La città ideale?

Donetti Emanuela_Urbano Creativo

Non troppo caotica, e nemmeno troppo ordinata. Compatta, integrata, in equilibrio tra orientamento spaziale e mistero geografico

Così è la città smart secondo Alain de Botton, il fondatore di The School of Life a Londra: sei regole per capire se la città in cui vivete, o che governate, è la città ideale.

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In un periodo di smart finanziamenti in arrivo, amministrazioni e aziende ricominciano ad affilare le lame per capire quali siano progetti, prodotti, processi da avviare, mettere in campo, promuovere per sperimentare nuovi modi di progettare l’urbanistica futura. Con il rischio di concentrarsi sul progetto pilota o sulla singola tematica, invece di badare alla vivibilità effettiva delle scelte progettuali.

Da The School of Life, de Botton invita a non puntare troppo su funzionalità che le rendono senz’anima, e spesso scollegate con i loro cittadini. L’effetto Barcellona è a un passo. La città catalana, riconosciuta come moderna e innovativa, ma soprattutto simbolo in Europa per lo sviluppo delle progettualità smart, che al momento delle elezioni si affida invece a chi in questi anni si é opposto a politiche meno partecipate ma percepite dai cittadini come troppo fredde e tecnologiche.

Le sei regole

La formula per una grande città è trovare l’equilibrio tra il rispetto, la funzionalità e l’identità della città. Le componenti di questa formula?

1. Non troppo caos, ma neppure troppo ordinata: equilibrio tra ordine e varietà.

2. Vita visibile: strade che testimonino la vivacità degli scambi e degli interessi.

3. Compatte: maggiore importanza all’integrazione tra gli spazi, le piazze prima di tutto.

4. Orientamento spaziale e mistero geografico: equilibrio tra i grandi viali e le mille stradine di collegamento.

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5. Scala: le città devono essere dense. Con tutto quello che questo significa, altezze comprese.

6. Attenzione alla localizzazione: gli edifici non devono sembrare gli stessi ovunque, perché le città devono mantenere caratteri forti. Serve uno stile architetturale che renda merito alla loro storia, cultura, posizione geografica.

L’analisi dell’ambiente

Insomma, secondo de Botton, l’impianto urbano dovrebbe rappresentare le ambizioni e le esigenze a lungo termine dei cittadini. Lasciare lo sviluppo delle città all’interesse (o al disinteresse, come è accaduto a Detroit negli ultimi dieci anni) del mercato, o all’intervento spot legato a un programma di finanziamento, potrebbe non essere la soluzione ideale per chi nelle città smart ci deve vivere.

Pena, la diffusione di quelli che Marc Augé chiama “non luoghi” perché privi di identità, o come specifica Treccani “luoghi distaccati da qualsiasi rapporto con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia”. In genere, la definizione nasceva dall’analisi di ambienti caratterizzati da una presenza in un certo senso “impermanente”, come aeroporti, autogrill, stazioni, i centri commerciali. Luoghi che invece che valorizzare un territorio rischiano di farlo scadere in una sorta di anonimato autistico.

E invece, i luoghi di passaggio sono da sempre l’inconsapevole fulcro della vita quotidiana e i cittadini vi concentrano buona parte del loro tempo: sono quasi trenta i milioni di persone che si spostano per lavoro ogni giorno solo nel nostro Paese. Oggi, i tre quarti di queste persone si muovono in automobile, vittime della mancanza di coerenza tra pianificazione insediativa, infrastrutture e servizi di trasporto.

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Su cosa concentrarsi allora per i prossimi progetti di città smart? Risposta: su una pianificazione capace di mettere al centro le caratteristiche locali e le ambizioni dei cittadini, l’attenzione agli spostamenti e alle infrastrutture, il focus sulle aree di interscambio, a partire dalle stazioni. Buon lavoro progettisti.

di Emanuela Donetti @urbanocreativo