L’azienda voleva esportare i suoi chip per aggiornare il computer più potente al mondo che per gli USA sarebbe un pericolo
Se è oramai chiaro che le prossime guerre si combatteranno in rete a suon di DDoS e cyberattacchi, è concreto il pericolo di embarghi legati a prodotti informatici. L’ultimo riguarda il governo americano che ha proibito a Intel di esportare i suoi chip per l’aggiornamento di Tianhe-2, attualmente il computer più potente al mondo secondo i dati di Top 500. La macchina può contare su una potenza di ben 33,86 petaflops che attualmente girano grazie a 80.000 chip Xeon di Intel. Per mantenere il primato c’è però bisogno di maggiore potenza ed è per questo che le autorità cinesi avevano intenzione di dotarlo della nuova piattaforma Shasta in grado di aumentare le performance fino a 180 petaflops.
Minaccia per l’Occidente
Ma come detto, gli Stati Uniti hanno vietato a Intel l’esportazione per un motivo principale. Secondo il governo, Tianhe-2 e altri due fratelli minori sarebbero stati utilizzati per compiere attività di studio nucleare “contrarie alla sicurezza nazionale e agli interessi di politica estera degli Stati Uniti”. In realtà ci sarebbero ulteriori motivazioni dietro il ban a Intel. Di recente l’azienda americana ha siglato un accordo con Cray per la produzione di Aurora, un supercomputer per il Dipartimento di energia degli States che ha più di una chance per rubare a Tianhe-2 la prima posizione. Per questo gli USA non vorrebbero che una compagnia nazionale favorisse lo sviluppo di un sistema estero, addirittura nemico, osteggiando così il successo di un computer che nell’immaginario collettivo dovrebbe rappresentare l’orgoglio hi-tech di un intero paese.