Silvestro Micera, verso la mano bionica

Le nuove frontiere della ricerca bioispirata. «Spirito di servizio, apertura e dedizione»

La tecnologia è empowerment. Serve a ridurre le differenze che creano squilibrio. La tecnologia permette a un malato di SLA di comunicare e a un bambino che ha perso le gambe di tornare a correre. La tecnologia permette di restare in contatto e aiuta a compiere imprese che sembravano impossibili. Come restituire la sensibilità di una mano, vedere di nuovo dopo un incidente, sentire la voce delle persone che amiamo per la prima volta. E forse, la tecnologia ci renderà più umani, con una completa integrazione tra “artificiale” e “naturale”. Ma quali sono i risultati recenti e le prospettive future della bioelettronica? Lo abbiamo chiesto a Silvestro Micera, nell’ambito della XIII edizione di BergamoScienza.

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Classe 1972, nato a Taranto, insegna all’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dirige le unità di ingegneria neurale e bioingegneria del Politecnico Federale di Losanna.

Silvestro Micera ha raccontato come è nato il progetto LifeHand 2 e come è stato possibile registrare le informazioni motore da nervi efferenti, utilizzando impianti intraneurali. «Abbiamo dimostrato che utilizzando questo approccio è possibile ripristinare la connessione bidirezionale tra la protesi di una mano e il sistema nervoso. Questa scoperta può aprire interessanti opportunità per lo sviluppo di nuove protesi innovative».

La mano bionica è un sogno inseguito dalla ricerca più avanzata. La mano è uno strumento potente e la sua perdita provoca gravi problemi dal punto di vista fisico e psicologico. La realizzazione di un impianto protesico versatile con controllo motore intuitivo e feedback sensoriale realistico è un passo avanti nella comprensione dei meccanismi biologici e avrà un impatto positivo sia dal punto di vista sociale sia economico. Finanziato dall’Unione europea e dal ministero della Salute, LifeHand 2 prosegue il programma di ricerca di CyberHand che per la prima volta al mondo ha sperimentato la risposta di comandi di movimento trasmessi direttamente dal cervello del paziente. LifeHand 2 è uno dei «frutti» della ricerca di base a livello internazionale che vede l’Italia impegnata in prima linea con la sua squadra di giovani talenti. Per Silvestro Micera, l’innovazione è «il modo più semplice per risolvere un problema al costo più basso e con il vantaggio più alto». E l’unico potere che conosce è quello della conoscenza e della forza di volontà delle persone disabili con cui ha lavorato. «Spirito di servizio, apertura e dedizione» sono le parole d’ordine per non perdere mai di vista l’obiettivo da raggiungere. «Bisogna essere aperti alle nuove idee e al cambiamento. Essere al servizio degli altri senza egoismo o arroganza».

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Ma senza nuove scoperte e senza innovazione è difficile essere competitivi. «Tutta la ricerca ha bisogno di essere finanziata» – spiega Micera. «La ricerca applicata rappresenta i frutti di un grande albero. E la ricerca di base, le sue radici. Un albero senza radici non può crescere e dare frutti». Parola di scienziato.

silvestro micera

Data Manager: Come nasce il progetto LifeHand2?

Silvestro Micera: Tutto è iniziato dall’idea di creare una protesi bionica. E quindici anni fa, abbiamo cercato di capire come fare. Tre anni fa, c’è stata la svolta, quando finalmente abbiamo messo a punto il tipo di elettrodo da impiantare per stabilire una connessione bidirezionale tra il sistema nervoso periferico e la protesi. Quando abbiamo realizzato l’interfaccia, grazie al neurologo Paolo Maria Rossini, che adesso lavora al Gemelli, è stato possibile mettere a punto tutti gli aspetti clinici del progetto. Trovato il paziente, trovata l’interfaccia e il responsabile della supervisione clinica, si trattava di capire come potevamo restituire informazioni tattili al paziente. L’impianto ha avuto una durata di quattro settimane. Durante questo periodo di osservazione, il paziente impiantato ha riacquistato la sensibilità della mano. Attraverso dei sensori siamo riusciti a trasformare le informazioni sensoriali artificiali in stimoli elettrici al nervo periferico, che utilizzando l’interfaccia neurale permettevano al paziente di comprendere le caratteristiche fisiche dell’oggetto. L’obiettivo al quale stiamo lavorando adesso è di passare da un tipo di impianto temporaneo a uno di tipo permanente.

Il futuro della ricerca è quello della collaborazione internazionale?

Di recente, un amico ha postato su Facebook la foto del Congresso Solvay del 1927, al quale avevano partecipato 17 Premi Nobel, tra cui Max Planck, Marie Curie, Albert Einstein e Niels Bohr. La collaborazione c’è sempre stata. E secondo me ci deve essere. Fa parte del mondo della ricerca. La questione è un’altra. Se vogliamo una squadra di calcio capace vincere la Champions League, allora bisogna cercare giocatori di talento. La nazionalità non conta. Dal punto di vista dei finanziamenti, vorrei che il ministro dell’Istruzione, ponesse la questione dei fondi alla ricerca nelle priorità della sua agenda. La collaborazione è necessaria per recuperare fondi, ma è indispensabile perché solo così si può lavorare con i migliori.

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L’interfaccia uomo-macchina non è fantascienza. La tecnologia sarà sempre più ibrida?

Mio figlio frequenta la scuola materna, e tra i suoi compagni di scuola, c’è un bambino – come dice lui – con “l’apparecchietto”. In realtà, si tratta di un impianto cocleare. In pratica, un orecchio artificiale. Gli anziani hanno impianti ai femori. Molti malati di Parkinson hanno impianti a livello del talamo per la stimolazione celebrale profonda. Quindi la tecnologia è già ibrida. E sarà così nel futuro. Con tutti i rischi e con tutte le opportunità da cogliere.

Quanto è importante il ruolo della ricerca pura?

Quello che serve nel mio settore di attività è moltissima ricerca di base. La ricerca di base è fondamentale perché ci permette di sperimentare nuovi materiali per realizzare elettrodi impiantabili più biocompatibili e più performanti. Ci permette di capire meglio come funziona il sistema nervoso e il controllo del movimento.

Senza nuove scoperte e senza innovazione è difficile essere competitivi. Tutta la ricerca ha bisogno di essere finanziata. La ricerca applicata rappresenta i frutti di un grande albero. E la ricerca di base, le sue radici. Un albero senza radici non può crescere e dare frutti.

Qual è il ruolo dell’ICT nell’ambito della ricerca biomedicale e delle biotecnologie?

L’ICT è determinante per il lavoro di ricerca. E il cuore di un sistema di neuroprotesi si basa prevalentemente sull’ICT. Significa disporre di algoritmi per utilizzare meglio i segnali che preleviamo. Significa avere potenza di calcolo per fare molte più cose, in meno spazio, con una velocità maggiore e soprattutto con un dispendio minore di energia. Il calcolo energetico è ancora un collo di bottiglia nelle nostre applicazioni che sono energivore. Da questo punto di vista, dobbiamo farci ispirare dalla natura per capire come attuare scambi di informazioni e movimenti a bilancio energetico zero. O con batterie sempre più piccole e sempre più potenti. L’analisi dei dati è anche un aspetto molto importante nell’elaborazione dei segnali. La quantità di dati che utilizziamo cresce sempre di più. Dobbiamo gestire diversi tipi di dati legati a uno stesso evento e dobbiamo capire come utilizzarli.

Che cosa significa ricerca bioispirata?

Prima di imitare la natura, la cosa veramente importante è comprendere i meccanismi naturali. La natura ha avuto milioni di anni per ottimizzare certi meccanismi biologici. Studiare questi meccanismi ci permette di capire come una persona sana cammina per essere in grado di aiutarla nella riabilitazione o in condizioni di malattia. La ricerca ispirata dalla natura non è solo replicazione, ma comprensione profonda di noi stessi e dell’universo per una nuova generazione di innovazione sempre più compatibile con la vita e sempre più sostenibile.

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Che cosa significa innovazione?

Innovazione per me significa trovare il modo più semplice per risolvere un problema al costo più basso e con il vantaggio più alto.

Che cosa è il potere?

Non so cosa sia il potere. Nel mio lavoro conosco il potere della conoscenza. E la forza di volontà delle persone disabili.

Qual è la lezione più importante che ha imparato?

Spirito di servizio, apertura e dedizione. Bisogna essere aperti alle nuove idee e al cambiamento. Essere al servizio degli altri senza egoismo o arroganza, insieme alla capacità di lavorare con convinzione per raggiungere l’obiettivo.

Quando da bambino giocava nella periferia di Taranto, chi sognava di diventare da grande?

Più o meno, quello che sono diventato.