Francis Ford Coppola – Il cinema come impresa

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Le regole dell’innovazione. Sperimentare, rischiare e raccontare la verità

Ci voleva Francis Ford Coppola e tutta la sua capacità visionaria per trasformare un incontro in un evento e i ricordi personali in memoria collettiva. Il regista del Padrino e di Apocalypse Now ha saputo mettere a punto non solo un codice stilistico, ma anche un codice etico che ha guidato le scelte artistiche e di vita.

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È accaduto al Teatro dal Verme di Milano. Co-protagonisti la Regione Basilicata in partnership con Matera 2019, Lucana Film Commission, Meet the Media Guru, Città Metropolitana di Milano e il Comune di Matera. Passato, presente e futuro. Nel tempo, Coppola ha mantenuto vivo il legame con la terra d’origine, la Basilicata, tra nonni e bisnonni che avevano gli stessi nomi, come in un romanzo di Gabriel García Márquez.

Nel 2012, ha aperto a Bernalda in provincia di Matera, luogo di origine della famiglia, il meraviglioso Palazzo Margherita, che è diventato un luxury hotel. E attualmente, sta lavorando a un progetto per promuovere la formazione di giovani registi e sceneggiatori. Il cinema di Coppola e le sue scelte di produttore si ispirano a cinque regole principali. «Cercare sempre la verità. Raccontare storie originali. Sperimentare usando la tecnologia. Autofinanziarsi e prendersi tutti i rischi in prima persona». Del resto, il cinema stesso dalla sua nascita è innovazione, sperimentazione e rischio. Più che maestro di cinema, Coppola si sente ancora un apprendista e per questo alla formula accademica della lectio magistralis preferisce il confronto diretto con il pubblico. «Le idee migliori nascono dal confronto e dalla collaborazione. Il cinema è lavoro di squadra».

La sceneggiatura come piano industriale

Un amalgama di storia e cultura che restituisce una delle istantanee più potenti del nostro tempo. I racconti degli emigranti, che all’inizio del Novecento cercano fortuna in America, diventano la metafora della voglia di riscatto e di realizzazione. Oggi, parleremo di startup e di cervelli in fuga. Del resto, non è una novità. Ogni giorno, c’è chi lotta per realizzare i propri sogni: «C’è chi si arrende e chi invece si rialza, senza paura di cadere un’altra volta». Sta tutto qui anche il significato di innovare e fare impresa. «Se il potere perde il suo scopo e diventa fine a se stesso. Se la finanza non è più al servizio dell’economia e la tecnica non è più uno strumento al servizio della conoscenza. Allora, si crea una specie di alterazione della realtà che svuota l’esistenza». Così, la routine quotidiana diventa insopportabile. «Tutti connessi, ma tutti irrimediabilmente soli». E allora, vale la pena chiederci, tra un meeting d’affari e una riunione del consiglio di amministrazione, tra un briefing e una conference call, su e giù da un taxi per raggiungere l’aeroporto, qual è la forza che ci spinge a non arrenderci? Che cosa ci impedisce di trovare strade nuove? Per Coppola, «la sceneggiatura è come il piano industriale di un’impresa. Il regista è l’amministratore delegato e l’ufficio casting è come il reparto delle risorse umane». In tutte le sue produzioni ci sono tecnici e poeti: «I poeti sono i creativi, gli artisti, quelli che contribuiscono con le idee. Gli ingegneri sono come i CIO incaricati di sviluppare quelle idee attraverso le soluzioni tecnologiche più adatte. La prima cosa da fare per un regista è chiedersi qual è l’obiettivo del film così come un imprenditore si chiede qual è l’obiettivo della sua società. Se non vi viene in mente qualcosa, allora uscite, fate una passeggiata e guardatevi intorno. Per me, il lavoro deve rispondere a uno scopo che non è solo quello di fare soldi. Ogni impresa deve rispondere ai suoi clienti. I miei i clienti sono gli spettatori».

Comprendere la realtà

Nel film, Il Padrino, premiato con tre Oscar e icona della storia del cinema mondiale, che cosa impedisce al figlio Michael (Al Pacino) di seguire le orme di Don Vito Corleone (Marlon Brando)? Qui c’è tutto il tema delle scelte e del ruolo di quelli che succedono al capo. Non solo. Siamo tutti ossessionati dai risultati e dalle performance. C’è chi farebbe di tutto per togliere quote di mercato al proprio concorrente o per aumentare di qualche punto percentuale le vendite trimestrali. In un altro film (The Conversation, 1974), Francis Ford Coppola pone già il tema della privacy, della sicurezza e delle intercettazioni. Quanti pezzi della nostra vita siamo disposti a consegnare nelle mani di un innominabile “committente” in cambio di uno sconto, di un servizio o di una maggiore sicurezza? In Apocalypse Now (1979), Coppola affronta il tema attualissimo dei “signori della guerra” e della degenerazione della società destinata a diventare una guerra di tutti contro tutti se si scambia il fine con il mezzo. Nel 1988, Coppola racconta la storia di Preston Tucker nel film Tucker, un uomo e il suo sogno, in cui il visionario inventore deve lottare contro la politica corrotta e le industrie automobilistiche dell’epoca che controllano il mercato e frenano il cambiamento.

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Il tema del limite ritorna in un’altra pellicola basata sull’omonimo romanzo di John Grisham, L’uomo della pioggia (1996), in cui il giovane avvocato alla sua prima causa, Rudy Baylor, si trova a sfidare una delle più grandi società di assicurazione americane in una causa di risarcimento. Nel monologo finale, il protagonista racconta che ogni avvocato almeno una volta in ogni causa sente di superare una linea che non intendeva veramente oltrepassare. E se capita di farlo molte volte la linea sparisce per sempre. Nelle nostre scelte e decisioni, quanto è importante rispettare le regole e non avvicinarci a quella linea?

L’album dei ricordi

Sfogliando l’album dei ricordi, da ragazzo mamma Italia gli diceva: «Tu sei fortunato a essere nato in America». Il padre Carmine, invece gli parlava delle sue origini italiane, della poesia di Dante, della musica di Verdi e dell’arte di Michelangelo. Il regista ha sempre dichiarato di sentirsi italiano e americano al tempo stesso. «Da figlio di migranti non posso che mostrare attenzione ai migranti di oggi. Ci vorrebbe un Rossellini per raccontare questo dramma. Oggi, il cinema è sempre più intrattenimento e meno arte e impegno civile».

La trisnonna, Filomena, faceva la sarta. «Aveva la brutta abitudine di grattarsi il naso con gli attrezzi da lavoro e così finì per prendersi un’infezione. Per curarsi andò a Napoli, ma il medico le disse che per guarire avrebbe dovuto rimuovere completamente il setto nasale». Da quel giorno in paese, tutti iniziarono a chiamarla “Filomena senza naso”. Eppure, rimasta senza naso e poco dopo anche senza marito, da sola e con il piccolo laboratorio di sartoria riuscì a mantenere quattro figli, tra cui il nonno Agostino.

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«Forse, occorre smetterla di lamentarsi e cercare di impegnarsi di più. Il mondo è pieno di gente che si arrende alla prima difficoltà. Invece, bisogna stringere i denti e andare avanti. E se non si riesce al primo tentativo, bisogna rialzarsi e insistere. Senza mentire a se stessi e senza dare la colpa agli altri per i propri fallimenti».

La ricerca della verità

«Nei miei film, ho sempre cercato di raccontare la verità. La ricerca della verità dovrebbe guidare le scelte di tutti. La verità però non è sempre la scelta più utile o più comoda. Richiede fatica e lavoro. La verità divide e spaventa. Per paura di perdere qualcosa o qualcuno si preferisce ricorrere alle menzogne. L’Italia, nella sua storia, ha subito ogni tipo di invasione. Gli italiani per difendersi dagli invasori hanno imparato a mentire. Alla fine non sono stati più capaci di dire la verità neppure a se stessi. Perché la bugia è una trappola che non lascia via d’uscita. Essere onesti con se stessi e con gli altri è la scelta migliore che si possa fare. La verità è la cosa più semplice e migliore di questo mondo».