Dare vita al documento

IDC dedica una giornata di riflessione al problema della dematerializzazione nelle aziende e nella PA. Evidenziando come il passaggio dalla carta al digitale non debba essere interpretato in chiave “sostitutiva” ma deve puntare alla trasformazione dei processi

Una parte importante della sfida della trasformazione digitale passa per lo scioglimento del vincolo fisico rappresentato dal documento cartaceo. Un freno che a dispetto delle evoluzioni tecnologiche e normative degli ultimi anni continua a resistere molto più di altri. Alle difficoltà e ai benefici della dematerializzazione, IDC ha dedicato un incontro intitolato Going Dip: document, information and process management per l’impresa digitale, che ha riunito a Roma un gruppo di esperti e solution provider.

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L’automazione dei processi di business è inevitabile in mercati competitivi o economie difficili per riuscire a incrementare i ricavi con uguali o minori risorse, ha esordito per conto di IDC Fabio Rizzotto affermando che «aumentare la produttività dei dipendenti e l’efficienza aziendale è in effetti il primo e più importante passo per ridurre le spese di capitale, i costi operativi e per creare un vantaggio competitivo».

Eppure, intervenire sui processi documentali, eliminando la zavorra rappresentanta dall’informazione generata ed elaborata su supporto cartaceo è ancora oggi uno degli imperativi per molte imprese pubbliche e private. Se da una parte è una misura imposta dalle normative che regolano il percorso di digitalizzazione della PA (pensiamo all’obbligo di fatturazione elettronica per tutti i servizi erogati verso quest’ultima, entrato in vigore lo scorso 31 marzo), dall’altra – ha precisato Rizzotto – la dematerializzazione rappresenta un’enorme opportunità per ottimizzare l’intero workflow documentale e la relativa infrastruttura di stampa in un’ottica di controllo dei costi e di efficienza operativa, alla luce anche, o forse soprattutto, delle nuove potenzialità legate alle tecnologie cloud e mobili.

Videointervista a Luca Gaslini, Sales Director, Printing & Personal Systems Group, HP Italia

 

 

Secondo i dati raccolti da IDC, il 55% dei documenti in uso nelle aziende continua a nascere e vivere sulla carta e ogni lavoratore spende in media 3,6 ore alla settimana in attività legate alla gestione di documenti cartacei. Quali sono gli ostacoli che si frappongono a un cambiamento guidato dalla tecnologia? «Per quasi un terzo degli intervistati, la prima criticità continua a essere rappresentata dai costi della trasformazione, seguita, per il 27,7% dei responsabili consultati per il nostro survey del 2015, dalla difficoltà nel progettare un corretto workflow documentale e, per il 26,6% dei rispondenti, dai problemi di adeguamento dei processi alle nuove normative».

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In realtà, ha detto Rizzotto, è stato fatto molto, almeno sul piano degli investimenti e dell’introduzione di nuove regole a livello europeo e italiano per promuovere la dematerializzazione. Rizzotto ha citato punti come il Protocollo informatico nella PA, le norme sulla fatturazione, la firma elettronica e la conservazione sostitutiva. I dati IDC relativi all’Europa occidentale stimano in un 1,1 miliardo di euro il mercato delle soluzioni gestionali mirate alla conversione paper-to-digital, un settore che dovrebbe continuare a crescere dell’8% da qui al 2017. Ciò nonostante continua a esserci un gap da colmare nella quotidianità del lavoro burocratico e di ufficio.

Sarebbe sbagliato, ha precisato però Rizzotto – supportato da diversi relatori che hanno animato l’interessante mattinata – pensare che la soluzione di tutto consista nel “far sparire” la carta. «Le organizzazioni devono piuttosto imparare a trasformare anche la carta in un documento attivo». Un buon punto di partenza continua a essere proprio la mole di processi “commodity”, in primo luogo quelli rappresentati dal ciclo passivo, «che tutte le aziende stanno prendendo in considerazione ma che in larga misura rimane, come si è visto, ancora gestito manualmente». Anche in quest’ambito, ha concluso Rizzotto, la vera spinta alla digitalizzazione arriverà dalla progressiva adozione di piattaforme e formati aperti e dall’adozione dei servizi “smart” legati al cloud computing, una tecnologia abilitante che potrebbe determinare una vera rivoluzione proprio nella PA.

«Molte volte – ha dichiarato Rizzotto alla fine del suo intervento – abbiamo creduto di essere arrivati a un punto di svolta, ma oggi è possibile contare su una importante differenza: l’assetto normativo appare molto più favorevole». La conferma viene dal keynote tenuto subito dopo da Andrea Lisi, giurista e presidente di Anorc, l’associazione degli operatori e responsabili della conservazione digitale. «Abbiamo avuto in passato un regolatore forse ostinato e contrario al cambiamento – ha esordito Lisi. Ma a volte è proprio dalle regole che possono arrivare i migliori stimoli e persino precise scelte commerciali». Davanti alla crescente disponibilità di soluzioni di gestione documentale multicanale e multiformato, come hanno saputo reagire gli esperti di questioni giuridiche? Alla luce delle normative e delle note tecniche predisposte negli ultimi due anni, ha sottolineato Lisi, il vero ostacolo non è più la legge, ma la nostra capacità di adeguare i processi, nelle aziende e nelle PA, a un nuovo concetto di documento e di conservazione delle informazioni.

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Videointervista a Federica Muccione, Commercial Account Executive, Kofax Italia

 

 

Anche Lisi invita il pubblico del convegno IDC a diffidare delle eccessive semplificazioni. Prendendo spunto dalle disavventure vissute in prima persona durante l’interazione con la pubblica amministrazione pugliese (Lisi ha raccontato di aver dovuto seguire un lungo iter di compilazione di formulari elettronici solo per produrre, alla fine del ciclo, un documento cartaceo) l’esperto ha esortato a passare dal semplice concetto di «sostituzione digitale della carta a una gestione digitale end to end dell’intero processo, basandosi su una estesa integrazione dei dati che sono alle origine dei documenti». Conservare questi dati in modo integrato non significa adottare le tecnologie digitali di backup per rimpiazzare gli archivi cartacei, ma ripensare profondamente il modo di processare le informazioni. «In particolare – ha concluso Lisi – formazione e conservazione dei documenti oggi sono fasi distinte che devono però confluire conservando in modo intelligente tutte le informazioni rilevanti».

A fronte delle normative che hanno ormai aperto le porte a un’idea interamente digitale del documento e della certificabilità delle informazioni elettroniche, uno dei pezzi mancanti – ha anche suggerito Lisi – riguarda la nostra capacità di formare e utilizzare nuove professionalità orientate alla gestione della dematerializzazione e dei nuovi documenti digitali. Questo deve essere l’obiettivo delle aziende, della PA e delle associazioni come Anorc.

All’incontro hanno partecipato anche Federica Muccione e Marco Meucci di Kofax Italia, che hanno presentato una breve dimostrazione della piattaforma Kofax Total Agility, un vero e proprio sistema di instradamento delle informazioni multicanale verso il backend aziendale, e Luca Gaslini, che ha illustrato l’offerta del Printing & Personal Systems Group di Hewlett-Packard per i servizi di stampa e di workflow documentale, ma uno degli interventi più stimolanti è stato quello di Luciano Ammenti, il CIO della Biblioteca Apostolica Vaticana, che ha raccontato il caso di eccellenza di un prezioso repository di 80mila manoscritti e oltre un milione e mezzo di opere a stampa, che le autorità vaticane stanno digitalizzando con ambiziosi obiettivi di conservazione di lungo termine e divulgazione dei contenuti. Anche Ammenti si è soffermato a lungo sull’importanza dei formati e delle piattaforme open, riferendo della collaborazione che la Biblioteca apostolica ha avviato con gli ingegneri spaziali dell’Esa per l’adozione del formato FITS come alternativa molto più affidabile rispetto ai tradizionali PDF e TIFF. Per assicurare la durata e la piena fruibilità online del suo nuovo archivio digitale, la Biblioteca ha adottato – ha spiegato Ammenti – un database basato su file system Hadoop e una interfaccia di consultazione basata su semantica neuronale che trasforma gli statici contenuti di codici e pergamene in un documento vivo e perfettamente inquadrabile nelle logiche di classificazione, ricerca e ripristino delle informazioni che le tecnologie hanno reso possibili.

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