Città intelligenti. Ma non per caso

Lo smart working non è una possibilità
città sempre più smart ma la banca smart è ancora indietro

L’irresistibile attrazione delle città intelligenti. Ma basta tutto l’arsenale di auto elettriche, pannelli fotovoltaici, e videocamere diffuse per rendere una città davvero smart?

Capri smart city? Lo studio di fattibilità pre-operativo proposto a titolo gratuito dalla fondazione Matching Energy Foundation (con il sostegno del CNR, Politecnico di Milano, Università di Genova e Università Federico II di Napoli) prevede di allestire nell’isola del golfo di Napoli un sistema integrato di energia rinnovabile, internet Wi-Fi per tutti, trasporti elettrici e videosorveglianza.

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La notizia del progetto pilota (e quindi sperimentale e temporaneo) di per sé è solo l’ultima di una serie di annunci che vedono le città italiane sulla strada verso la smartness.

La notizia nella notizia – però – è un’altra. E riguarda la quantità di soluzioni tecnologiche associate: come se bastasse una lista della spesa per definire la ricetta perfetta della città intelligente.

Auto elettriche, pannelli fotovoltaici e videocamere diffuse fanno di un territorio un luogo più smart? Chi di voi è stato a Londra negli ultimi anni, si sarà accorto che le strade sono piene di videocamere di sorveglianza: servono a distinguere la velocità in strada, il comportamento del guidatore, a rendere più sicure carreggiate e marciapiedi da incidenti, furti o aggressioni.
In cambio, i londinesi hanno accettato di essere sempre controllati, in ogni momento della loro esperienza urbana. Che stiano guidando verso l’ufficio, facendo jogging o passeggiando con la fidanzata mano nella mano, ogni dato viene raccolto e analizzato. Un cervello centrale distingue tra comportamenti corretti e comportamenti sanzionabili.

Educazione o controllo?

Il rischio di questi progetti è di trasformare il cittadino in una specie di bambino pronto a compiere una marachella, che il “vigile elettronico” è subito pronto a registrare, analizzare e sanzionare. In chi amministra la città, dovrebbe essere chiara la differenza tra gestione ottimizzata della mobilità, controllo preventivo e reperimento delle risorse per le casse comunali.
Il sistema di controllo elettronico della velocità di Autostrade per l’Italia si chiama “Tutor” – in pratica – un vero e proprio baby sitter. è vero che ha contribuito a ridurre sensibilmente la velocità media sulle autostrade nazionali, ma riprende l’idea che i guidatori sulla strada siano sicuramente incapaci di stare alle regole senza un controllo “dall’alto”. Insomma, smart non vuol dire tecnologico ma intelligente. Bisogna quindi – quasi dieci anni dopo le prime applicazioni progettuali della smart city – concentrarsi sull’introduzione di nuovi comportamenti attraverso processi inclusivi e di contenuto, senza focalizzarsi su tecnologia e aspetti sanzionatori. L’educazione è la parte centrale dei progetti smart: coinvolgere la cittadinanza nelle soluzioni scelte per il futuro è vitale per il loro successo. Le zone 30 per la moderazione del traffico nella viabilità urbana richiedono a tutti uno sforzo di attenzione, ma migliorano sensibilmente la qualità della vita dei bambini e delle persone in città. Nel parco, le aree Wi-Fi Free hanno poco senso se la piovosità della zona è di 270 giorni su 365 l’anno. La smart city esiste, dove ci sono cittadini smart, che poi interagiscono con il territorio in un modo smart, unico per ogni territorio, perché risponde al Genius loci, allo spirito del luogo.

Cittadini & tecnologia

L’esempio è Melbourne. Per promuovere l’attenzione dei cittadini verso il verde urbano, i funzionari del settore Ambiente hanno assegnato un numero identificativo e un indirizzo email a ciascun albero. Il progetto è parte di un programma ideato per rendere più agevole ai cittadini di segnalare problemi come rami pericolosi. Quello che ha stupito l’amministrazione australiana è la conseguenza non voluta ma positiva per cui la gente ha fatto di più che segnalare i problemi: hanno proprio scritto direttamente agli alberi, che così hanno ricevuto migliaia di messaggi.
Arriva di tutto: dai saluti banali, alle domande di attualità, alle lettere d’amore ai dilemmi esistenziali.

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Appena svegli, inviare una mail al “Caro Olmo” è sicuramente indizio di un rapporto innovativo con il proprio territorio. Non meno smart del dato proveniente da un sensore urbano. Di certo, indice di una nuova interazione tra cittadino, tecnologia e città.

di Emanuela Donetti @urbanocreativo