Tre ricercatori dell’Università del New South Wales in Australia sono in procinto di accelerare la realizzazione del codice quantico
La tecnologia del silicio sembrava agli antipodi dell’informatica quantistica, o quasi. Le attuali strutture di cui sono fatti i computer moderni non sembravano infatti in grado di veicolare i tanto discussi qbit, ovvero i bit quantistici, molto più performanti dei bit classici, capaci di assumere solo i valori 0 e 1. Eppure un team dell’Università del New South Wales in Australia ha dimostrato che è possibile scrivere e manipolare codice quantico utilizzando due qbit in un microchip di silicio. Grazie alla teoria, i ricercatori hanno creato un esperimento basato sul fenomeno conosciuto come “quantum entanglement” che permette di analizzare una particella esattamente nel momento in cui passa l’informazione a quella successiva, indipendentemente dalla distanza alla quale le due si trovano.
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Cosa succede
L’esperimento ha riguardato due particelle quantiche, un elettrone e il nucleo di un singolo atomo di fosforo, all’interno di un microchip di silicio. La novità, rispetto ai test precedenti è proprio nel silicio: un ambiente in cui in precedenza i singoli fotoni non riuscivano a trasferire i dati in modo funzionale, spesso distruggendoli durante il viaggio. L’idea geniale è stata quella di porre il primo qbit nella posizione “0” e successivamente nella super position (possibile solo nella fisica quantica) +1, e allo stesso modo è stato fatto per il secondo qbit. In questo modo i due fotoni hanno cominciato a dialogare, senza perdita di qualità. Il tutto all’interno di un contesto al silicio che è, in teoria, replicabile sui computer classici, persino smartphone e tablet che nel prossimo futuro potrebbero fare a meno di centinaia di bit per averne solo due, ma quantici.