Alla Statale di Milano l’IEEE World Forum sull’IoT è l’occasione per fare il punto sul futuro dei veicoli a guida autonoma con Mario Gerla, ingegnere italiano da mezzo secolo in California
Lo scorso dicembre, per tre giorni, Milano è stata la capitale mondiale della Internet delle Cose. La celebre associazione degli ingegneri americani, la IEEE, ha infatti scelto la sede storica dell’Università Statale per il suo forum mondiale dell’IoT e nelle aule dell’ateneo si sono avvicendate decine di team di ricercatori che hanno presentato i loro progetti basati su sensori, nuovi protocolli di trasmissione in radiofrequenza e laser, convertitori, attuatori e le altre diavolerie di una realtà fisica sempre più interconnessa e intelligente. Sul palco dei keynote inaugurali, insieme a personaggi del calibro di Vinton Cerf, c’è anche il coetaneo Mario Gerla, laurea al Politecnico di Milano nel 1966. «Poi, nel 1969 – racconta Gerla dopo il suo intervento dedicato alle reti veicolari – sono partito per gli Usa per il dottorato. Dovevo starci solo nove mesi».
L’Internet dei Veicoli
Quei nove mesi tra un po’ saranno diventati mezzo secolo. Mario Gerla è un autorevole esponente della University of California, Los Angeles, la scuola dove ha conseguito il PhD. Teorico, ricercatore, inventore, Gerla ebbe un ruolo non marginale agli albori della rivoluzione digitale, quando fu chiamato a definire i protocolli di Arpanet. «Allora ovviamente, ero focalizzato sulle reti fisse, sulle problematiche di routing, instradamento dei pacchetti sul Layer 3, (il livello rete del modello Osi, ndr) poi sul futuro Tcp, il protocollo di trasporto dei dati su Internet». Il discorso di Gerla è tutto incentrato sulle problematiche future, ma ormai a breve termine, della cosiddetta IoV, la Internet dei Veicoli, una delle tematiche più trattate nelle conferenze e nei paper presentati all’IoT World Forum 2015. «L’obiettivo è la convergenza di automobili e altri mezzi di trasporto nella grande famiglia di Internet delle Cose – annuncia Gerla nel corso del suo “speech”. Oggi, grazie all’elettronica, i veicoli stessi sono già diventati delle piccole reti farcite di sensori, interni ed esterni. L’intero veicolo è una grande sorgente di “messaggi” e allarmi che interessano non solo i guidatori ma tutta una serie di parti interessate, le case automobilistiche, le assicurazioni, le autorità che regolano i trasporti, le forze di sicurezza».
Oggi, come ai tempi di Arpanet e del protocollo Tcp, si tratta di mettere insieme milioni di queste reti a quattro ruote per ottimizzarne i consumi, regolare meglio i flussi e i picchi di traffico, ridurre il numero di incidenti. «Ci sono molte similitudini – osserva Gerla – tra il percorso evolutivo della Internet dei Veicoli e la IoT applicata a un’altra grande infrastruttura, la rete elettrica». Si tratta in entrambi i casi di tracciare un percorso dalla assoluta “manualità” delle decisioni a forme progressive di automatismo e vera e propria autonomia. Una strada che nel caso della smart grid parte dai termostati e gli altri dispositivi regolati manualmente e si evolve verso le decisioni che operatori umani riescono a prendere grazie a informazioni generate a livello di sistema; fino ad approdare a reti di alimentazioni ed edifici in cui la gestione della generazione e dei consumi di energia è completamente automatizzata.
«Nelle automobili avverrà lo stesso, si parte dalla totale manualità, passando da forme sempre più evolute di trasporto assistito da navigatori, strade intelligenti, multimodalità. Fino alla realtà dei veicoli a guida completamente autonoma». Lo scienziato italiano vede però una notevole differenza in un punto, su cui non a caso si sta concentrando l’attenzione dei ricercatori. «Se il dialogo tra le “cose” connesse nelle reti elettriche si limiterà a pochi messaggi, nel caso della cosiddetta V2V, vehicle-to-vehicle communication, le interazioni sono numerose e assolutamente critiche».
Intelligence e sicurezza
Conversando con Gerla alla conclusione della sua conferenza, emergono le perplessità del ricercatore italiano sull’approccio adottato finora dalla stessa Google. «La loro enfasi è stata fin dall’inizio sulla “comprensione” delle immagini video, per poter interpretare le intenzioni dei veicoli circostanti. Si era pensato che la vision intelligence potesse bastare per autoregolare la guida, ma la sicurezza di un veicolo autonomo è qualcosa che devi impostare prima, non dopo che questo è diventato intelligente». Il problema della driverless car, secondo Gerla e i suoi colleghi dell’Ieee, deve essere affrontato in modo molto più sistemico: esattamente come è avvenuto con il passaggio dalla microinformatica discreta al client/server distribuito e al cloud computing, lo scopo deve essere quello di individuare un compromesso tra l’intelligenza del singolo veicolo come piattaforma per l’IoT e un modello di distribuzione dell’intelligenza necessaria per l’autonomia decisionale basato su quella che Gerla definisce la Mobile Vehicle Cloud.
«Nella Internet tradizionale c’è un forte modello di centralizzazione delle reti e dell’intelligenza» – ha spiegato Gerla. Con il mobile cloud computing tradizionale, i ricercatori intendono ancora un modello in cui la periferia della rete accede al centro dai dispositivi mobili. Ma nel cloud veicolare le informazioni sono tantissime, le risorse di spettro per la comunicazione scarseggiano». La risposta è la IoV, in cui i veicoli stessi rappresentano, su scala locale, una piattaforma in grado di eseguire applicazioni distribuite che sarebbe complesso centralizzare sui cloud convenzionali. Una di queste applicazioni, resa possibile da una forte capacità di comunicazione dati tra singoli veicoli è il cosiddetto “platooning”, ovvero la capacità dei singoli veicoli a guida autonoma di percorrere lunghi tratti di strada in piccoli gruppi, procedendo quindi in “colonne” ordinate. Dove è l’intelligenza di bordo a decidere come mantenere sempre la corretta distanza tra i veicoli che formano il plotone.
Il trasporto veicolare, ha dichiarato Gerla, ha davanti a sé diverse sfide. La sicurezza dei passeggeri (negli Stati Uniti perdono la vita oltre 30mila persone all’anno in incidenti che rappresentano una delle prime cause di mortalità nella fascia anagrafica dai 4 ai 35 anni). La necessità di assicurare il trasporto di milioni di pendolari, che sempre negli Usa bruciano oltre 4 miliardi di ore lavorative all’anno nelle congestioni di traffico. E la salvaguardia ambientale a fronte di miliardi di litri di benzina sprecati e del CO2 generato per colpa del funzionamento discontinuo dei motori. I veicoli autonomi e le cloud veicolari possono rappresentare una soluzione, a patto di risolvere anche una serie di minacce alla incolumità, alla sicurezza nei confronti dei cyberattacchi, alla privacy delle persone. Quanto tempo ci vorrà per mettere a posto tutti i pezzi? «Case automobilistiche come Tesla sono molto aggressive, pensano che basteranno cinque anni» – risponde Mario Gerla. Né lui, né i suoi colleghi riuniti a Milano sono sembrati altrettanto ottimisti.