Già, al passato. E’ questa la timida raccomandazione che mi sento di fare a chi sta lavorando per creare a San Marino l’importante Agenzia per lo Sviluppo Digitale
Nel 1993 ho avuto la fortuna di approdare all’allora Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, istituita quell’anno in Italia con il coraggioso decreto legislativo n° 29. Un’avventura straordinaria, un contesto in cui si respirava l’irresistibile voglia di fare qualcosa e di cambiare il destino del Paese, una realtà dove si erano coagulate esperienze e competenze di primissimo piano, un ambito – si perdoni il gioco di parole – “ambizioso”.
La cosiddetta AIPA si configurò immediatamente come una fastidiosa spina nel fianco per ministeri, organismi ed enti troppo affezionati ad una autonomia progettuale e decisionale che – fatte rarissime debite eccezioni – aveva portato a risultati tutt’altro che proporzionali alle faraoniche spese sostenute. La razionalizzazione delle risorse era considerata una insopportabile interferenza nelle abitudini feudali delle pachidermiche istituzioni pubbliche orgogliose della loro granitica immodificabilità.
Ricordo gli sforzi titanici di Guido Mario Rey, Ferrante Pierantoni e degli altri membri, non dimentico l’impegno qualificato e cosciente del vertice e dello staff dell’Autorithy, ho ancora ben presenti ponderate ipotesi e ragionevoli pianificazioni cui facevano eco ostinate ritrosie al cambiamento.
Ho conosciuto e saggiato lo sconsiderato rifiuto a migliorare, ho “ammirato” i fin troppo soliti espedienti burocratici per sfuggire ad una guida autorevole verso un domani diverso, ho visto e cercato di contrastare lo sperpero di risorse incrementato dall’incapacità di committenza e dal famelico atteggiamento commerciale dei fornitori arroccati nella difesa delle rispettive commesse e pronti a fare cartello per mantenere l’inossidabilità di certi “equilibri” di mercato.
A breve la Serenissima Repubblica del Monte Titano darà l’avvio ad una propria Agenzia nazionale cui saranno affidate le sorti della San Marino 2.0.
Sono ogni giorno più convinto che un simile bonsai geografico può essere un laboratorio “live” successivamente clonabile altrove con sistemi di differente dimensione in spazi territoriali non limitati ai 60 chilometri quadrati sul crinale dell’Appennino. Proprio per questo non posso fare a meno di augurare “boa sorte” – come dicono i portoghesi – a chi si cimenta nell’impresa e di suggerire di non affidarsi a modelli “contemporanei” che purtroppo non brillano per efficienza ed efficacia.
La nostrana Agenzia per l’Italia Digitale fa periodicamente capolino con qualche iniziativa che, propaganda politica a parte, non trova riscontro reale. L’ultima trovata tricolore è quella dello SPID, il Servizio Pubblico di Identità Digitale. Oggi ho curiosato un po’ in giro per vederne la concreta attuazione a distanza di un mese dalla dichiarata entrata in funzione e ho avuto modo di constatare che la strada da compiere è ancora davvero tanta. Se volessi dialogare in maniera sicura con il mio Comune, ad esempio, dovrei cambiare residenza e stabilirmi a Firenze o Venezia senza poi avere garanzie di trovare esauditi desideri e servizi…
L’involuzione dell’AIPA prima nel Centro Nazionale per l’Informatica nella P.A., poi in Digit-PA e quindi nell’AgID ha segnato una progressiva riduzione di indipendenza, potere, capacità progettuale. Lo “Sviluppo Digitale” che balena a San Marino auspico abbia diverso fato.
Rammento la Rete Unitaria che avrebbe dovuto costituire il sistema nervoso delle articolazioni dello Stato e avrebbe dovuto realizzare un tessuto connettivo idoneo a facilitare lo scambio di informazioni e le relazioni con il cittadino. Nemmeno nella sopraggiunta era dell’Internet endemico in mobilità si è visto nulla.
A distanza di quasi un quarto di secolo si continua a parlare di dematerializzazione documentale e non si smette di vedere code agli sportelli. Sul fronte delle infrastrutture di rete hanno, forse giustamente, prevalso le dinamiche di privatizzazione e sono svanite le tracce di entità come l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici (ASST) per le quali non mi vergogno di nutrire una certa nostalgia.
San Marino dovrebbe far tesoro di quel che è successo altrove e magari individuare un itinerario che apparentemente azzardato può riservare prospettive di interesse non limitate al breve termine.
Il passaggio da Paradiso fiscale a Paradiso tecnologico è più breve di quanto si possa immaginare. Una partita del genere, giocata a dovere, può ingigantire il ruolo della piccola Repubblica sullo scenario digitale continentale.
Una “nazionalizzazione” dell’architettura di telecomunicazione fissa e mobile è senza dubbio un primo impegnativo passo: richiede un investimento che non fatica ad essere ripagato da chi poi, in regime di concorrenza, può erogare i servizi telefonici e Internet.
La posizione di equidistanza dal perimetro italiano e dai Paesi sull’arco alpino lasciano immaginare San Marino come una sorta di epicentro “regionale” del data storage. In un’epoca in cui il “cloud computing” è la regola dello stoccaggio di archivi e documenti elettronici, potrebbe avere senso immaginare una sorta di oasi in cui le informazioni sono custodite nel pieno rispetto delle disposizioni internazionali in tema di privacy e delle prescrizioni tecniche per una security degna di questo nome.
Uno o più data center, fisicamente raggiungibili ed ispezionabili per sincerarsi dell’effettivo stato dell’arte, potrebbero richiamare l’attenzione di chi punta a salvaguardare il proprio patrimonio informativo senza rischiare il deposito di dati in non meglio definiti angoli del mondo e protetti in modo non verificabile.
Occorre una ricognizione delle risorse tecniche già esistenti e finanziarie disponibili, una calibrata definizione degli obiettivi da perseguire, una attenta valutazione dei costi e dei possibili benefici, un severo atteggiamento di costante verifica nei diversi stadi di avanzamento del lavoro da intraprendere. Serve, soprattutto, coraggio.
Al coraggio basterà aggiungere un pizzico di buon senso. La ricetta è facile, non richiede abilità da Masterchef dell’hi-tech ma bisogna stare attenti. La gente “di bocca buona” è ormai lontana nel tempo: il palato dell’utenza è avvezzo a gustare cose di pregio.