A caccia di “unicorni” e ritorno alla realtà

I VC danno la caccia agli “unicorni” nel tentativo di realizzare exit da miliardi di dollari. Uno sport ad alto rischio che sta iniziando a creare le prime fratture nel mercato

Gli “unicorni” tornano a far rumore anche quest’anno. Ma attenzione. Non è tutto così idilliaco come sembra. Se il 2014 è stato l’anno dell’euforia e dell’esaltazione per l’incredibile esplosione di Venture Capital Unicorno cui abbiamo assistito, il 2015 sembra essere l’anno in cui occorre vedere il rovescio della medaglia, abbandonare le aspettative di un ottimismo irrazionale a favore di una più solida concretezza.

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I venture capitalist che sono impegnati a dare la caccia alle exit che possano annoverarli nel rango degli unicorni, non devono perdere di vista la necessità di gestire i loro portafogli da un punto di vista globale. E’ quanto afferma il direttore di Flag Capital, un fondo di fondi, destinato a finanziare società di venture capital. Si tratta di un suggerimento che potrebbe apparire quasi scontato, superfluo, ma che in realtà presenta grosse implicazioni. La maggior parte dei gestori di VC, infatti, deve affrontare enormi pressioni per poter mantenere le alte scommesse su quelle che sembrano essere le potenziali exit da miliardi di dollari.

Il direttore di Flag, da un’analisi del portafoglio complessivo della propria società, ha osservato come soltanto un quarto dei fondi con società unicorno sia riuscito a recuperare il costo degli investimenti effettuati. La preoccupazione principale consiste nel fatto che le valutazioni dei VC hanno superato di gran lunga le valutazioni pubbliche ragionevoli: un segno che potrebbe essere pericoloso.

Secondo CB Insights, l’ammontare degli investimenti dei VC in società hi-tech è aumentato a 19,6 miliardi di dollari nel 2014, guidato da «mega-finanziamenti per un piccolo ma crescente gruppo di società». Oltre il 60 per cento di tutto il capitale investito dai VC si è risolto in 414 rounds che superano i 25 milioni di dollari nel 2014, la percentuale più alta da quando si è verificata la bolla delle dotcom, il 50 per cento in più rispetto ai 276 gironi di investimenti nel 2013. Gli esempi in proposito sono tanti. Basti pensare all’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook: un’operazione del valore di 22 miliardi di dollari, un affare che ha superato enormemente le valutazioni previste. Nel frattempo, i potenziali acquirenti hi-tech come Google, Yahoo, Alibaba, Apple e Microsoft hanno decine di miliardi di dollari in giacenze monetarie pronte a essere investite.

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Strategie d’investimento

Dalle analisi di CB Insights, risulta inoltre che Sequoia Capital ha investito nella maggior parte degli “unicorni” statunitensi, arrivando a detenere nel portafoglio ben 13 società valutate sopra un miliardo di dollari. Kleiner Perkins Caufield & Byers ha accumulato ben 12 società unicorno, ma non ha investito in nessuna di esse nella fase iniziale. Nel frattempo, Andreessen Horowitz può vantare ben 10 unicorni, ma solo due sono stati investimenti early-stage. Sembra che i VC abbiano l’intenzione di collezionare unicorni nel proprio portafoglio per avere maggiore visibilità. Una vera e propria corsa in cui chi arriva prima vince: non importa se l’investimento iniziale non rende quanto previsto, importa solo la quantità di unicorni che si riesce a ottenere. Logiche di strategia che potrebbero trasformarsi in un gioco rischioso e non più sostenibile a lungo termine.

Secondo David Coats di Correlation Ventures, più della metà delle risorse dei VC negli anni 2011-2014 sono state investite in diversi rounds per un ammontare superiore ai 100 milioni di dollari nella fase di pre-seed. Ma se il valore medio di exit dei venture è stato di 140 milioni di dollari, come si fa a ottenere un profitto? Investendo 40 milioni di dollari su un pre-seed di 100 milioni, e ottenendo una posta di 140 milioni, si finirebbe con il possedere il 28,5% della società. Quindi, se la società ha venduto per il valore medio di exit (140 milioni di dollari), si potrebbe recuperare soltanto l’investimento effettuato con una percentuale di profitto pari a zero.

Se si considera che si può parlare di unicorni a partire dalla cifra base di un miliardo di dollari, e che molti cacciatori di unicorni possiedono meno del cinque per cento di queste imprese, alla fine il valore netto che può offrire un investimento in tale ambito si aggira intorno ai 50 milioni di dollari o poco più. Un risultato di gran lunga inferiore ai rischi che si corrono. Resta da vedere per quanto tempo, valutazioni così alte potranno resistere. Siamo arrivati ​​a un punto in cui le valutazioni di finanziamento private sono ben oltre il valore di acquisto di una società pubblica da parte di una banca.

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Scommesse ad alto rischio

Che cosa succede se i VC titolari di azioni in queste società, eccessivamente stimate, non riescono a vendere le stesse? Le società che avranno bisogno di capitale dovranno essere vendute a un valore molto più basso di quello stimato. E allora la bolla torna a riaffacciarsi.

Quando un mercato ultra gonfiato esaurisce il vapore, il crollo non attende molto a farsi sentire. Alcuni venture capitalist stanno diventando nervosi a riguardo. «Io credo che vedremo alcuni unicorni morti quest’anno» – ha dichiarato Bill Gurley, partner di Benchmark, importante società di VC della Silicon Valley. Gurley ha mostrato come sia gli investitori sia le startup stiano spingendo troppo, ignorando gli standard tradizionali di rischio. «Siamo in una bolla di rischio» – ha detto. «Le aziende stanno assumendo enormi tassi di interesse per giustificare la spesa di capitale che stanno riversando in questi enormi finanziamenti, mettendo la loro redditività a lungo termine in pericolo».

Marc Andreessen, uno dei fondatori di Netscape durante l’era delle dotcom, ha espresso preoccupazioni simili dicendo che troppe start-up stanno letteralmente bruciando le risorse troppo in fretta. «Quando il mercato si trasforma, e si trasformerà, scopriremo che stiamo nuotando in un mare troppo grande senza scialuppa di salvataggio. Mark Cuban, famoso imprenditore statunitense, ha dichiarato che la situazione attuale è «peggiore della bolla tecnologica del 2000» a causa di VC che investono in applicazioni e aziende hi-tech con poco controllo. E le prime scosse già si sono fatte sentire.

L’avvio della piattaforma online Fab.com, che ha raccolto 300 milioni e si è unita al club delle società unicorno lo scorso anno, ha finito per vendere la maggior parte delle sue azioni lo scorso mese alla PCH, un acceleratore di startup che trasforma le idee in prodotti concreti. Un altro ex-unicorno, la piattaforma di giochi OnLive, è stata acquisita recentemente da Sony attraverso una trattativa riservata.

Anant Sundaram, professore alla Tuck School of Business di Dartmouth, specializzato in valutazioni aziendali, ha detto che pochi VC hanno dimostrato la capacità di aumentare i ricavi e creare un business sostenibile. «Sulla base dei dati storici, non sarei sorpreso se la stragrande maggioranza di queste imprese non riuscisse a vivere secondo quanto stimato nelle valutazioni iniziali» – ha detto Sundaram. «Eppure, questi tipi di investimenti sono parte del processo di innovazione e di distruzione creativa che alimentano l’economia. Ma c’è anche chi continua a non vedere lo scenario futuro così negativo.

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Peter Barris, partner della società di venture capital New Enterprise Associates, ha dichiarato che gli investimenti nel settore del capitale di rischio stanno fluendo velocemente perché ci troviamo in un periodo di grande innovazione. «Ci saranno sicuramente uno o due crolli spettacolari nella Silicon Valley, ma molte altre società saranno in grado di giustificare le valutazioni ricevute e di andare molto più lontano».

Ma allora, vedremo unicorni o bolle nel mondo dei VC? Probabilmente entrambi: è un panorama complesso in cui né gli uni né le altre possono primeggiare per sempre.