Le vetrine dei venture capital hanno numeri sempre più alti, eppure qualche segno di decrescita già si vede. Riusciranno a evitare di diventare dei morti viventi?
Se vi dico la parola “zombie”, dove vi porta la vostra mente? Tralasciate qualsiasi film dell’orrore, qualsiasi ipotesi di fantascienza e sorvolate anche oltre il Frankenstein di Mary Shelley. Spostatevi verso orizzonti molto più lontani. Calatevi nell’ecosistema finanziario, nel mondo delle banche e del capitale di rischio. Ed ecco che la mente vi riporterà al titolo di uno degli ultimi report, pubblicato dal Wall Street Journal, sulle prospettive del mondo dei VC da qui a cinque anni, stando alla base di quanto emerso nel corso della conferenza Digital Life Design di Tel Aviv. Le preoccupazioni principali, in quell’occasione, hanno riguardato prevalentemente il rischio di aumento di venture capital zombie, ovvero di venture capital i cui investitori arrivano a fare valutazioni elevatissime, del tutto prive di fondamenti, senza che a ciò corrisponda un effettivo riscontro in termini di profitto.
Un venture capital zombie è un fondo che è riuscito a raccogliere il suo primo round di finanziamenti abbastanza facilmente, ma che successivamente arranca, procede a stenti, per cercare di ottenere il secondo o il terzo round e questo perché molte delle startup presenti nei loro portafogli hanno ottenuto il capitale sulla base di valutazioni gonfiate, esagerate e non rispondenti alla loro effettiva possibilità di profitto. Si tratta fondamentalmente di venture capital che saranno lasciati con portafogli esigui data l’esaltazione che solitamente circonda le aziende nella fase iniziale e le orde dei nuovi gestori di fondi senza il background necessario di competenze operative e di strumenti per identificare e creare le scommesse vincenti.
Stando all’analisi del Dow Jones VentureSource, su 46 società di VC affermate e indipendenti fondate in Europa nel 2011, 42 erano ancora inattive al 31 agosto 2015. Il numero di investimenti è andato sempre più riducendosi. Questi i numeri: 389 nel 2012, 252 nel 2013, 57 nel 2014, e solo tre a partire dalla fine di agosto di quest’anno.
Un esercito di zombie
Sempre secondo i dati del Dow Jones VentureSource, i venture capital zombie attualmente detengono oltre il 60% in più rispetto a due anni fa di investimenti non andati a buon fine. Nel 2013, questi venture capital detenevano oltre 80 miliardi di dollari di titoli. Il numero di tali fondi è andato aumentando da 999 nel mese di luglio 2013 a una cifra stimata di 1.049 un anno fa e di 1.180 oggi. Un fondo zombie mantiene i propri investimenti per molto più tempo rispetto al suo periodo di detenzione previsto, spesso perché non è riuscito ancora a vendere per ottenere un profitto. E’ stato stimato che alcuni tra i più tradizionali VC del 2008 abbiano titoli non realizzati di oltre 40 miliardi di dollari. Alcuni di questi fondi sono stati una fonte di deal flow per un certo numero di imprese di minore importanza, molte delle quali stanno esplorando piani di ristrutturazione della crisi come alternativa di sopravvivenza in un mercato competitivo. Tuttavia, la ristrutturazione di un portafoglio più anziano è spesso difficile perché richiede l’accordo degli investitori del fondo, che deve decidere se sostenere una proroga per la vita del fondo e di nuovi incentivi per il gestore del fondo.
Ma veniamo ai dati più recenti. Secondo quanto risulta da una ricerca della Kauffman Foundation, leader dell’imprenditorialità statunitense, è stato rilevato che su un campione di quasi 500 imprese a forte crescita, meno del 7% di tali imprese hanno ricevuto il capitale di rischio. Dow Jones VentureSource ha riferito che in Europa ci sono state 12 IPOs per un totale di 417 milioni di euro durante il primo trimestre del 2015, un declino dell’81% rispetto ai 2,25 miliardi di dollari dell’ultimo trimestre del 2014. Rispetto al primo trimestre del 2014 si è registrata una riduzione del 7%. Quasi la metà dell’ammontare totale è stata investita da venture capitalist che investono in startup nella fase di early-stage.
Niente paura
Sempre secondo quanto risulta dal DowJones VentureSource Report del 2015, le imprese europee hanno sollevato poco meno di 3 miliardi di euro per circa 345 piani di investimento durante il primo trimestre del 2015, un incremento del 41% dell’importo investito dal quarto trimestre del 2014, nonostante vi sia stata una riduzione del 5 % dei piani di investimento portati a termine in tutte le fasi. Rispetto all’anno precedente, gli investimenti sono aumentati del 63% nonostante una riduzione del 12% dei deals portati a termine. Tuttavia, nonostante l’allarme lanciato verso la prossima venuta dei venture capital zombie, sembra che per ora le prospettive non siano così negative. Almeno per ora.
La Germania senza dubbio è stata la destinazione più favorita per il finanziamento azionario durante il primo trimestre del 2015. è riuscita a raccogliere ben 921 milioni di euro attraverso 64 deals. Il paese ha preso il 35% di tutti i finanziamenti di equity per il trimestre, triplicando l’ammontare totale degli investimenti dell’ultimo trimestre 2014. Il Regno Unito si è aggiudicato sicuramente il secondo posto, attirando il 34% degli investimenti europei nel settore dei ventures con un totale di 886 milioni di euro. Al terzo posto, troviamo la Francia con 292 milioni di euro e al quarto posto l’Austria che ha attirato il 7% degli investimenti europei per un totale di 173 milioni di euro nel primo trimestre del 2015. Nella top list europea di IPOs registrate nel corso del 2015, troviamo Ascendis Pharma, azienda attiva nel settore della biofarmaceutica, con 89 milioni di euro, Nordic Nanovector AS, operante nel settore delle biotecnologie, con 58 milioni di euro e al terzo posto Banzai Spa, una società italiana, attiva nel settore dell’e-commerce con 54 milioni di euro.
Rimangono ancora positivi i dati concernenti il mondo dei venture capital statunitensi. Negli Stati Uniti, infatti, risulta che i venture capital abbiano raccolto ben 19 miliardi di dollari per 1.034 offerte nel secondo trimestre 2015, un aumento del 15% nel capitale raccolto, con un incremento del 12% in più rispetto al trimestre precedente. Rispetto allo stesso periodo del 2014, l’importo investito è salito del 24%, mentre il numero di offerte ha registrato una diminuzione minima. Le somme recenti sono ancora troppo basse per far pensare ai numeri del boom del 1990 delle dot-com, a quell’euforia generale che portava gli investitori a precipitarsi nel settore del capitale di rischio senza riserve. Ad ogni modo, l’orizzonte non è così scuro e come abbiamo visto, i numeri alla fine non sono così negativi. Ci sono stati periodi di crisi più grandi per i venture capital. Ma la preoccupazione principale del mondo della finanza riguarda proprio quei numeri positivi. Cosa succederebbe se quei numeri si fermassero alle sole fasi di pre-seed o di early-stage delle startup? E se quei numeri non trovassero corrispondenza in exit abbastanza sostanziose che cosa accadrebbe? Ecco che allora qualche preoccupazione sui venture capital zombie forse è fondata o quantomeno non può essere sottovalutata. Certamente, non si può credere alla fantascienza ma ai numeri sì. Speriamo quindi che possano vantare solide fondamenta altrimenti da qui ai prossimi cinque anni assisteremo alla caduta in men che non si dica di molti castelli di sabbia.