La città intelligente non è ancora un ideale

Crescono leggermente i numeri e i valori di mercato, ma troppe iniziative smart city in Italia restano ancora a livello di sperimentazione. I segnali positivi non mancano, inclusi gli sforzi normativi a livello internazionale e il moltiplicarsi di un’offerta tecnologica dedicata

L’ultima inchiesta condotta da Data Manager sull’argomento Internet delle cose (IoT) e città intelligenti ha evidenziato in Italia una forte preponderanza di servizi legati sostanzialmente al mondo automotive e alla connettività di oggetti identificati da sim card su reti radiomobili. Uno studio aggiornato degli Osservatori del Politecnico di Milano identificava una carenza sul duplice piano delle piattaforme a integrazione dei servizi e della capacità progettuale da parte dei soggetti decisionali fondamentali, i comuni italiani di dimensioni medio-grandi. Tuttavia, il 2015 è l’anno della esposizione universale di Milano e tanto l’impegno di organizzatori, fornitori ed espositori quanto il livello di attenzione del pubblico – verso soluzioni in grado di assicurare alle comunità urbane più tecnologicamente attrezzate l’erogazione sia ai residenti sia ai visitatori temporanei di servizi di infomobilità o di gestione dell’energia, traffico e sicurezza – sono cresciuti in modo proporzionale.

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Nel 2014, tutti gli operatori radiomobili hanno lavorato molto sulle loro offerte infrastrutturali mirate alla cosiddetta machine-to-machine communication e alla Internet delle cose, in diversi comuni sono partiti con estremo successo progetti di car sharing, mobile ticketing, microgenerazione energetica e altre applicazioni smart su scala tipicamente metropolitana.

A livello globale, si stanno mobilitando i grandi protagonisti del mondo delle infrastrutture di rete e telecomunicazione, ma anche dei microprocessori e del silicio per la sensoristica. Vengono in mente due grandi esempi, le iniziative rivolte espressamente alla smart city di Intel e Qualcomm. La visione di una tecnologia pervasiva, che abilita la realizzazione di soluzioni smart diffuse e replicabili, non può prescindere da uno sforzo altrettanto esteso per la massima standardizzazione e interoperabilità. Nella smart city diventa ancora più fondamentale l’integrazione degli oggetti connessi più diversificati. E una forte componente del lavoro delle aziende di tecnologia si concentra proprio sulle alleanze industriali che renderanno possibile questo dialogo, indipendentemente dal tipo di oggetti e dei brand hardware o software coinvolti. Non sarà una sfida facile. Con questa nuova indagine cerchiamo di fare il punto della situazione, analizzando le iniziative dei vari attori sul fronte dell’offerta e della regolamentazione: dai grandi fornitori di tecnologie e piattaforme, operatori di rete e telecomunicazione, system integrator, fino al mondo della sensoristica e dell’informatica embedded, passando per i costruttori di dispositivi client e le alleanze e gli organismi di standardizzazione e certificazione.

I mattoni della smart city

Nel corso di una recente web conference seguita da Data Manager, il nuovo general manager e VP dell’Intel IoT Group, Doug Davis ha parlato del grande potenziale economico di un mercato che solo quest’anno dovrebbe generare due miliardi di dollari di fatturato e che crescerà nei prossimi anni a tassi di quasi il 20%. Intel ha dato vita a una IoT Solutions Alliance che comprende oltre 250 realtà con un catalogo complessivo di 2.500 soluzioni. «Oggi, ha ricordato Davis, l’85% degli oggetti non “parla” con Internet. La Internet delle cose deve scalare enormemente, stiamo parlando di decine di miliardi di dispositivi e oggetti. Abbiamo bisogno di fondamenta, di mattoni standard con cui costruire una vera piattaforma. Intel porta con sé tre capacità indispensabili a tale fine: una nuova architettura IoT su cui impostare la piattaforma, nuovi prodotti e servizi che la compongono e un esteso ecosistema di aziende che tutte insieme sviluppano soluzioni, aiutando i loro clienti a scalare a loro volta e inventare altre soluzioni».

Davis ha circoscritto tre grossi ambiti operativi che Intel vuole attaccare apertamente. «Una prima area è ovviamente il mobile IoT. Ma pensiamo in particolare alla Internet degli oggetti che popolano e popoleranno sempre più le abitazioni e gli edifici commerciali. E c’è una terza area, importantissima e variegata: l’industrial IoT, un mercato fatto di impianti, fabbriche, ospedali. In tutti questi ambiti, bisognerà sviluppare applicazioni – per esempio – per la gestione dei consumi energetici, dell’illuminazione, per far dialogare Api e protocolli diversi, estrarre i dati, aggregarli in informazioni e molto altro ancora».

Al fianco di Davis, è intervenuto John Gilbert, Ceo della società Rudin Management, che da un secolo esatto gestisce un nutrito portafoglio di edifici commerciali a Manhattan. La società, ha proseguito Gilbert, ha messo a punto un’applicazione, Di-Boss, che consente di gestire in modo fortemente ottimizzato l’energia utilizzata per illuminare e riscaldare i suoi grattacieli, facendo ampiamente leva su sensori termici e di presenza. «Il cuore della nostra soluzione è rappresentato dalle centrali tecnologiche alle quali fanno capo i diversi impianti, ma il cervello che rende possibili risparmi molto significativi è Di-Boss con il suo cruscotto semplificato su iPad. E il sistema nervoso di tutto lo fornisce Intel». Questo per quanto riguarda il sottoinsieme di applicazioni proprio della building automation e della gestione energetica. Davis ha ricordato anche il coinvolgimento di partner come Siemens, che sulle tecnologie IoT di Intel ha già messo a punto, tra le altre, una soluzione smart city che consente di pianificare e automatizzare la complessa ricerca di un parcheggio in aree metropolitane molto affollate, riducendo il traffico e l’inquinamento e rendendo possibile l’ulteriore sviluppo di servizi innovativi.

Connettività integrata

Sul fronte della connettività integrata per la comunicazione smart in ambito urbano è ovviamente schierata Qualcomm, nella sua veste di primario fornitore di piattaforme di microelaborazione per dispositivi mobili. In uno dei suoi ultimi comunicati, Qualcomm enfatizza tutto il lavoro svolto per offrire soluzioni da utilizzare in edifici intelligenti, per la gestione energetica, l’infrastruttura, il trasporto e le altre applicazioni di tipo “municipale” che vengono incontro alle esigenze di popolazioni urbane sempre più numerose e tecnologicamente sofisticate. L’azienda è attualmente coinvolta in una ventina di progetti, che includono la copertura in gigabit Wi-Fi di tutta la città di New York attraverso le postazioni del progetto LinkNYC, che prenderanno definitivamente il posto delle vecchie cabine telefoniche. Qualcomm inoltre partecipa attivamente alla AllSeen Alliance, uno sforzo nato nella comunità open source sviluppata intorno al sistema operativo Linux per il progresso open nell’ambito della Internet delle cose. Al centro delle attività di AllSeen, c’è un framework chiamato Alljoyn, una piattaforma nata per gestire la complessità di operazioni come la “scoperta” dei dispositivi intelligenti presenti in una certa area, l’apertura di sessioni di dialogo tra questi dispositivi, la comunicazione sicura. Secondo Qualcomm, da qui al 2050, il 70% della popolazione mondiale (oggi, siamo ancora sotto il 50%) abiterà in ambienti fortemente urbanizzati, con una quarantina di centri urbani e con oltre 10 milioni di abitanti: un universo che dovrà far leva su enormi contributi tecnologici per non soccombere davanti alle complessità di ordine infrastrutturale o dei flussi di spostamento di uomini e merci.

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Mobilità intelligente

Una delle forme di collaborazione più interessanti alle quali Qualcomm ha dato vita è quella con lo studio di progettazione Arup, creato a Londra da Sir Ove Arup (autore della celebre Opera House di Sydney). Insieme, i due partner hanno elaborato uno studio che si concentra proprio sulla mobilità intelligente, supportata da una connettività dati uniforme e ininterrotta. Individuando le principali tendenze che governano l’evoluzione delle città e della mobilità al loro interno, tra cui il progressivo spostamento dalla proprietà individuale dei mezzi di trasporto all’utenza in piena condivisione di mezzi di proprietà collettiva (pubblica o privata che sia). L’introduzione di dispositivi e piattaforme capaci di creare veri e propri ecosistemi di mobilità intelligente porterà innumerevoli vantaggi ai cittadini, alle municipalità, alle aziende consolidate, alle startup. A patto che a sorvegliare il positivo sviluppo di queste applicazioni ci siano anche assetti normativi e di standardizzazione adeguati. Nello studio Qualcomm-Arup viene citato tra gli esempi la comunicazione intra-veicolare DSRC (Dedicated Short-Range Communications), un insieme di interfacce radio a 5,9 GHz che l’Istituto Europeo per gli Standard nelle Telecomunicazioni (Etsi) sta armonizzando a livello globale per consentire ai veicoli a guida tradizionale o autonoma di scambiare il flusso costante di informazioni che servono per evitare collisioni, rilevare la presenza di indicazioni di traffico, aumentare la sicurezza e la rapidità del viaggio, con strade capaci di “suggerire” ai veicoli i percorsi più opportuni. Se l’Etsi si muove soprattutto sul piano delle caratteristiche tecniche dei sistemi, l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (Itu) affronta anche questioni più qualitative, inclusi aspetti critici come la definizione di che cosa sia veramente un ambiente urbano smart, quali siano i suoi sistemi e sottosistemi, o la valutazione dei livelli di efficienza dei servizi attraverso Kpi che possano servire, a regolatori e amministratori, a gestire i loro progetti, imitare le best practice, centrare obiettivi precisi in termini di funzionamento e “successo” dei servizi implementati.

Efficienza e sostenibilità

L’Itu ha costituito un focus group espressamente dedicato alle smart sustainable cities. Il gruppo di lavoro, che ha già prodotto una ventina di documenti, si è riunito per la prima volta a Torino nel 2013. Il meeting più recente si è concluso a maggio negli Emirati Arabi, dove è stato deciso che Dubai sarà la prima città al mondo a testare l’efficienza e la sostenibilità dei suoi servizi sulla base degli indici elaborati dai rappresentanti delle aziende che partecipano al focus group. «L’esperienza di Dubai – ha dichiarato il segretario generale dell’Itu, Houlin Zhao – ci aiuterà a sviluppare gli strumenti per misurare il successo delle strategie delle smart city». Al centro della campagna di misurazione che avrà luogo a Dubai, c’è Smart Dubai, un ambiziosissimo progetto di trasformazione in chiave Ict di un migliaio di servizi amministrativi, attraverso le applicazioni più innovative.

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La scelta di un ambiente di prova come Dubai, uno dei luoghi a maggior penetrazione di risorse Ict del Pianeta, abbinata alla disponibilità pressoché illimitata di risorse finanziarie, non sorprende più di tanto. Ma che cosa possiamo dire dell’apertura verso una maggiore disponibilità di servizi urbani intelligenti in Italia, geograficamente ed economicamente tanto diversa dalle piccole, ma ricchissime nazioni del Golfo? Ma prima di passare ai dati aggiornati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, ecco le dichiarazioni di Cisco in qualità di grande investitore e provider tecnologico di Expo Milano 2015, apertosi il primo maggio. A dispetto delle numerose polemiche (alcune giustificate) e dei ritardi che hanno caratterizzato la manifestazione, non si deve dimenticare che la città di Milano è un ambiente tra i più infrastrutturati in Italia, e vanta una posizione di assoluta eccellenza proprio nell’ambito dei trasporti condivisi e nella mobilità integrata. Non solo. Milano – tenendo da parte i contrasti sorti, anche legali, tra la comunità dei taxisti e la piattaforma per il crowdsourcing dei servizi di auto pubblica Uber – si caratterizza anche per un progetto di zona a traffico controllato tra i più estesi in Italia e con accessi e sistema di pagamento non affidati a operatori umani; per la disponibilità di diversi servizi di car sharing pubblici o privati; per una linea della metropolitana a conduzione completamente automatizzata; e per la possibilità di gestire online la pianificazione e l’acquisto dei titoli di trasporto per i viaggi su mezzi pubblici.

Smart Expo 2015

Non deve quindi sorprendere se Cisco si dice orgogliosa di un contributo che ha permesso di fare del sito espositivo di Expo Milano 2015 una Digital Smart City del futuro. Fin dall’annuncio della partnership con Expo, avvenuto il 23 febbraio 2012, Cisco ha messo in campo un impegno senza precedenti per ideare, progettare e realizzare insieme agli altri partner tecnologici dell’evento quella che oggi è diventata la prima manifestazione mondiale di questo livello “full IP”. La gestione di tutte le infrastrutture, la gestione dei sistemi e dei servizi implementati dai diversi partner della manifestazione – dalla sicurezza all’energia, dall’illuminazione ai pagamenti, fino alla risposta alle esigenze degli oltre 140 paesi partecipanti – sono basate interamente sul digitale e poggiano su una infrastruttura di rete estremamente innovativa, realizzata principalmente da Cisco e Telecom Italia. Ed è digitale, coinvolgente e innovativa l’esperienza che viene offerta a tutti i visitatori dell’evento.

«Abbiamo lavorato intensamente in questi tre anni, perché negli spazi dell’esposizione universale l’Internet of Everything prendesse vita, grazie alle potenzialità di connettere ciò che prima non era connesso facendo del sito una comunità smart» – ha spiegato Fabio Florio, business development manager ed Expo 2015 leader di Cisco Italia. «In Expo, le tecnologie dell’Internet of Everything creano “il sistema nervoso” di una città intelligente, integrando fra loro tutti i sistemi e i servizi che consentono ai suoi abitanti – dai visitatori allo staff organizzativo ai paesi partecipanti – di viverla al meglio. Siamo particolarmente orgogliosi di aver creato un modello non solo tecnologico ma anche progettuale, di collaborazione e partecipazione per la realizzazione delle città del futuro». Il sito espositivo di Expo Milano 2015 si estende su una superficie di un chilometro quadrato e costituisce a tutti gli effetti una “città” in cui, nei giorni di massima affluenza, è contemplata la presenza simultanea di 200mila persone. Per garantire a tutti, all’organizzazione e ai paesi partecipanti, la connettività di rete, Cisco ha realizzato una infrastruttura di rete ad alte prestazioni, sicurezza e affidabilità che sfrutta la connettività in fibra spillata ogni 50 metri, con uplink a 10GB. Inoltre, è stata realizzata un’infrastruttura Wi-Fi che comprende circa 2.700 punti di accesso sia indoor sia outdoor. Si tratta di una delle più grandi infrastrutture di questo tipo, che è anche “federata” con la rete Wi-Fi pubblica che copre il Comune di Milano.

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Expo Milano 2015 rappresenta in vivo un modello di realizzazione di smart city anche per il modo in cui è stata pensata e costruita, attraverso la collaborazione di tutti gli stakeholder e il lavoro collettivo di tante diverse aziende che hanno messo a disposizione le loro competenze e le loro eccellenze, per un evento che rappresenta per l’Italia una grande occasione di rilancio di fronte a una platea mondiale. Non a caso, il modello di Smart City di Expo fa parte dell’eredità scritta nella Carta di Milano che verrà presentata da Expo alle Nazioni Unite.

Trasformazione digitale

Ma basterà questo per innescare un ciclo di trasformazione in chiave digitale dei servizi al cittadino nelle altre grandi realtà urbane italiane? Expo o non Expo, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 2015 sarà certamente l’anno di rilancio della smart city, per cui quasi la metà dei comuni italiani ha avviato negli ultimi tre anni almeno un progetto basato su tecnologie Internet of Things, nella maggior parte dei casi ancora in fase sperimentale.

I potenziali benefici, osservano gli autori dello studio presentato ad aprile, sono enormi. L’adozione pervasiva di soluzioni per l’illuminazione intelligente, per la gestione della mobilità e per la raccolta rifiuti potrebbe far risparmiare complessivamente ogni anno in Italia 4,2 miliardi di euro e migliorare la vivibilità delle città, tagliando l’emissione di 7,2 milioni di tonnellate di CO2 ed evitando per ogni utente della città l’equivalente di quasi cinque giorni all’anno di coda nel traffico sulla propria auto oppure alla ricerca di un parcheggio libero. Le applicazioni smart city sono come si è detto uno dei campi applicativi principali dell’intero, nascente settore dell’IoT, un mercato che secondo le valutazioni dell’ateneo milanese vale 1,55 miliardi di euro (1,15 generati dagli otto milioni di oggetti interconnessi tramite Sim cellulare, un terzo in più rispetto all’anno precedente) ai quali va sommato il mercato delle applicazioni che si appoggiano su tecnologie di comunicazione diverse (come Wireless M-Bus, WiFi, Reti Mesh Low Power, Bluetooth Low Energy), che vale 400 milioni di euro.

Da una ricerca effettuata su quasi 200 comuni oltre i 40mila abitanti, emerge il classico scenario luci e ombre. Quasi il 50% dei comuni ha avviato negli ultimi tre anni almeno un progetto smart city basato su tecnologie IoT e il 75% dei rispondenti segnala la presenza di iniziative in programma per il 2015. Il problema è che oltre a rimanere quasi sempre in fase sperimentale, tutti questi progetti sfruttano poco o nulla le possibili sinergie abilitate, in teoria, dallo stesso paradigma. La smart city è possibile solo grazie alla Rete, ma tutte le iniziative restano isolate. La tendenza sembra comunque essere ben delineata: si punta sulla gestione della mobilità come ambito “core” e sull’illuminazione intelligente come possibile “ponte” verso altre applicazioni, riutilizzando strutture come pali, stazioni di ricarica o parcheggio di veicoli condivisi e altro. «I comuni italiani indicano la scarsa disponibilità di risorse economiche come la principale barriera nel realizzare progetti IoT per la smart city – si legge nell’edizione 2015 del rapporto – seguita a breve distanza dalla mancanza di competenze interne. Per superare l’impasse è necessario lavorare su entrambi questi fronti, cercando di ridurre i costi degli investimenti, definendo opportuni modelli di finanziamento (che non passino solo da fondi MiUR) e al contempo creando nella pubblica amministrazione le competenze adeguate per selezionare e gestire i progetti».

Da tempo, gli esperti del Politecnico di Milano ritengono che la realizzazione di una smart urban infrastructure diffusa, debba partire da una rilettura dell’obbligo normativo per l’adozione entro il 2018 di una rete di smart metering del consumo di gas, trasformando quest’obbligo in un’opportunità per l’intero Paese. Nel 2013, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha mostrato una prima apertura in tale direzione, consentendo di condividere l’infrastruttura di comunicazione – inizialmente prevista per la sola rete gas – con altre utility e con applicazioni smart city. Nel 2014, l’adesione a questo principio si è concretizzata con lo stanziamento, proprio da parte dell’Autorità, di finanziamenti per sei sperimentazioni che includono, oltre allo smart metering multi-utility, diversi progetti in ambito smart city come l’illuminazione intelligente e la raccolta rifiuti in ottica multiservizio. Non resta che aspettare per verificare se questa strategia, unita alla ripresa economica, riuscirà a dare qualche buon frutto.