Trasformazioni (ir)ragionevoli

Intelligenza artificiale programmatically crazy

La trasformazione digitale è davvero un destino inevitabile per qualsiasi impresa in qualsiasi settore? Cosa succede quando il consumatore digitale prende il sopravvento sul consumatore tradizionale?

Non importa quale sia il settore di riferimento della vostra impresa, presto o tardi dovrete confrontarvi con il tema della Digital Business Transformation. Sia che lavoriate nel settore dell’editoria come il Washington Post, oppure nel retail come Tesco, o ancora nel manifatturiero come la Ford, non importa quanto il vostro business sia consolidato da decenni: siate pure certi che da qualche parte nel mondo le tecnologie della Terza Piattaforma stanno trasformando radicalmente il mercato, rendendo obsolete non solo le infrastrutture IT, ma il vostro modello di business.

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La rilevanza di questo tema rispetto all’intero tessuto industriale talvolta non è così immediatamente evidente: senza dubbio non dipende dal relativo posizionamento in settori hi-tech oppure ad alta intensità di investimenti in nuove tecnologie, come non dipende certo dal diverso grado di orientamento ai servizi e all’informazione dei modelli di business, come viene testimoniato da un numero sempre maggiore di casi studio, tra cui quelli citati. La capacità manageriale di affrontare cambiamenti tecnologico-organizzativi, da un lato, e la capacità di gestire processi produttivi a elevato contenuto di informazioni, dall’altro, sono condizioni necessarie ma non sufficienti nei processi di trasformazione industriale di cui si tratta: sono fattori che si potrebbero definire “catalizzatori” di un più generale processo di rinnovamento industriale, che a partire dal settore ICT, dai media e dai servizi personali, sta progressivamente coinvolgendo una fascia sempre maggiore di imprese.

Consumatori digitali

Il razionale comune tra esperienze e applicazioni in settori industriali anche molto diversi deriva da un fattore che esula (quasi) del tutto dal controllo del management aziendale ovvero dal comportamento del consumatore e da come è cambiato radicalmente nel corso di trent’anni per effetto della socializzazione attraverso il web: se la Generazione X ha cavalcato fino dagli anni 80 i nuovi modelli di interazione e consumo; se i Nativi Digitali e i Millennials sono di fatto nati senza alcuna memoria del modus vivendi che li precedeva, ormai anche i Baby Boomers sono stati raggiunti dall’onda lunga delle trasformazioni e hanno presto adeguato una parte importante delle loro abitudini per diventare consumatori digitali. Al di là delle specificità anagrafiche, che dipendono in misura importante dalla piramide demografica nei diversi paesi, e peraltro non sono più in realtà l’elemento saliente di una segmentazione del mercato sempre più attenta alle inclinazioni piuttosto che alle parvenze, alcuni tratti del consumatore digitale sono comuni ed emergono con diversa evidenza in diversi studi IDC. Proponendo quella che non può che essere una sintesi, è possibile quantomeno evidenziare alcuni tratti distintivi: la costante, quasi ossessiva, connessione alla rete; la ricerca di un contatto sempre più diretto e immediato con i brand, da un lato, e la continua ricerca di una identità specifica, autentica e non commerciale, basata su forme di comportamento agli antipodi di qualsiasi stereotipo e di qualsiasi profilazione statistica, dall’altro; la volontà di partecipare e collaborare come co-curatore e co-creatore dell’esperienza di consumo, personalizzando quanto più possibile qualsiasi scelta; un’esperienza di interazione sempre più formata attraverso meccanismi di tipo ludico e agonistico.

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Empowerment del consumatore

Il complesso di tante trasformazioni abilitate dal web ha portato a un sostanziale empowerment del consumatore che in qualsiasi aspetto delle proprie esperienze di consumo assai più che in passato sente la necessità di imporre la propria volontà senza compromessi, perché la tecnologia gli consente di fare valutazioni sempre più complesse, e soprattutto perché le circostanze, in particolare la carenza di tempo, attenzione e denaro, glielo impongono come stringente necessità, con un risultato che è esiziale per qualsiasi business e in qualsiasi settore: la fidelizzazione del cliente sta diventando sempre più difficile; il Customer Lifetime Value va riducendosi sotto processi di acquisizione sempre più costosi, mentre la Loyalty non è più paragonabile al passato, e basta davvero poco per perdere un buon cliente. Al di là di una pluralità di altri fattori che incidono in misura più o meno contingente, l’unico razionale davvero consistente per argomentare la Digital Business Transformation, e le sperimentazioni tecnologiche più avanzate basate sulle tecnologie della Terza Piattaforma, è la necessità di ristabilire una relazione paritaria con il consumatore digitale.

Sebbene non sia ancora possibile ricondurre la più ampia serie di sperimentazioni in ambito social, mobile, big data e cloud a una tassonomia del tutto coerente ed esaustiva del fenomeno della Digital Business Transformation, esistono tuttavia alcune linee di tendenza che emergono piuttosto chiaramente. La prima, e più comune, che rappresenta il filo rosso di tante sperimentazioni, si riferisce alla trasformazione dei canali di vendita e di relazione impiegando le tecnologie come engaging platforms: l’automazione di alcuni processi di front-end, la riduzione dei tempi di latenza e l’espansione dei percorsi esperienziali a disposizione del consumatore sono tratti comuni di questi sviluppi in una prospettiva che mette in evidenza un punto di partenza ben definito e una destinazione tutta da inventare. La seconda categoria di esperienze tecnologiche che hanno avuto, e stanno avendo un impatto trasformativo importante sui modelli di business, è l’impiego delle piattaforme di big data per una gestione più analitica del surplus del consumatore: sotto questo punto di vista, quanto stanno facendo le più grandi piattaforme di e-commerce, in termini di introduzione di nuovi meccanismi di pricing, nuovi sistemi di arbitraggio e trasparenza dei prezzi, nuovi meccanismi di incentivo in base al momento e alle circostanze di acquisto, dovrebbe rappresentare un esempio importante per qualsiasi impresa. Un terzo e ultimo aspetto è riconducibile alla creazione di nuovi ecosistemi basati sulla condivisione e la collaborazione: si tratta di multi-sided market, come per esempio il crowdsourcing, che vanno a rivisitare le relazioni tra intermediari nei settori più disparati secondo modalità del tutto inedite. Se la prima categoria di trasformazioni si rivolge al front-end, la seconda all’efficienza dei processi di back-end, la terza categoria (che consiste nel reinventare i rapporti di filiera, la rete dei partner e tra tutte le forme finora realizzate sul mercato) rappresenta quella di maggiore complessità per il suo inerente carattere sistemico.

Alchimia di ingredienti

Così come non esistono modelli di trasformazione validi per qualsiasi contesto aziendale, allo stesso modo non esistono framework che possano garantire una navigazione semplice e uniforme attraverso questo spazio di potenzialità aperto dalle tecnologie della Terza Piattaforma. Più che mai è indispensabile un’alchimia di ingredienti piuttosto rari: da un lato, un management dotato di una grande lungimiranza e capacità di visione, fattore erroneamente considerato scontato in molte occasioni ma che sicuramente non è scontato quando si affronta il tema della Digital Business Transformation; dall’altro, la disponibilità di risorse finanziarie per fare un investimento di medio e lungo termine che ha notevolissime componenti di rischio in uno scenario di mercato caratterizzato più che mai da tante incertezze. Dunque, che fare? Attendere nella speranza che il futuro porti un più ponderato consiglio oppure tentare il viaggio nella “terra incognita” cercando di creare il proprio futuro? Difficile rispondere: forse, conviene chiedere a Darwin.

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Giancarlo Vercellino, research & consulting manager – IDC Italia