Due atenei italiani hanno lavorato a un biomateriale con componenti minerali in grado di favorire la rigenerazione delle ossa degli anziani
Uno dei problemi principali di cui soffrono gli anziani riguarda la degenerazione delle ossa. Malattie come l’osteoporosi sono molto comuni e spesso diventano debilitanti per le persone avanti con l’età. L’Università degli Studi di Pisa, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, ha realizzato un biomateriale che può rallentare questo processo anche senza l’utilizzo del calcio, la proteina base per la formazione delle ossa.
Un materiale per favorire il consolidamento delle ossa
Il materiale bio è stato creato nell’ambito del progetto “Ingegnerizzazione di modelli d’organo di interesse fisiologico e patologico per l’indagine di disturbi legati all’invecchiamento“, il cui obiettivo è quello di individuare i fattori che accelerano e rallentano l’invecchiamento. Questa tecnologia è composta da collagene e componenti minerali come il fosfato di calcio. I ricercatori hanno studiato singolarmente gli stimoli chimici e meccanici prodotti da queste sostanze sulle cellule staminali (quindi non ancora differenziate) e hanno scoperto, come ha spiegato il docente di bioingegneria presso l’ateneo toscano Arti Ahluwalia, come “la rigidezza sia il fattore scatenante per il differenziamento di cellule staminali in tessuto osseo, mentre la presenza di fosfato di calcio contribuisce ad accelerare questo processo, in particolare ad alte concentrazioni”. Da ciò i ricercatori hanno dedotto che utilizzare materiali poveri di minerali ma rigidi al punto giusto può favorire la rigenerazione delle ossa fragili degli anziani.
“Capire quali siano i principali stimoli promotori dell’osteogenesi – ha continuato Ahluwalia – è cruciale per progettare biomateriali ottimali per applicazioni di ingegneria tissutale e medicina rigenerativa”.
La ricerca nel campo dei biomateriali potrebbe essere il futuro della tecnologia nei più disparati campi. Il Cnr, ad esempio, ha creato un chip biodegradabile per scoprire una cura per le malattie degenerative del cervello mentre gli USA si sperimenta l’utilizzo di queste soluzioni per creare chip che si sciolgono una volta finito il proprio ciclo di vita.