The analytic gap

Intelligenza artificiale programmatically crazy

Gli Advanced Predictive Analytics sono considerati strumenti per introdurre una nuova cultura manageriale nelle imprese. Ma le imprese italiane sono davvero pronte?

Nel corso del 2015, IDC ha condotto diverse indagini sul mercato italiano per comprendere quali sono i fattori che determinano l’adozione degli Advanced Predictive Analytics, un’area applicativa di grande attenzione che sta introducendo metodologie e processi sempre più sofisticati, da quelli più tradizionalmente affermati nella tradizione statistica fino a tecniche provenienti da altri domini accademici, come l’intelligenza artificiale, le tecnologie cognitive e il machine learning. Dopo avere intervistato oltre duecento decision makers nel segmento delle medie/grandi imprese, è possibile trarre alcune considerazioni su quali sono i fattori che promuovono la diffusione di una nuova data-driven culture nelle aziende italiane. Gli Advanced Predictive Analytics stanno dando alimento ad aspettative molto più sofisticate rispetto al recente passato, segnando una discontinuità piuttosto evidente rispetto alle tradizionali prospettive della Business Intelligence. Quando si chiede ai manager italiani se sono soddisfatti della qualità delle informazioni che provengono dai sistemi informativi aziendali, circa due rispondenti su tre mettono in evidenza la necessità di migliorare sotto diversi aspetti: oltre la metà sostiene che sia indispensabile migliorare la frequenza e la velocità delle query; circa uno su tre ritiene che sia necessario includere nuove fonti di dati, oppure migliorare l’integrazione con i silos nel backend, oppure ancora fare dei sostanziali progressi nelle modalità di visualizzazione, navigazione e interazione con i dati; soltanto uno su cinque ritiene che sia indispensabile operare su dati in tempo reale oppure applicare tecniche di analisi più sofisticate per operare in senso predittivo.

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IT o LOB, chi guida le priorità?

All’apparenza, l’applicazione di tecniche di analisi inferenziale non risulta centrale rispetto alle aspettative di una parte importante del mercato, però il quadro cambia significativamente se si osservano le stesse statistiche all’interno del gruppo di imprese che stanno portando avanti progetti di Digital Transformation, dove l’attenzione per gli Advanced Predictive Analytics è sette volte superiore rispetto alle altre imprese. A un’analoga osservazione conduce l’esame incrociato delle stesse statistiche con le priorità di implementazione e/o di upgrade di nuove piattaforme di analytics, dove emerge con chiarezza che l’unico fattore veramente distintivo tra chi investe e chi rimane ancorato all’esistente è legato alle tecniche di analisi predittiva. Dunque, le nuove piattaforme tecnologiche proposte dagli operatori stanno chiaramente facendosi strada in una parte del mercato, quella parte che sta attraversando importanti trasformazioni e technology turnaround, ma non solo. Quando si guarda agli Advanced Predictive Analytics, quali sono i fattori che decidono l’implementazione e l’aggiornamento delle soluzioni in azienda? A guidare le decisioni sono le priorità dell’IT oppure quelle della LOB? Nonostante secondo la narrazione prevalente sia indispensabile introdurre nell’IT una prospettiva manageriale, svincolando il dipartimento IT dal ruolo di pura e semplice funzione di supporto, in molte occasioni risulta sorprendente notare come la stessa percezione della LOB sia fondata su nozioni, concetti e prospettive piuttosto tradizionali in merito al ruolo che dovrebbe rivestire l’IT, e le stesse tecnologie di analytics. Sebbene l’esigenza di migliorare tali piattaforme molto spesso derivi dalle figure che sono tradizionalmente più affamate di informazione, come i CEO, i CMO e i CFO, la capacità di applicare le tecnologie di analytics in modo del tutto nuovo richiede una conoscenza approfondita del core business aziendale, e dunque molto spesso ricadrebbe sotto l’ambito dei COO, che però rimango a tutt’oggi ancora piuttosto lontani dalla sponsorship di simili iniziative, soprattutto nel confronto con gli altri C-level.

Premesso che nel campione di indagine IDC erano equamente rappresentate sia figure IT che LOB, il quadro emergente racconta una prospettiva che è ancora vincolata esclusivamente a necessità IT, anche dal punto di vista di rispondenti afferenti ad altre funzioni aziendali. Non soltanto l’IT, ma le stesse LOB continuano a mantenere una nozione tradizionale degli analytics, secondo la quale svolgerebbero un ruolo secondario rispetto ai progetti di aggiornamento delle core business applications (ERP, CRM, SCM, etc.), un ruolo relegato in modo quasi esclusivo al controllo e alla gestione del livello di servizio degli utenti interni nei momenti di avvicendamento e transizione verso le nuove applicazioni: niente di più, niente di meno. Se questo è lo scenario prevalente che emerge dal campione (circa tre aziende su quattro), si comprende come e perché gli analytics in alcune realtà italiane stentino a diventare uno strumento per guidare le decisioni operative della LOB: sussiste quantomeno un concorso di responsabilità, tra IT e LOB, nel relegare gli analytics al ruolo quasi esclusivo di indicatori dei processi IT, senza rendersi conto che esiste uno spettro molto ampio di decisioni aziendali che trarrebbero un grande beneficio dall’adozione di un approccio data-driven.

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Cultura data-driven

Tale prospettiva porta in modo quasi sistematico alla subordinazione delle priorità di business rispetto alle priorità IT, almeno per quanto riguarda le decisioni di investimento e di implementazione degli Advanced Predictive Analytics, lasciando del tutto neglette uno spettro assai ampio di esigenze e aspettative che discendono dalle decisioni che i manager devono prendere per rispondere alle sollecitazioni del business aziendale, che molto spesso non hanno alcun supporto dal punto di vista tecnologico. Dal campione emerge in modo molto chiaro come diverse priorità di business, come ad esempio lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, l’ingresso in nuovi mercati, la riduzione dei costi, oppure ancora il cambiamento organizzativo, incidano in misura diversa sia sulla quantità che sulla qualità delle informazioni necessarie per prendere decisioni. Dall’analisi del mercato italiano emerge un divario significativo tra l’attenzione rivolta agli analytics per il miglioramento dei processi di business (e in modo particolare dei processi IT) e la relativa (dis)attenzione quando si tratta di rispondere a comuni esigenze di business. Dunque, esiste forse uno scotoma, un punto cieco, che ha ridotto e tutt’ora riduce notevolmente la diffusione di una cultura data-driven, limitandone l’applicazione soltanto ad alcuni processi IT, soprattutto in Italia.

Tuttavia, esistono anche altri fattori che hanno influenzato e influenzano in modo determinante lo sviluppo di una cultura compiutamente data-driven. Oltre a una ampia serie di fattori di contesto che non è possibile approfondire in questa sede, esistono alcuni fattori esclusivamente individuali. Forse più che in altri ambiti delle ICT, l’adozione degli Advanced Predictive Analytics dipende dalle caratteristiche personali dei decision makers, e in modo particolare dal loro specifico stile decisionale. Esistono diversi studi in materia che illustrano come sia possibile comporre una specifica tipologia del decisore sulla base di alcune categorie di base, come ad esempio il livello di astrazione delle decisioni (script-based vs fact-based), il grado di formalizzazione dei processi (ad-hoc vs role-based) e il volume delle informazioni necessarie per decidere, e così via, la lista potrebbe continuare. Così come non è pensabile che tutti i decisori siano uguali, allo stesso modo non è pensabile che le nuove tecnologie di analytics promuovano una omologazione delle decisioni: piuttosto è auspicabile che si adattino in modo intelligente, oltre che alle specifiche esigenze, anche alle caratteristiche personali del manager, diventando quasi degli assistenti personali.

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Giancarlo Vercellino, research & consulting manager di IDC Italia