Per la prima volta la compagnia ha superato i 2 miliardi di dollari in fatturato. Facciamo il punto con Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat Italia
100%. È questa la percentuale della presenza di soluzioni Red Hat all’interno delle telco, come nelle aziende sanitarie, banche e compagnie aeree. La cifra è indicativa non solo del successo dei software e servizi sviluppati dalla compagnia statunitense, ma di tutto il mondo open source, che sta lentamente popolando ambienti e contesti di utilizzo prima impensabili.
Nel periodo fiscale 2016, Red Hat ha portato a casa revenue per 2,05 miliardi di dollari, una milestone importante nella storia della multinazionale, corrispondente a una crescita del 15%, che diventa +22% tenendo in considerazione la flessione della moneta. La crescita maggiore riguarda il fatturato dell’application development e del cloud, in cui Red Hat la fa da padrone con software quali JBoss, OpenStack, OpenShift e così via.
La strategia di Red Hat
«Red Hat, in Italia, è una società che può contare su 80 risorse, di cui 30 in ambito tecnico. L’ambizione è quella di ampliare non solo l’expertise interno ma anche i settori di intervento, che vedono il nostro Paese un terreno fertile su cui puntare per il prossimo futuro» – ci dice Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat Italia. La strategia da seguire si basa su tre specifici paradigmi: copertura, apertura e flessibilità. Il primo punto si riferisce allo sviluppo di programmi ed ecosistemi che possano soddisfare una complessità di esigenze di un particolare cliente. A tal proposito si parla di “stack infrastrutturale”, ovvero della possibilità di sfruttare le soluzioni Red Hat sia a livello globale, adottando software del gruppo in diversi apparati produttivi, sia singolarmente, all’interno di un unico contesto professionale, senza lo svantaggio di dover fare a meno dei software già in uso e pienamente condivisi dalla struttura interna.
Il concetto di apertura va di pari passo con la logica che è alla base del lavoro di Red Hat: cloud, applicazioni database, gestionali del gruppo possono aprire a scenari di intervento diversi, migliorabili dagli stessi utenti che le sperimentano ogni giorno. Flessibilità va invece incontro alla necessità che un servizio innovativo open source sia anche affidabile. Non si tratta di offrire a un utente singolo una soluzione alternativa ai programmi che usa ogni giorno, ma di affidarsi al mondo delle piattaforme funzionali, sostenute da un’ampia community e migliorabili giorno dopo giorno, a differenza del classico software chiuso che segue precise linee di intervento dettate dall’alto.
I fattori di successo di Red Hat sono una diretta conseguenza delle evoluzioni tecnologiche che l’azienda vuole cogliere. Ne è un esempio OpenShift 3, prima piattaforma enterprise per la gestione e orchestrazione scalabile di container; oppure Ansible, sistema di automazione che supporta le aziende a implementare metodologie operative che sappiano ottimizzare la gestione delle risorse IT; o ancora Red Hat Cloudforms 4, il cloud ibrido per il monitoraggio dei container con supporto a Microsoft Azure.
L’Italia
È utile citare un paio di case history che evidenziano il lavoro di Red Hat in Italia, volto a portare innovazione verso le aziende come beneficio a migliaia di clienti. Qualche mese fa, Fastweb ha introdotto OpenStack per il proprio cloud pubblico. «Abbiamo scelto Red Hat per la natura innovativa della sua tecnologia e per l’approccio open source. Non è un caso se i nostri clienti apprezzano e conoscono Red Hat e le sue soluzioni» – ha affermato Mirko Santocono, product manager, cloud computing services di Fastweb.
Sulla stessa falsariga, Vodafone Italia, che ha utilizzato OpenShift per aumentare la risposta e l’affidabilità di alcuni servizi, come l’app My Vodafone che si affida proprio alla nuvola di Red Hat. «Siamo intervenuti disaccoppiando i sistemi legacy dai database, bilanciando l’utilizzo delle risorse in modo dinamico, così che i dati potessero essere accessibili sempre e senza alcun limite» – hanno spiegato dal gruppo olandese.
Fastweb e Vodafone sono solo due dei casi che pongono all’attenzione la volontà delle imprese italiane di appropriarsi di dinamiche open source che possono donare maggiore trasparenza e versatilità ai processi di business – continua Anguilletti – ciò potrebbe comportare un vantaggio anche a favore della ripresa di alcune professioni che hanno subito più di altre gli anni di crisi. «Lo sviluppo del settore IT in Italia vive un’epoca di profonda contraddizione. L’onda lunga dello stallo economico si è fatta sentire fino a poco tempo fa ma abbiamo l’evidenza che il software, anche da noi, stia cambiando molti mondi professionali. Sappiamo che saranno sempre più importanti i ruoli in ambito tecnologico, con un particolare interesse a DevOps, che rappresenta uno tra i pochi abilitatori di innovazione presso le imprese».
Il futuro
Cosa c’è dietro l’angolo? I trend sono più o meno gli stessi da qualche anno: big data, analytics, DevOps, cloud, mobility, IoT. La differenza potrebbe farla proprio l’open source, come metodo di condivisione e collaborazione nell’implementazione di tecnologie in grado di cambiare il mondo. Red Hat intende l’evoluzione del mondo IT anche come ri-organizzazione interna. Al primo posto vi è l’evoluzione della struttura che vada di pari passo con lo sviluppo delle competenze, la verticalizzazione dei mercati (ISP, operatori) e la focalizzazione su alcuni canali, da approcciare dal punto di vista tecnologico ma anche operativo.
Quale sfida si pone dinanzi al successo di Red Hat? «Se intendiamo confermare questi tassi di crescita, dovremo sicuramente incrementare parallelamente la nostra struttura, con personale dotato di competenze adeguate – conclude Anguilletti – anzi, con un aumento che non dovrà essere solo quantitativo, ma qualitativo. Trovare un così alto grado di competenze non sarà semplice, e questo rappresenta il più grande banco di prova per noi».