Il mondo del lavoro sta cambiando radicalmente. E cambieranno i rapporti di forza fuori e dentro le aziende. I responsabili delle HR si trovano già ad affrontare situazioni di cambiamento continuo che anticipano i tempi della politica. La difesa delle rendite di posizione ha ritardato l’efficienza complessiva del Paese. Ma anche l’eccesso di atteggiamento protezionistico e la finanziarizzazione di una parte dell’industria italiana, che ha tradito le radici autentiche della cultura d’impresa, non possono essere chiamate fuori.
Se è giusto valutare gli insegnanti, forse bisognerebbe fare lo stesso anche con gli industriali sulla base della qualità delle loro industrie, della qualità della vita degli operai e della qualità della vita delle città che ospitano i loro stabilimenti. ll vero capitalismo distribuisce la ricchezza attraverso l’innovazione, la tecnologia, la conoscenza, i salari equi. Negli anni 60, il CEO di General Motors guadagnava quaranta volte lo stipendio del suo operaio. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler, lo scorso anno ha ricevuto dal gruppo uno stipendio da oltre 6,6 milioni di euro. Fate voi i conti.
Dobbiamo uscire dal retrobottega e guardare oltre per costruire un sistema che favorisca e non ostacoli la creazione del lavoro, che aiuti il Paese a recupere competitività. Dalla contrapposizione classica tra destra e sinistra, stiamo ritornando a quella più antica tra chi sta sopra e chi sta sotto. E questa prospettiva non ci aiuterà a vivere in un mondo migliore. Il dato sulla disoccupazione a luglio comunicato dall’Istat è pari al 12%, con un calo di mezzo punto percentuale rispetto a giugno. Aumentano però i cittadini inattivi di chi è fuori dalla forza lavoro: un piccolo esercito destinato a consumare senza produrre. Mentre il Nord si avvicina sempre di più alla Svizzera e alla Germania, le regioni del Meridione sono umiliate dal degrado e dalla criminalità. Lavoro, impresa, solidarietà, dignità delle persone sono come un sistema complesso di vasi comunicanti. In un mondo senza giustizia, ci può essere posto solo per la crescita dell’utile a breve termine, non per lo sviluppo.
Fra poco più di un mese, l’esposizione universale di Milano chiuderà i battenti. Il 2015 resterà legato per sempre a questo evento che ha messo l’Italia al centro del mondo. Con quale bilancio rispetto alle aspettative, non possiamo dirlo. Come non possiamo confermare, da quello che abbiamo visto, che l’Expo di Milano passerà alla storia come la prima esposizione “all digital”. Abbiamo apprezzato la digitalizzaione del processo di gestione delle presenze e il monitoraggio degli accessi dei propri lavoratori impegnati nel perimetro dell’area. Abbiamo visto il supermercato del futuro e come potrebbe cambiare la filiera dell’agricoltura grazie ad Accenture. Abbiamo toccato con mano sistemi, piattaforme IT e app a supporto delle transazioni e dei servizi, carte di pagamento contactless, soluzioni di pagamento mobili e un’ampia rete di terminali POS. Perché l’esperienza della smart city passa anche attraverso la rivoluzione dei pagamenti, come hanno messo in evidenza Giulio Carmignato di Unicredit Business Integrated Solutions e Liliana Fratini Passi del Consorzio CBI nella tavola rotonda che Data Manager ha dedicato all’e-payment, da dove è emersa la ricetta di una visione integrata che unisce mondi diversi e spesso distanti.
Anche FAO e MasterCard hanno unito le forze per creare un’innovativa alleanza contro la fame e per sviluppare sistemi di pagamento inclusivi per sostenere piccoli agricoltori e famiglie povere. Una speranza che facciamo nostra come antidoto al cinismo. Certo nell’esposizione di Milano abbiamo ritrovato tutte le grandi contraddizioni di un Paese in bilico tra passato e futuro. E crediamo che la Carta di Milano sia il documento fondamentale di Expo2015 perché afferma il diritto al cibo come diritto universale e indica principi e strumenti per realizzarlo. La vera esposizione universale – però – è quella estesa, che continuerà fuori dai cancelli di Rho-Pero dopo il 31 ottobre, fatta di città, paesaggio, territorio e di un patrimonio artistico unico al mondo che ha bisogno di essere difeso e valorizzato come non mai, anche attraverso l’innovazione tecnologica.