App, utenti, analytics e big data, i quattro pilastri della digital disruption

Smart app guidate dai dati. Ma cosa sono esattamente?

Ci connettono con i nostri amici, ci trovano i ristoranti, ci permettono di incassare gli assegni da casa, senza dover visitare bancomat, ci fanno pagare le bollette online, ci danno le news, ci aiutano a evitare il traffico e ci permettono anche di scoprire con un click gli effetti collaterali di un farmaco prima di acquistarlo.

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App, big data, analytics incorporati, smartphone per utenti smart: le applicazioni vengono eseguite sugli smartphone grazie ai big data, trascendendo gli analytics incorporati dai sistemi transazionali in applicazioni intelligenti con cruscotti per una visualizzazione più facile. Oggi, gli utenti eseguono le app e le app permettono agli utenti di prendere decisioni in maniera rapida e intelligente. E quando le modalità consuete di fare business vengono rivoluzionate da un fattore, si parla di disruption, cioè di rottura. Il fattore di disruption di oggi è la tecnologia mobile, con le enormi quantità di dati che vengono raccolti: questo è il volto della Digital Disruption.

Il potere delle app

I tre componenti principali di un’app sono: 1) l’interfaccia utente, detta anche user experience o front-end, è quella che può determinare il successo dell’app; 2) il backend con i dati: avere solo bel viso senza sostanziarlo con i dati può costituire una trappola mortale; 3) Tutto ciò che è nel mezzo è principalmente la logica: se non supporta il bel viso e i dati allora anche voi siete condannati.

Come iniziare con le app?

Una volta che il business ha preso la decisione di sviluppare applicazioni, si pongono alcune domande. Come pianificare, progettare e sviluppare una app?

L’applicazione sarà realizzata in-house oppure verrà ingaggiato uno sviluppatore esterno specializzato o si utilizzerà la modalità “realizza la tua app” con software che non richiede competenze di coding? È bene fare attenzione perché se il coding non è necessario, sicuramente lo è invece il pensiero logico. Poi bisognerà chiedersi quali dati usare, dove trovarli, come conservarli e come esprimere visivamente i risultati. Ma non solo. Come è possibile registrare le risposte e in che modo bisogna darvi seguito? E in quanto tempo? Come presentare i risultati in maniera digitale?

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Dove e come distribuire le app? Quale sistema operativo mobile utilizzare: iOS (Xcode di Apple), Android (SDK), Windows? Come sviluppare e fornire applicazioni su più piattaforme?

E, infine, molto importante, come monetizzare l’app?

App di successo

I tre criteri principali di qualsiasi applicazione mobile di successo sono:

1) Semplicità: la capacità di eliminare passaggi o rendere un processo in corso più facile da eseguire; 2) Interazione: la capacità di incoraggiare un maggiore coinvolgimento degli utenti, per aumentare produttività e fedeltà; 3) Incoraggiare gli input da parte dei clienti e sfruttare la conoscenza dell’utente per migliorare la funzionalità delle app.

Gli utenti

La demografia della base di utenti è cambiata. Il numero degli utenti è aumentato enormemente: nel mondo occidentale, quasi tutti quelli che hanno un’età superiore ai 18 anni usa uno smartphone. Inoltre, c’è una crescita impressionante di utenti di smartphone anche nei mercati emergenti. Se guardiamo l’enorme numero di utenti di smartphone, si nota una diminuzione nella percentuale del numero di persone che capisce la tecnologia rispetto al numero totale di utenti di smartphone che conoscono i meccanismi interni dei sistemi. Va detto che “capire la tecnologia” è un’espressione relativa: per me significa una persona in grado di aprire l’hardware e risolvere il problema oppure in grado di assemblare un insieme di hardware funzionante montando diversi elementi. Capire la tecnologia a livello software significa invece qualcuno che può scrivere software e sviluppare applicazioni. La percentuale di queste persone esperte in tecnologia hardware e software sta scendendo rispetto al numero totale di utenti di smartphone.

Al contrario, la percentuale del numero di persone che capisce di business è in aumento. E la base di utenti di persone di età inferiore ai 25 anni sta crescendo molto più velocemente. Uno dei motivi principali è il facile accesso ai social media e ai videogiochi.

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Big data

C’è carenza di dati? Assolutamente no: ci sono così tanti dati che tutti noi alla fine ne saremo praticamente sepolti in stile Pompei, a meno che non si utilizzino solo i dati “buoni” scartando quelli “spazzatura”. Nella maggior parte delle aziende vi sono dati sui clienti esistenti e su quelli potenziali: non solo si sa quello che comprano o non comprano, ma anche i loro gusti e le antipatie, cioè il loro “DNA digitale”.

Le applicazioni utilizzano i big data, che però dovrebbero stare ai lati e non sulla scena. Dovrebbero essere utilizzati dalle aziende per migliorare le loro performance di business, mentre le app devono utilizzare i big data per sviluppare le informazioni da visualizzare sugli smartphone. E per far sì che i dati siano considerati big data devono soddisfare le cinque V: la varietà dei dati, la varietà delle correlazioni, la velocità, il volume e il valore.

Ma quali sono i principali tipi di dati disponibili?

Ci sono i dati sulla concorrenza, quelli interni ed esterni, i dati dei social media. I dati che ci danno informazioni sui clienti, i loro acquisti, il loro sentiment: che cosa comprano, quando, dove e perché – per esempio – abbandonano il “carrello” con un paio di oggetti. Ma oltre ai dati sui clienti già acquisiti, ci sono i dati sui clienti potenziali che ci aiutano a capire meglio la qualità e l’offerta della concorrenza. I dati, inoltre, possono arrivare dai partner, dai magazzini e dai sensori. Questa ultima fonte di dati è molto interessante e legata alla crescita dell’IoT. Possiamo realizzare business attraverso insight acquisiti tramite nuove tipologie di dati raccolti mediante sensori. Possiamo acquisire, memorizzare ed elaborare questi nuovi dati per applicare un’analisi predittiva, mettendo insieme diversi tipi di dati e creando una “vista unica” del cliente, oppure si possono scoprire pattern di comportamento prima non visibili.

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Analytics incorporati

I tre principi degli analytics prevedono che: 1) alcune cose sono confrontabili, come migliori o peggiori di qualcos’altro; 2) Il confronto si basa su dati di fatto coerenti e congrui; 3) Bisogna fornire informazioni fruibili con più variabili.

Quali sono gli analytics incorporati?

Quando l’individuazione dei trend, il rilevamento dei pattern, e la tecnologia di analisi di tipo “Make It Happen” sono contenuti nelle applicazioni transazionali, si parla di embedded analytics. Alcune funzionalità all’interno delle applicazioni software possono essere presentate come: dashboard e visualizzazione dei dati; funzionalità per gli utenti di porre i propri quesiti dei dati, esplorando una serie di dati stessi; fornire informazioni mirate a sostegno di una decisione o azione, nel contesto in cui tale decisione o azione si svolge.

Un esempio può essere il caso di Amazon. Al momento di acquistare qualsiasi prodotto dalla piattaforma di acquisti online, vengono fornite informazioni sulla valutazione del prodotto, recensioni video e prodotti proposti sulla base dei dati che Amazon ha già raccolto. Gli analytics sono quindi incorporati nell’app di acquisto.


 

Shaku Atre

Speaker di fama internazionale, riesce sempre a catturare l’attenzione dei partecipanti, mantenendo vivo l’interesse anche quando si tratta di argomenti complessi. Presidente di Atre Group, società di consulenza, training e publishing nel settore della business intelligence, è stata partner in Price Waterhouse e ha lavorato 14 anni in IBM. Esperta nei settori del database management e del data warehouse, ha tenuto seminari su questi temi in USA, Canada, Europa, Asia e Sud America. Ha scritto numerosi libri fra i quali l’ultimo pubblicato è “Business Intelligence Roadmap: The Complete Project Lifecycle for Decision-Support Applications”.

Shaku Atre ha presentato per Technology Transfer i seminari “Dashboard: la nuova faccia dell’Operational Intelligence” e “Big Data: dieci regole d’oro per pianificare, progettare, implementare e gestire”.