La città smart è invisibile

Lo smart working non è una possibilità
città sempre più smart ma la banca smart è ancora indietro

Quando la tecnologia non si vede ma si vive: data center, sensori e intelligenza diffusa per una qualità della vita migliore

Dove stanno i tuoi dati? Dove si salvano i dati delle nostre carte di credito, delle carte d’identità, delle patenti, ma anche del tesserino dell’autobus, o dell’application turistica della comunità montana meta delle migliori vacanze sulla neve? Ci sono in gioco investimenti, progetti, manutenzione e aggiornamento delle infrastrutture, interessi di ogni genere. La questione dei data center urbani è ancora poco compresa e le soluzioni che le città hanno adottato sono di diverso genere: alcune si rivolgono ad aziende private (Microsoft, Google…) che garantiscono un servizio di gestione delle macchine efficace ed efficiente ma che trasferiscono in un generico “cloud” tutte le informazioni sensibili del territorio – altre si organizzano autonomamente, destinando spazio ai server e quindi alle strutture che servono per gestirli e mantenerne la sicurezza.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Evoluzione del data center

Il data center al servizio della città deve garantire sicurezza fisica e logica degli spazi. La competitività sta nell’efficienza e nella capacità trasmissiva della struttura: dalla gestione delle immagini fotografiche o delle riprese video alla gestione dei semafori, dai pannelli a messaggio variabile al controllo delle centraline sui dati del traffico e delle immissioni inquinanti. A queste si aggiungono le tecnologie software di messa in sicurezza dei dati, rispetto della privacy e protezione delle informazioni sensibili, ma anche i sistemi di gestione come quelli di raffreddamento e di potenziamento energetico. I data center sono luoghi fisici – semplici stanze in caso di centri di piccole dimensioni o giganteschi capannoni come accade per le soluzioni cloud di Microsoft o di Google – che richiedono allacci alla rete elettrica, manutenzione, raffrescamento intensivo dei luoghi e così via. Microsoft, per esempio, ha deciso di rivelare la presenza di circa 20 delle strutture dove conserva i dati dei clienti (pubblici e privati): per gli Stati Uniti a Quincy nello stato di Washington, a San Antonio in Texas, e a Chicago in Illinois. Per l’Europa, i server si trovano a Dublino, in Irlanda, ad Amsterdam nei Paesi Bassi, Finlandia e Austria. Altri si trovano in Brasile, due in Giappone, uno a Hong Kong, uno a Singapore, due in Australia.

Dove batte il cuore della Rete

Google ha deciso di mostrare all’esterno i luoghi dove Internet da reale diventa immateriale: le immagini sono rigorosamente controllate e ovviamente non potrete scoprire quali sono i segreti industriali che caratterizzano il colosso di Mountain View. Ma è possibile anche effettuare visite virtuali alle strutture e vedere – in un certo senso – come vi si lavora. La prossimità geografica è la base della definizione dell’indirizzo dei nostri dati: la pubblica amministrazione che stipulerà un contratto con le singole aziende che forniscono servizio di gestione dati vedrà le proprie informazioni residenti in Austria, Olanda, negli Stati Uniti, in India o ancora altrove. L’Unione europea richiede che il servizio garantisca il backup dei dati, e questo richiede a volte uno spostamento geografico ulteriore in caso di manutenzione di server specifici. Insomma, tutto questo per mantenere le nostre email, le password delle applicazioni sui nostri smartphone, i documenti condivisi in piattaforme online – come Dropbox o Drive – ma anche su quelle private legate alle singole aziende. In quei data center – però – sono conservati anche i nostri dati personali: le informazioni depositate in anagrafe o presso la polizia locale, la nostra cartella sanitaria, i dati dell’autoveicolo che guidiamo ogni giorno, i nostri passaggi sotto il telepass, i movimenti bancari, ma anche i consumi domestici di acqua e di energia elettrica. Ogni movimento è un’informazione, che viene inviata a uno di questi centri, conservata e – in alcuni casi – resa operativa, generando un’azione conseguente: il rilascio automatico di un documento, l’invio di una multa oppure di una cartella per il pagamento di una tariffa come nel caso dei rifiuti. Sono le garanzie di interoperabilità dei dati che renderanno sempre più smart la nostra città.

Leggi anche:  A Viscom 2024, quattro nuove stampanti Epson per la prima volta in Italia

 Emanuela Donetti @urbanocreativo