Uno studio CA Technologies rileva una forte diffusione dell’utilizzo delle API fra le aziende italiane

API Economy

Poche tuttavia le imprese in grado di sfruttarne a fondo il potenziale, come dimostra l’API Capability Index creato sulla base dei risultati emersi dalla  ricerca

Uno studio internazionale commissionato da CA Technologies fotografa un utilizzo diffuso delle Application Programming Interface (API) fra le aziende italiane quale elemento essenziale al successo nell’economia delle applicazioni. Un quarto (il 26%) delle realtà interpellate ha già realizzato attività che permettono di valorizzare completamente il potenziale di queste interfacce.

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Lo studio internazionale “APIs and the Digital Enterprise: From Operational Efficiency to Digital Disruption” è stato condotto da Freeform Dynamics, società di analisi specializzata nel settore informatico, su un campione mondiale di 1442 responsabili IT e dirigenti d’azienda che comprendeva 506 manager europei provenienti da Italia, Germania, Francia, Svizzera, Spagna e Regno Unito.

“Le API sono l’ingrediente essenziale del successo nell’Application Economy, in quanto offrono la possibilità di integrare i sistemi in modo sicuro,  fornire ai clienti  una migliore customer experience multicanale, adattare velocemente le applicazioni e ottenere un ottimo ritorno sugli investimenti in nuove opportunità digitali. Non basta tuttavia creare delle API per realizzare iniziative di successo, occorre gestirle, monitorarle e garantire un adeguato livello di sicurezza, altrimenti possono verificarsi seri problemi come nel caso dei recenti incidenti registrati da alcune case automobilistiche in progetti legati alle connected cars – auto collegate a Internet – o della violazione di alcuni dati degli utenti di Snapchat due anni fa”, ha dichiarato Fabrizio Tittarelli, CTO di CA Technologies Italia.

Le organizzazioni italiane registrano un’adozione diffusa delle API che permettono ad  applicazioni web e mobile di accedere a dati e servizi in rete e su Internet. L’85% del campione utilizza le API per abilitare sviluppatori esterni, l’82% per creare applicazioni web, mentre l’81% se ne serve per integrare applicazioni di back-office. Il 73% utilizza le API per incorporare servizi di terze parti. Fra le principali leve, attuali e future, citate in merito all’adozione delle API, vi sono l’esigenza di ampliare la copertura digitale (91%), di sfruttare l’innovatività degli sviluppatori terzi (87%), di snellire le catene della domanda e dell’offerta (86%) e di erogare nuove/migliori customer experience (85%). Tutti questi elementi possono contribuire al successo delle aziende nell’economia delle applicazioni.

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Nonostante i significativi presupposti a favore dell’utilizzo delle API, pochi fra i soggetti intervistati ritengono di aver affrontato adeguatamente alcune criticità. Solo il 17% delle organizzazioni italiane, ad esempio, ha trovato partner tecnologici in grado di fornire professionalità e servizi di consulenza adeguati, mentre il 24% afferma di avere  acquisito una massa critica di sviluppatori nell’ambito dei propri progetti dedicati alle API. Ma ciò che più colpisce è che soltanto il 28% è stato in grado di quantificare il valore delle API in termini di business.

Il livello di maturità delle aziende italiane nell’adozione delle API

L’API capability Index, un indice creato in base ai risultati emersi dalle risposte dei 920 manager IT che hanno partecipato allo studio, dimostra che c’è ancora molto da fare per realizzare appieno i benefici che una strategia efficace può offrire.

Agli intervistati è stato chiesto di indicare se la loro azienda disponesse di 10 requisiti abilitanti per l’utilizzo delle API, raggruppati in quattro categorie:  Lifecycle Support, Core Security, Run-time Environment  e Operational Management. A ogni risposta è stato assegnato un punteggio, classificato successivamente in tre gruppi a seconda del livello di predisposizione e capacità di utilizzo delle API: ‘Avanzato’, ‘Base’ o ‘Limitato’.

In Italia, il 26% delle aziende intervistate risulta essere a uno stadio ‘avanzato’, davanti a Germania (22%) e Francia (23%), ma dietro al Regno Unito (41%) e alla Svizzera (33%). Il 30% delle organizzazioni italiane è a un livello ‘base’, mentre il 44% appare essere a uno stadio ‘limitato’.

Dall’analisi dei risultati della ricerca pan-europea traspare una forte correlazione fra il livello di competenze e requisiti abilitanti per l’adozione delle API e i vantaggi derivanti dai relativi investimenti. In media, le organizzazioni pan-europee che si trovano a un livello avanzato dichiarano di avere una probabilità due o tre volte superiore di ottenere vantaggi significativi rispetto alle loro omologhe classificate a uno stadio ‘limitato’.

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Ad esempio, il 63% delle organizzazioni europee a un livello ‘avanzato’ di utilizzo delle API dichiara di poter garantire una customer experience migliore, rispetto al 23% degli utenti a un livello ‘limitato’. Allo stesso modo, il 62% degli utenti a livello ‘avanzato’ ha ridotto i tempi di rilascio delle app con potenziale di incremento di fatturato, contro il 25% degli utenti a un livello ‘limitato’. Per quanto riguarda poi l’ampliamento della copertura digitale — fattore cruciale per il successo nell’economia delle applicazioni — questo obiettivo è stato raggiunto da un numero di aziende a livello ‘avanzato’ quasi pari al triplo di quelle a uno stadio ‘limitato’ (il 57% contro il 21%).

“Le soluzioni di gestione delle API offerte da CA Technologies consentono alle aziende di valorizzare al massimo l’utilizzo delle API, mettendo a disposizione degli sviluppatori un ambiente sicuro e di facile utilizzo,  a supporto di iniziative di mobility e IoT su larga scala,” ha aggiunto Tittarelli.

Le organizzazioni europee in possesso di capacità avanzate di utilizzo delle API sono anche in grado di applicare una sicurezza più elevata. Lo studio mostra che il 74% delle realtà a un livello ‘avanzato’ ha implementato speciali misure di sicurezza per tutelarsi contro gli attacchi crittografici chiamati ‘man-in-the-middle’ che intercettano transazioni legittime, contro il 21% degli utenti a uno stadio ‘limitato’.