San Marino non può restare ferma al palo

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Qualche tempo fa una mia uscita sull’edizione telematica di un noto quotidiano ha sollevato un polverone. Niente di strano, almeno per chi conosce la mia “vivacità”. Ho quasi involontariamente – Colombo docet – scoperto una nuova America. E ho immaginato che, nel Vecchio Continente, si possa prefigurare una Silicon Valley 2.0….

Una valanga di osservazioni, qualche polemica, persino il rimbrotto di aver scelto un’area geografica che non era una valle. I miei occhi, infatti, si erano fissati su San Marino che – grazie ad una finora, a mio avviso, mal sfruttata indipendenza – avrebbe tutte le carte in regola per diventare la terra promessa per le sperimentazioni tecnologiche e per la creazione di un business telematico di tutto rilievo.

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La possibilità di varare leggi con rapidità, di realizzare qualcosa che sia tanto conforme alla normativa di una Unione Europea – estranea politicamente ma non fisicamente – quanto innovativa e futuribile, di generare un “modello” di funzionamento senza le farraginose complicazioni e le troppe interferenze di una Nazione più grande, sono alcuni dei fattori che un Paese-bonsai non può o non deve rinunciare a sfruttare.

La cosa ha cominciato ad appassionarmi. Le dimensioni “regionali” sono effettivamente un inestimabile punto di forza, a cominciare dalla definizione dell’assetto infrastrutturale. Per un attimo ho immaginato come – in una simile realtà – non sia difficile concretizzare il sogno di una rete (sia questa fissa o mobile) di proprietà e gestione statale. A dispetto delle contagiose privatizzazioni, erroneamente considerate panacea e invece semplici opportunità per fare cassa, laddove non ci sia stata (o si possa ancora evitare) la granularizzazione dei protagonisti potrebbe valer la pena che una realtà pubblica assuma le redini del tessuto connettivo nazionale.

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La leggenda che “privato è meglio” la lascio raccontare a chi non ha conosciuto il fronte imprenditoriale e la pubblica amministrazione. Non è la cornice, ma quel che c’è dentro a fare la differenza.

Imbecilli e incapaci affollano entrambi gli schieramenti. La situazione italiana ne è la conclamata dimostrazione e la sconfortante situazione economica tricolore è conseguenza proprio dell’elevata densità di dirigenti non all’altezza dell’incarico o affamati cacciatori di quel che non spetta loro. Forse in un contesto più piccino, credo ragionevolmente interessato ad essere etichettato diversamente dallo stereotipo di “paradiso fiscale”, si potrebbe dare – udite, udite – il buon esempio…

Per un attimo mi appare l’ormai medievale Azienda Autonoma di Stato per i Servizi Telefonici. Correva l’anno 1925…. Basterebbe ripercorrere quella storia per copiarne le pagine meritevoli ed evitare l’epilogo che ASST ebbe nel 1993.

Si potrebbe ipotizzare, ad esempio, una rete mobile ecosostenibile in diretta contrapposizione con il fiorire indiscriminato di ponti radio che ha caratterizzato la Penisola.

La realizzazione di una infrastruttura moderna in mano allo Stato consentirebbe di perseguire gli obiettivi di salute pubblica (con grande gioia non solo degli ecologisti, ma dell’intera cittadinanza) e di sicurezza (con altrettanta soddisfazione unanime). Si potrebbero garantire una libera concorrenza sul mercato, ridurre i costi operativi per i gestori, ottimizzare le frequenze con l’incremento di qualità dei servizi erogati, controllare amministrativamente il traffico sulla rete così da pretendere dai singoli operatori il giusto “pedaggio”…

Il timore, però, che anche lì si possa inciampare nella frammentazione di un contesto che è delittuoso non mantenere sotto la sovranità della piccola Repubblica, nella proliferazione di installazioni, nella altrove solita babele di inefficienze, nella comprensibile insoddisfazione degli utenti che troppo spesso vengono dimenticati.

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Chi ha capacità decisionale non dimentichi le ormai immortali parole di Frankenstein Junior. Si può fare!