L’evoluzione del “fare” per cambiare il modo di “pensare” il business
Printing 3D e additive manufacturing. Dai componenti aeronautici della torinese Avio Aero, presentati all’ultimo Salone Internazionale dell’aeronautica di Parigi, alla partnership tra L’Oreal e Organovo per la produzione di tessuti umani per testare i cosmetici. Dalle protesi artificiali per gli arti inferiori, come quelle dell’Università di Bergamo, alle super batterie della Manchester Metropolitan University, fino alle caramelle gommose personalizzabili. Meraviglie tecnologiche della prototipizzazione rapida e della stampa 3D. La cosiddetta quarta rivoluzione industriale, supportata da un esercito crescente di makers e dalla nascita di nuovi luoghi come i fab lab – però – è ancora da venire. E per il momento, siamo qui a combattere con i problemi dell’organizzazione del lavoro delle rivoluzioni precedenti. Il 3D printing è un modello che resta relegato a una piccola parte della produzione mondiale e che non può ancora competere con la produzione di massa e le relative economie di scala nella produzione di beni di consumo. Ma grazie all’open-source, il “fai-da-te” rappresenta già oggi un’opportunità accessibile a tutti e a costi contenuti. Componenti complessi possono essere stampati come un unico oggetto. I tempi dello sviluppo di prodotto si stanno riducendo drasticamente e nel prossimo futuro, l’attuale modello di produzione industriale si trasformerà in un network globale di produzioni locali basato su infrastruttura cloud. In pratica, la stampa 3D promette di cambiare i processi di produzione industriale e, forse, anche il mondo. Le aspettative sono altissime.
Ma è veramente così? Abbiamo girato la domanda a Caterina Rizzi, direttore del dipartimento di Ingegneria gestionale, dell’Informazione e della Produzione dell’Università di Bergamo, che insieme a Jouni Partanen della Aalto University, ha fatto il punto sulle prospettive attuali e future della stampa 3D e dell’additive manufacturing nell’ambito della XIII edizione di BergamoScienza. L’additive manufacturing, come ci spiega Caterina Rizzi, raggruppa diverse tipologie di applicazioni che vanno dalla realizzazione di prototipi fisici alla produzione di attrezzature per lavorazioni e prodotti finiti. Le diverse tecnologie che rientrano nell’additive manufacturing possono venire impiegate in diversi settori dell’industria italiana, da quello automobilistico a quello dell’elettronica, della moda, del design, dell’architettura e della medicina. «Quest’ultimo settore è sicuramente uno dei più interessanti e promettenti e potrà avere grandi benefici dall’impiego di tali tecnologie grazie all’elevata personalizzazione che si può raggiungere. Queste tecnologie stanno iniziando a dimostrare un grande potenziale e rappresentano un’evoluzione delle modalità di produzione. Tuttavia, molti sono i problemi aperti, quali ad esempio i materiali che possono essere utilizzati, gli aspetti normativi, la certificazione dei prodotti e i costi». Insomma, la stampa 3D – come tutte le tecnologie – è uno strumento e non un fine. In realtà, le idee sono il vero agente di cambiamento, ma se sarà più facile realizzarle, è lecito sperare in un mondo migliore. E con l’evoluzione del “fare” – forse – cambierà anche il modo di “pensare” le imprese e il business.
Data Manager: Siamo all’inizio di una nuova rivoluzione industriale?
Caterina Rizzi: L’additive manufacturing non è una novità in assoluto e le prime applicazioni nel campo del rapid prototyping risalgono alla fine degli anni 80. Utilizzata principalmente da grandi aziende, soprattutto per la realizzazione di prototipi fisici, è emersa come tecnologia innovativa in questi ultimi anni grazie alla scadenza di alcuni brevetti e alla diminuzione del costo delle stampanti 3D. Se rappresenterà una nuova rivoluzione industriale lo vedremo nei prossimi anni. Per il momento, c’è un enorme potenziale da sviluppare che richiede un cambiamento importante nel modo di pensare, produrre e realizzare i prodotti. Sarà, comunque, decisiva la capacità dei vari attori di saper cogliere le opportunità future che tali tecnologie offrono: il problema è definirne il settore di utilizzo, integrarle nei sistemi produttivi attuali e capire le effettive potenzialità.
Quindi c’è troppa enfasi intorno a questa tecnologia?
L’additive manufacturing è una delle tecnologie che può contribuire a cambiare il mondo, ma non è la sola. Una nuova tecnologia e un nuovo modo di concepire alcuni prodotti o componenti saranno un’opportunità per alcuni e invece un ostacolo per altri. Chi saprà cogliere l’occasione si garantirà ulteriori possibilità di sviluppo, gli altri no. Cambieranno quindi alcuni attori della scena e alcune metodologie e processi, non tutto. Per quanto riguarda il settore medicale, può sicuramente contribuire a migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Quali sono le applicazioni in campo medicale?
Si possono già trovare applicazioni per la creazione di protesi, per esempio dentali o maxillofacciali, ma anche nella riparazione e rigenerazione di tessuti. All’Università degli Studi di Bergamo, il gruppo di ricerca Virtualisation & Knowledge (V&K) sta sperimentando l’impiego di tecnologie di 3D printing per la realizzazione di protesi artificiali per arto inferiore, in particolare dell’invaso, componente che richiede un’elevata personalizzazione sulla base della morfologia del paziente e dell’arto residuo. A tal fine, si sta sperimentando la possibilità di realizzare un componente combinando due diversi materiali.
L’Italia è in grado di cogliere questo cambiamento?
Le necessità e i requisiti sono sicuramente diversi, ma credo che in entrambi i settori, il nostro Paese saprà cogliere questo cambiamento. L’Italia ha una grande tradizione nei sistemi per produrre e dovrà afferrare l’occasione per rilanciare questo settore. Inoltre, si apriranno nuove opportunità per la realizzazione di prodotti nuovi e questo sarà uno stimolo per innovare le aziende esistenti e creare ulteriori possibilità di lavoro. Sarà anche necessario prepararci culturalmente per salire in tempo su questo treno.
Con il micro-manufacturing, i makers possono avere un ruolo di primo piano?
Nelle produzioni di nicchia si possono creare opportunità notevoli. Ovviamente, i modelli che riguardano i grandi impianti produttivi non possono che risentire dell’indirizzo che è stato dato alle aziende italiane negli ultimi anni.
Con quale impatto, sul modo di concepire la “fabbrica” e il “lavoro”?
E’ una tecnologia che esalta i temi dell’automazione industriale, perché la manifattura è controllata da un computer. Quindi, l’intervento dell’uomo si sposta a un livello di controllo superiore.
Si passerà dalla “fabbrica” a un network globale di “lab”?
è una questione di “importanza” del prodotto. Un Airbus 380 o un treno superveloce non si possono produrre in un lab o in modo semi-artigianale. Tuttavia, in altri settori è ipotizzabile un nuovo modo di produrre cosi com’è possibile pensare a dei lab che producono in modo altamente specializzato, integrati in un network per realizzare dei prodotti anche importanti dove ogni lab contribuisce anche solo parzialmente.
Come è destinato a cambiare il ciclo di vita del prodotto?
Alcuni prodotti, per esempio l’automobile, già oggi permettono una personalizzazione elevata, non tanto nella struttura ma nella scelta degli accessori. Pensare a prodotti di largo consumo sviluppati per lo specifico cliente è più complesso. Non è sufficiente pensare alle potenzialità della tecnologia, è necessario considerare anche gli aspetti logistici, gestionali e i costi.
Con la rivoluzione dei makers il design può essere veramente democratico?
Se si intende che tutti possono partecipare alla creazione del prodotto, dipende sempre dal prodotto.
Da docente, grazie all’innovazione tecnologia, come è cambiato il rapporto con i suo i studenti?
Sicuramente, è cambiato il modo di fare lezione che si basa sempre più sull’impiego di strumenti di ingegneria assistita dal computer anche da parte degli studenti. Per esempio, nel nostro settore, utilizziamo sistemi CAD 3D, sistemi per la simulazione, dispositivi di realtà virtuale e in alcuni casi anche stampanti 3D. Ovviamente, è cambiato anche il modo di “fare”. Personalmente, non utilizzo molto i social media, quali Facebook o Twitter, ma sicuramente sono cambiate anche le modalità di comunicazione e d’interazione con gli studenti. I siti web dei corsi dove si possono trovare informazioni necessarie e interagire con i docenti, e la posta elettronica sono ormai diventati strumenti comuni, anche se talvolta si tende a eccedere.
Qual è la lezione più importante che ha imparato?
Non dare mai nulla per scontato.
E qual è il consiglio principale che oggi dà ai suoi studenti?
Il mondo cambia molto rapidamente come i prodotti e le tecnologie per produrli e, quindi, dobbiamo essere in grado di cogliere il cambiamento se non addirittura anticiparlo. Bisogna essere in contatto con il mondo. Imparare le lingue è fondamentale. Il solo inglese non sarà più sufficiente. Infine, è fondamentale fare almeno un’esperienza di lavoro in un’azienda all’estero in un contesto multiculturale. Essere, e non solo dire, cittadini del mondo.