Un po’ i pronipoti (The Jetsons) di Hannah&Barbera, un po’ Blade Runner. Aspettando la città intelligente che tarda ad arrivare
È facile immaginare la città smart come quella dei film di fantascienza, in cui le automobili invece di muoversi sull’asfalto volano, le case sono bolle di vetro autosufficienti ed ecocompatibili, gli orti sono protetti da gigantesche campane di vetro e gli uomini indossano tutine aderenti bianche o azzurre. Città iperconnesse, con in più quel sano tocco di diffidenza che ci ha insegnato la trilogia di Matrix. Come se in realtà la città del futuro sfuggisse a qualsiasi controllo reale e non fosse altro che il frutto della fantasia malata e del bisogno di controllo di qualche forza superiore o scienziato pazzo.
Perché succede?
Prima di tutto, perché fino ad oggi l’atteggiamento della smart city è stato per così dire persecutorio? Se la città intelligente è quella in cui le infrastrutture tecnologiche ci permettono di monitorare tutto ciò che succede, è facile pensare che l’intelligenza di cui si parla sia quella che esercita un controllo: videocamere di sorveglianza, tutor e radar per misurare la velocità, l’apertura e la chiusura dei varchi e delle aree urbane a traffico limitato. Principalmente, con la funzione di fare multe.
I cittadini fanno sempre più fatica a fidarsi della tecnologia urbana. Basta prendere le assicurazioni. Sono molte quelle che propongono la scatola nera a bordo, per registrare il comportamento del veicolo in caso di incidente. Adottarla comporta anche un significativo sconto sul costo dell’RC auto. Eppure, sono molte le persone che nonostante il risparmio non accettano l’offerta, per la spiacevole sensazione di sentirsi controllati.
Non solo controllo
La città intelligente non si basa solo su controllo e sicurezza, e soprattutto non solo su infrastrutture materiali. La città intelligente è quella che prima di tutto sviluppa strategie. Per ottimizzare e innovare i servizi pubblici e migliorare la qualità della vita. Vogliamo dire che è resiliente? Che usa le tecnologie in modo strategico per reagire agli eventi della quotidianità? Non possiamo pensare che gli “oggetti sensibili” siano intelligenti per conto proprio. È necessario che lo diventino grazie a una pianificazione strategica che permetta di avere una visione d’insieme e di mettere in relazione, nella maniera più efficace possibile, infrastrutture materiali e immateriali. Sensori e servizi.
La debolezza di moltissime sperimentazioni, finanziate attraverso bandi nazionali o europei, è la tendenza a fermarsi alla fase pilota. Senza pianificare il futuro, quando i finanziamenti saranno finiti e le tecnologie dovranno essere gestite. Per esempio, prendiamo il progetto sfpark a San Francisco. Un sistema di riduzione del traffico grazie a un’applicazione che permette di trovare parcheggio in maniera più veloce grazie a dei sensori posizionati sugli stalli. Il progetto si è concluso a fine 2013, quando le batterie dei sensori hanno raggiunto il limite della loro vita. Oppure, pensiamo a uber, startup di successo che ha proposto un sistema innovativo di trasporto che oggi deve fare i conti con una serie di problematiche che nulla hanno a che fare con batterie, tecnologie o sensori, ma con le intelligenze e il buon senso di amministratori, politici, associazioni di categoria e lavoratori.
Andare oltre
Siamo quindi ancora a livello di “palestra” di casi e di buone pratiche, che di buono non hanno molto, se non sono capaci di “andare oltre”. Bisogna che le città accettino di passare dal progetto pilota alla scelta globale. Bisogna decidere come allocare le risorse sulla città intelligente e capire quale fase dell’intelligenza urbana promuovere. Per qualche tempo la politica urbana deve viaggiare su due canali separati: quello della quotidianità e di mantenimento dell’esistente, e quello della pianificazione e della visione. Per evitare di continuare a vivere in una città “stupida”, sognando in continuazione quella intelligente, che però sembra non arrivare mai.
Emanuela Donetti @urbanocreativo