Europa chiama America

L’ecosistema dei venture capital europei tra potenzialità e punti deboli, un mercato che deve rinnovarsi per poter sostenere l’innovazione

In Italia, parliamo tanto di startup e innovazione. Ci piace raccontare storie di giovani di grande talento che potrebbero cambiare le sorti del nostro Paese, o perlomeno, in un’ottica più realistica, dell’economia. Alla fine, quei pochi talenti che finiscono sui giornali e fanno rimanere le persone a bocca aperta per gli strabilianti profitti ottenuti, sono quasi tutti americani. Quante volte sentiamo dire: «Lo sai che Tizio ha ottenuto miliardi di dollari»? – «Davvero? E come si chiama»? – «Un certo, Mark…qualcosa». Mark, John, Michael… Poco importa. Quel che conta è che quasi sempre si tratta di giovani d’oltre oceano. Pochissimi sono quelli europei. Gli italiani si contano sulle dita di una mano. Eppure, anche in Europa, esiste un grande potenziale, forse anche più rilevante di quello esistente negli USA. A quanto pare, abbiamo le risorse, ma non sappiamo come sfruttarle. Ecco perché. Il 30 aprile 2015, la Commissione europea ha reso noti i risultati raggiunti dal SEP Investors Forum Workshop, organizzato a Bruxelles il 25 marzo in collaborazione con DG FISMA e DG CONNECT. L’invito a partecipare è stato rivolto ad affermati venture capital, startup dell’ambiente hi-tech ed esperti della finanza, nel tentativo di discutere gli ostacoli che le startup devono fronteggiare per accedere a un finanziamento nel mercato europeo e le misure per superare le difficoltà. Decisamente variegato il panorama che ne è emerso. Una sorta di labirinto in cui è facile smarrirsi, se non si possiede una mappa adeguata.

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Il problema principale per i VC europei risiede nel limitato numero di fondi e nelle loro ridotte dimensioni. In cinque anni (2009-2014), solo 49 fondi sono riusciti a raccogliere più di 100 milioni di dollari e non esistono al momento fondi europei con più di 500 milioni. Si tratta sicuramente di un fattore ostativo al completamento del processo di finanziamento in Europa, che costringe le startup europee dotate di potenziale a rivolgersi altrove. In questo modo, le startup si ritrovano costrette a viaggiare su un doppio binario: quello europeo per la fase del primo round di finanziamento e quello statunitense per potersi portare a casa la gloria di una grande exit. Un segnale evidente di questo processo binario è visibile nel fatto che la maggior parte dei fondi non europei sta aumentando la propria presenza nell’ambito del finanziamento delle startup europee. Da un lato le startup europee stanno diventando sempre più appetibili per gli investitori stranieri, dall’altro lato diventa sempre più crescente l’inadeguatezza e l’inefficienza degli investitori europei. Sembra quasi che in Italia e in Europa ci sia il talento per parlare di startup, ma non la capacità di trasformarle in progetti concreti.

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Crescita e innovazione

Come si può parlare di crescita e innovazione di fronte a un mercato del capitale di rischio così limitato? Come ha affermato Jonathan Hill, membro della Commissione Europea per la stabilità finanziaria: «Se i nostri venture capital fossero stati rilevanti quanto quelli statunitensi, sarebbero stati disponibili almeno 90 miliardi di euro per le startup tra il 2008 e il 2013. Si pensi all’innovazione, ai nuovi servizi, ai nuovi posti di lavoro che si sarebbero potuti creare con un simile finanziamento. Io la chiamo un’opportunità mancata». Il basso tasso di rendimento dei VC europei è sicuramente un limite per gli investitori istituzionali che sono portati a guardare verso mete diverse. Si è sviluppata tuttavia tra alcuni investitori pubblici la buona pratica di co-finanziare dei progetti in maniera tale da attrarre anche gli investitori privati. Un esempio in tal senso è il progetto israeliano Yozma, un’iniziativa del governo lanciata nel 1993, volta a offrire incentivi fiscali ai vc stranieri intenti a investire in Israele, raddoppiando persino l’investimento offerto con dei fondi pubblici. è importante notare come mentre da un lato sia importante adottare misure che consentano ai VC europei di salire in classifica, dall’altro lato si rende necessario sostenere anche programmi di cofinanziamento regionali in modo tale da incrementare la media degli investitori locali. Le piccole regioni dovrebbero unire le forze al fine di evitare un’eccessiva frammentazione. Quattro fondi da 10 milioni di euro non riescono a ottenere la medesima potenza di un unico fondo di 20 milioni.

Una prima risposta a tutto ciò potrebbe venire da una progressiva armonizzazione a livello europeo degli incentivi fiscali per i venture capital europei. Inoltre, sarebbe necessario incoraggiare di più gli investitori privati rispetto a quelli pubblici e offrire delle garanzie che possano assicurare almeno il rischio della prima perdita. Si dovrebbe spostare l’allocazione dei risparmi verso le società innovative. Attualmente, la regolamentazione EuVECA ha mostrato una distribuzione geografica alquanto asimmetrica: su 25 fondi EeVECA, 12 si trovano in Gran Bretagna, gli altri paesi più rappresentativi sono la Germania e i Paesi Bassi. Ma questa è soltanto una prima falla del sistema europeo. In aggiunta a tutto ciò, si deve anche osservare come la regolamentazione EuVECA sia spesso incompleta con riferimento al raggiungimento e alla delineazione degli obiettivi, alla fase di sviluppo e implementazione. Il mercato cambia e anche i suoi protagonisti devono cambiare. Ma quale direzione prendere? Lewis Carroll avrebbe detto che non importa la direzione da prendere se non si ha un posto da raggiungere. Qui è un po’ diverso. Una meta c’è, seppure lontana.

La via di uscita

Negli USA, le grandi compagnie hanno un ruolo chiave nelle exit, cosa che invece in Europa accade più di rado a causa del settore “fusioni e acquisizioni” troppo poco sviluppato. Attualmente, i mercati europei sono troppo piccoli e scarsamente integrati. Le exit sono ancora guidate dalle banche. Ecco perché le startup europee migrano negli USA, l’unica àncora di salvataggio per poter mantenere alte le loro valutazioni. Si finisce così per creare un circolo stagnante in cui l’innovazione continua a crescere in potenziale ma non in termini concreti. In questo panorama così variegato, il crowdfunding potrebbe rappresentare una valida opportunità per garantire un aumento degli investimenti da parte dei business angel, almeno nella prima fase. Nel volume di investimenti annuali dei VC, il crowdfunding è aumentato al 50%: si sta realizzando un vero e proprio fenomeno di cannibalismo da parte del crowdfunding. Ciò potrebbe rappresentare una grande opportunità per il mercato del capitale di rischio, ma anche una sfida per i VC che devono imparare a giocare con la concorrenza senza restarne sopraffatti.

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Ma la vera domanda chiave è se l’Europa debba armonizzare questo strumento di finanziamento o piuttosto esplorare il mercato per evitare un intervento politico o istituzionale. I protagonisti di questo scenario sono consapevoli che ci potrebbe essere un’inversione tra l’incoraggiamento di finanziamenti rischiosi e la tutela del consumatore. Al momento, c’è un problema: l’assetto degli equilibri è sbilanciato a favore dei primi. Occorre quindi promuovere un’educazione finanziaria ed economica migliore che consenta ai giovani imprenditori di avere maggiori capacità imprenditoriali. Ma soprattutto occorre che i VC europei adottino un punto di vista diverso. Fin quando i VC si accontenteranno di decuplicare il loro profitto, anziché ottenere un rendimento che sia 100 volte superiore all’investimento iniziale, non si potranno ottenere i risultati dei VC unicorno.