Lo stato di salute degli IP

Quale futuro della rete? Opportunità e ostacoli. Il ruolo degli Internet Provider nello sviluppo della banda ultra larga

Il 2 aprile si è svolto il Convegno Nazionale 2015 dell’Associazione Nazionale Internet Provider. I vari interventi che si sono succeduti hanno fornito un’analisi puntuale della situazione del settore delle telecomunicazioni sia dal punto di vista regolamentare sia economico, soprattutto nella prospettiva delle azioni necessarie per invertire il trend al ribasso che ha colpito anche questo settore economico.

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Franco Bassanini, presidente Astrid, ha chiarito il ruolo che gli Internet Provider dovranno svolgere per contribuire allo sviluppo della rete di nuova generazione. Il Governo si è già impegnato a investire fino a sei miliardi in sette anni sulle nuove reti, tra fondi europei e nazionali, per raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda Digitale europea, al 2020: Internet a 30 Mbps per il 100% della popolazione e almeno il 50% della popolazione effettivamente abbonata a servizi Internet a 100 Mbps. Nel frattempo, però, l’orizzonte non sembra così luminoso dato che la Commissione Europea giudica negativamente le misure intese a finanziare con fondi pubblici l’introduzione di una nuova infrastruttura a banda larga in un’area già coperta. Di conseguenza, lo scenario che si va delineando in Italia potrebbe rendere improbabile la concessione di fondi pubblici a operatori alternativi a Telecom Italia a meno che questi non intraprendano dei processi di integrazione verticale.

Al Convegno sono intervenuti inoltre Alessio Beltrame, capo della segreteria del sottosegretario di Stato del ministero dello Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, Raffaele Tiscar, vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Renato Soru, fondatore di Tiscali, Alessandra Poggiani, direttore generale per l’Agenzia dell’Italia Digitale (in una delle sue ultime apparizioni pubbliche prima delle dimissioni), Rita Forsi, direttore ISCOM, Stefano Quintarelli, presidente del Comitato di indirizzo della Agenzia per l’Italia Digitale, Antonio Nicita, commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Moreno Grassi, direttore generale di Metroweb, Salvatore Lombardo, amministratore delegato di Infratel e Walter Felice Ibba, VP National Wholesale Services Head of Marketing di Telecom Italia.

TLC in chiaro scuro

Nel corso del convegno, il dipartimento di Management dell’Università La Sapienza di Roma ha presentato in anteprima i dati della ricerca “Stato di salute degli Internet Provider” a cura di Fabrizio D’Ascenzo, direttore del dipartimento, e anche di chi scrive questa rubrica. In attesa dei dati sui bilanci 2014, i dati del 2013 confermano l’ulteriore contrazione del fatturato delle TLC rispetto al 2012 così come la lenta ma inesorabile perdita di terreno di Telecom Italia a favore degli altri operatori. Nella fotografia scattata da uno studio dell’Università La Sapienza di Roma, emerge che il settore sta affiancando alla fase di contrazione, un’attività di razionalizzazione. In termini di numerosità, gli operatori specializzati nei servizi Internet (connettività, telefonia VoIP, domini, cloud e data center) sono passati da 377 a 357 dei quali 16 grandi, 24 medi, 93 piccoli e 224 micro imprese, secondo la classificazione dimensionale dell’Unione Europea[1]. In termini di quote di mercato calcolate sul fatturato, i grandi Internet Provider cubano il 97,66% su un fatturato complessivo di circa 34 miliardi di euro; ciò che resta è per l’1,23%, lo 0,75% e lo 0,36% distribuito rispettivamente a medie, piccole e micro imprese a fronte di quote di mercato, misurate in termini di accessi, anch’esse in lenta ma costante crescita a favore degli operatori emergenti. In termini di distribuzione geografica, è possibile osservare una sostanziale disomogeneità tra Nord, Centro, Sud-Isole che avvalora la tesi della persistenza di un digital divide strutturale tra le varie aree.

Il dato osservato fa riferimento alla sede principale delle aziende: è comunque evidente che, con riferimento alla copertura geografica dei servizi offerti, il raggio di azione delle aziende è inversamente proporzionale alla dimensione delle aziende per cui le micro e piccole imprese hanno prevalentemente un mercato locale e al massimo provinciale. Ovviamente, la minor presenza di operatori nelle regioni del Sud è a tutto vantaggio delle grandi aziende a detrimento della concorrenza e in taluni casi della qualità dei servizi. è noto infatti come uno degli elementi che fanno preferire gli operatori più piccoli è la personalizzazione del rapporto con il cliente. In questo senso, è da sottolineare il fermento presente in alcune regioni italiane quali Umbria, Puglia, Marche e Veneto con numerosi operatori attivi nel tentativo di colmare il digital divide attraverso l’uso della tecnologia WiMax. Con riferimento alle tecnologie di accesso alla rete, è da evidenziare l’impegno crescente degli operatori piccoli e medi nella fibra ottica. In questo senso, le dichiarazioni di Telecom Italia di voler investire in fibra ottica l’importo di tre miliardi di euro per il triennio 2015-2017 (di cui 500 milioni di euro all’architettura FTTH) rappresentano una notizia positiva per il sistema ma anche per gli altri operatori, soprattutto se a questi verranno forniti servizi all’ingrosso con modalità di fornitura trasparenti e non discriminatorie.

Le sfide del mercato

Se si fa riferimento invece ai servizi offerti, è da notare che sempre maggiore è l’allargamento dell’offerta dei servizi cloud e di data center. Ed è proprio dal lato dell’offerta di servizi che si stanno ridefinendo i modelli di business e la stessa definizione in senso stretto di Internet Provider. Infatti, partendo dal modello tipico di Internet Provider – che ha affiancato all’accesso alla rete i servizi quali VoIP, cloud e data center – stanno emergendo da un lato modelli di business molto specializzati (ad esempio sulla unified communication in modalità B2B) e dall’altro modelli che integrano sempre più attività legate ad esempio alla fornitura di contenuti o a servizi legati allo sviluppo delle smart cities. In quest’ultimo caso, è da sottolineare l’interesse crescente nel settore delle utility (spesso a controllo pubblico) a carattere locale o regionale. Dal punto di vista delle tecnologie in crescita, il numero degli operatori indipendenti e IPv6 ready sottolinea la necessità di creare le corrette premesse per l’Internet of Things.

Andando alla salute delle aziende, il segmento delle PMI mostra una migliore redditività ed efficienza della gestione caratteristica, delle vendite, dell’attivo e del capitale proprio. In tal senso, appare evidente che le PMI sono capaci a fare efficienza seppure con risorse e quote di mercato limitate, puntando su un rapporto più diretto con la clientela. Quando però si vanno ad analizzare le fonti di finanziamento delle aziende emergono le difficoltà, in particolare delle piccole e micro imprese, che si trovano a fronteggiare situazioni di sottocapitalizzazione e talvolta di sovraesposizione verso le banche che ne mette a repentaglio la solvibilità. Ciò ovviamente determina un chiaro ostacolo all’attuazione di un piano di investimenti per lo sviluppo di un’infrastruttura digitale in grado di favorire anche una crescente apertura del mercato agli operatori emergenti. Pertanto questi si devono attrezzare per superare i problemi legati alla dimensione e alla bassa patrimonializzazione. Da un lato quindi la necessità di favorire la capitalizzazione delle aziende con una incentivazione alle aggregazioni (da capire in che modalità) comprendendo anche le motivazioni della scarsa propensione all’accesso al mercato dei capitali (una sola IPO di Internet Provider nel 2014); dall’altro quindi la necessità di un approfondimento sui modelli di business che favoriscano lo sviluppo degli Internet Provider e la creazione di un mercato delle telecomunicazioni concorrenziale.

[1] Art. 2 dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE

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Francesco Bellini presidente del Comitato Tecnico ICT di ANDAF e senior partner Eurokleis