHG-Meridian Italia, a ricordare che oggi «il mondo ICT è sempre più caratterizzato dalla convergenza tra le diverse tecnologie e modelli (social, cloud, mobile, big data, analytics), mentre la gestione dell’infrastruttura rispetto al passato è sempre più soggetta a rapidi cambiamenti dove il CIO e il CFO devono rispondere alle esigenze di business con il rischio di perdere il controllo dei processi, tecnologie e costi». In questo ambito, «la locazione operativa come forma di outsourcing degli asset informatici di CHG-Meridian è sempre più efficace ed efficiente nel rispondere alle nuove esigenze garantendo al cliente piena autonomia e controllo. Con il rilascio della nuova release di Tesma Manage and Control, piattaforma web proprietaria di financial e asset management, CHG-Meridian offre anche un’avanzata dashboard di controllo e avanzate interfacce, come ERP, web services, edifact, download scheduler, in modo da integrare la soluzione con i sistemi e processi del cliente. La scelta della locazione operativa senza uno strumento di controllo come Tesma è limitativa perché oltre alla trasparenza si perde la possibilità di gestire fatturazione e centro di costo in modo dinamico, solo per fare un esempio» – conclude Caffi.

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