La sfida della ricerca contro il cancro si concentra sulla nanomedicina: eliminare gli effetti collaterali e aumentare la precisione dei farmaci, questi gli obiettivi
Un po’ cavallo di Troia, un po’ Caronte. Ecco come saranno i nanofarmaci che i ricercatori, in Italia, in Europa e nel mondo, stanno sviluppando per battere il cancro. Si lavora per sviluppare sistemi che trasportino il farmaco solo nelle cellule malate, annullando così gli effetti collaterali di una somministrazione massiccia che lo diffonderebbe ovunque. Nanoveicoli che navigano nell’organismo per portare il farmaco dove occorre, invisibili al suo sistema immunitario e capaci di superare le barriere biologiche attive nel nostro organismo per difenderci da corpi estranei.
Se ne è parlato questa mattina nel corso del Nano World Cancer Day 2016, evento internazionale organizzato da ETPN (European Technology Platform for Nanomedicine, un organismo che raggruppa istituzioni di ricerca, aziende farmaceutiche e scienziati per promuovere la ricerca e lo sviluppo della nanomedicina) in collaborazione con istituzioni locali. La conferenza stampa italiana, una delle 12 simultanee organizzate in Europa, dal Regno Unito alla Svizzera, alla Germania, Francia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda, Austria e Turchia, è stata organizzata dall’Università di Milano-Bicocca e dalla Fondazione IRCCS Istituto dei Tumori.
Alla conferenza stampa presso l’Università di Milano-Bicocca hanno partecipato Cristina Messa, rettore dell’Ateneo, Furio Gramatica, responsabile Health technology della Fondazione Don Gnocchi e membro del comitato esecutivo dell’ETPN, Nadia Zaffaroni, direttore della struttura complessa di Farmacologia Molecolare della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Federico Pantellini, Medical Affairs Director Oncology Celgene Italia, Federico Caligaris Cappio, Direttore Scientifico AIRC, Francesco Nicotra, ordinario di Chimica Organica dell’Università di Milano-Bicocca e membro dell’ETPN.
I vettori, che hanno una grandezza che va dai 20 ai 500 miliardesimi di metro, hanno spiegato i ricercatori riuniti in Bicocca, si adattano sia ai tradizionali farmaci chemioterapici sia ai farmaci biologici (acidi nucleici, proteine): entrambe le classi di farmaci hanno bisogno di nano-shuttle che li portino alla destinazione desiderata, ad esempio il tessuto tumorale.
Doppia azione contro il cancro
Raggiunta la destinazione occorre ancora superare le barriere biologiche. A tal fine si stanno sviluppando due differenti strategie. «Una – ha spiegato Francesco Nicotra – prevede l’apertura delle porte” col rilascio del farmaco prima del superamento della barriera; se il farmaco è una piccola molecola, potrà essere in grado di superarla per diffusione. L’altra, indispensabile per i farmaci che non sono in grado di diffondere, consiste nel dotare la nanoparticella di una “chiave” per attraversare la barriera e aprire le porte solo dopo averla superata. Le barriere dispongono infatti di sistemi di trasporto che riconoscono le sostanze utili e ne consentono il passaggio».
La ricerca è attualmente concentrata sui sistemi di riconoscimento della fermata giusta, sui metodi per aprire le porte e sulle chiavi per superare le barriere. Anticorpi e ligandi di recettori espressi in abbondanza dalle cellule tumorali, ultrasuoni da indirizzare sul tumore per fare collassare le nanoparticelle sono solo alcuni esempi.
«In questo contesto – ha detto Nadia Zaffaroni, direttore della struttura complessa di Farmacologia Molecolare della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori -, l’Istituto Nazionale dei Tumori, in collaborazione con ricercatori leader mondiali nel settore delle nanotecnologie, come il professor Mauro Ferrari dello Houston Methodist Research Institute e il professor Frank Caruso dell’University of Melbourne, sta studiando a livello preclinico la rilevanza terapeutica di nanoparticelle “intelligenti” capaci, ad esempio, di concentrarsi specificamente a livello delle aree di infiammazione nel tessuto tumorale mimando la struttura dei globuli bianchi o altre in grado di aprirsi rilasciando le molecole terapeutiche solo dopo l’internalizzazione nelle cellule tumorali sfruttando caratteristiche chimico-fisiche».
«La nanomedicina – ha commentato Federico Pantellini, Medical Affairs Director Oncology Celgene – è una strada innovativa intrapresa da qualche anno dal settore farmaceutico e biotecnologico, che sta aprendo scenari inaspettati nel trattamento di tumori difficili da curare come il carcinoma del pancreas, della mammella e del polmone in fase avanzata ma l’innovazione richiede investimenti: il biofarmaceutico è leader in Europa tra gli altri settori industriali per l’impegno in Ricerca e Sviluppo. Celgene, dal canto suo, reinveste il 30 per cento del fatturato in R&S, un impegno che si traduce in una solida pipeline in oncologia, guidata da un farmaco innovativo che coniuga un principio attivo di efficacia antitumorale comprovata, paclitaxel, con una tecnologia d’avanguardia basata sulle nanoparticelle (NabTM)».
L’impatto della nanomedicina
In Europa sono più di 500 le piccole e medie imprese, tra farmaceutiche, aziende di biotech, chimiche e tecnologie mediche, che operano nella nanomedicina, 150 negli Stati Uniti. Attualmente sono circa 49 i nanofarmaci presenti sul mercato, per un valore complessivo che oscilla tra i 100 e 130 miliardi di dollari. Sul fronte della sperimentazione sono più di 230 i nanofarmaci attualmente testati sull’uomo, il 30 per cento dei quali sono farmaci per la cura del cancro.
L’Unione Europea, tra il 2008 e il 2014, ha finanziato più di 50 progetti di nanomedicina che vanno dalla messa a punto di nuovi sistemi di somministrazione dei farmaci nanostrutturati alla medicina rigenerativa, fino alla creazione di nanoparticelle per la diagnostica precoce. Uno sforzo importante alla luce del fatto che con 4 milioni di nuovi casi all’anno e 8,2 milioni di decessi (nel 2012, fonte World Cancer Report 2014), il cancro è la causa principale di morte e comorbilità a livello mondiale e, nonostante i grandi passi avanti nelle cure, rimane letale nella metà dei casi. Nelle prossime due decadi è attesa una crescita del 70 per cento di nuovi casi di cancro. Dalla nanomedicina ci si attende il più forte contributo alla soluzione di questa piaga.
«La nanomedicina – ha concluso il rettore Cristina Messa – è uno dei campi nei quali eccelle il sistema della ricerca di Milano e della Lombardia. Sistema che può e deve dare un contributo a questo importante tassello lo sviluppo di una medicina di precisione, fine ultimo di molti progetti, fra cui il più recente Human Technopole».