IBM e IDC sottolineano l’importanza di un corretto allineamento tra tecnologie IT flessibili e aperte e i maggiori trend di sviluppo del business nell’era della mobilità e di Big Data
Al tema del complesso legame tra tecnologie e crescita economica era dedicato l’evento territoriale “L’innovazione tecnologica a supporto del business”, organizzato da IBM in collaborazione con IDC, con l’intervento, insieme all’analista Sergio Patano, di Maurizio Rizzi, storage solutions leader e Andrea Vercellini, manager of client technical professionals di IBM Italia. L’incontro ha messo in luce l’importanza dell’adozione di tecnologie aggiornate, soprattutto ai fini della trasformazione di processo. Perché il ciclo innovazione tecnologica-crescita possa verificarsi, l’innovazione deve essere pervasiva. E deve partire dall’infrastruttura. «Il passaggio all’azienda digitale con l’implementazione dei pillar che sorreggono la Terza Piattaforma – cloud, mobile, big data & analytics e social – non può prescindere da una corretta e adeguata evoluzione dell’infrastruttura IT sottostante, in particolare server e storage» commenta infatti Sergio Patano, research & consulting manager di IDC Italia. «Il rischio sarebbe quello di trasformare l’IT aziendale in un “gigante dai piedi di argilla”, potente a vedersi, ma non in grado nel medio-lungo periodo di reggere le sfide di un mondo che si trasforma sempre più velocemente».
Videointervista a Stefano Gamboni, Director of STG Sales IBM Italia
In occasione dell’evento, IDC ha presentato i risultati di un nuovo studio condotto in Italia. Da cui si evince quanto gli investimenti in infrastruttura IT aziendale siano determinanti per attivare quel processo di trasformazione digitale in grado di rispondere concretamente alle richieste di cambiamento e rafforzamento del business. Oltre l’80% delle aziende italiane dichiara infatti oggi di avere problemi riconducibili a scelte architetturali che impattano sull’infrastruttura IT e la sua gestione. Di queste, oltre la metà – il 52% per la precisione, quindi il 42% sul totale – afferma che tale situazione limita di fatto la possibilità di procedere all’ammodernamento applicativo, ostacolando o vanificando l’implementazione di soluzioni e quindi di processi realmente innovativi.
Per un terzo delle aziende italiane (32%) intervistate da IDC, il “collo di bottiglia” infrastrutturale va oggi a ostacolare due fronti soprattutto dell’evoluzione del business: la collaborazione lungo la supply chain e il lancio di nuovi prodotti e servizi. Segue al 25% la richiesta di mobilità delle Line of business.
Dal punto di vista tecnologico, i fenomeni che secondo le aziende italiane stanno oggi incidendo maggiormente sull’evoluzione dell’infrastruttura IT sono nell’ordine la virtualizzazione (60%), il cloud pubblico (38%) e il cloud privato (35%). La mobility segue al quarto posto con il 26%.
Come si traducono questi dati in una possibile ricetta per un cambiamento infrastrutturale compatibile con le aspettative della trasformazione? Il primo suggerimento consiste nel dare priorità agli investimenti che vadano in direzione di un rafforzamento delle aree che supportano il cloud ibrido e la mobilità. A livello hardware bisogna puntare su componenti server, storage e di rete basate su architetture aperte. A livello di software infrastrutturale, IDC sposa una filosofia di stretto abbinamento tra innovazione e progressiva affermazione di ambienti open source, da Linux a Kvm, da Hadoop a OpenStack, come ideale terreno di coltura di cambiamento e “agilità”.
Videointervista a Francesco Casa, Manager of Storage Solutions IBM Italia
Proprio sull’agilità era centrato l’intervento di Andrea Vercellini, che ha identificato nella grande variabilità e diversificazione dei carichi di lavoro il fattore che sta guidando la necessità di rendere sempre più flessibili e efficienti le infrastrutture IT. Applicazioni un tempo monolitiche si trasformano in un’ottica di servizio altamente modulare e ricombinabile, le risorse hardware statiche del passato diventano elastiche grazie alla virtualizzazione, che investe le capacità di calcolo ma anche lo storage e la stessa architettura di rete e di banda. I dati perdono la loro rigida strutturazione e crescono enormemente di volume grazie al moltiplicarsi dei dispositivi utente e dei canali di interazione con i clienti. Esternalizzazione e open standard prendono il posto del codice e delle infrastrutture “di proprietà”.
E proprio sul valore del dato e sulla possibilità di trasformare grandi masse di dati non strutturati e real time in informazioni cogenti con gli obiettivi di business e capaci di promuovere nuove forme di relazione si è soffermato Maurizio Rizzi, illustrando l’offerta storage “software defined” di IBM. Un’azienda che in questi ultimi anni ha investito cospicue risorse finanziarie e umane sulle tecnologie di base (lo storage software defined, appunto, ma anche lo sviluppo di velocissime componenti di memoria di tipo flash) a supporto della cosiddetta “data economy”.