La città intelligente dipenderà da quanto smart sarà l’agricoltura
Non vedo l’ora che arrivi questo famigerato 2050. Un anno che, dopo il 2015 per l’Italia, e il 2020 per l’Europa è diventato un simbolo per l’intero Pianeta. Nel 2050, si prevede infatti che il 90% della popolazione mondiale vivrà in ambiente urbano. Presa alla leggera questa informazione vuol dire poco. Ragionandoci sono invece molte le implicazioni di un processo che porterà otto miliardi circa di persone ad abbandonare le campagne e trasferirsi in città.
Parliamo di alimentazione, di produzione. Di gestione delle coltivazioni. Di lotta a malattie e parassiti. Di trattamento dei rifiuti. Sempre meno persone se ne occuperanno direttamente, sempre più persone dipenderanno per le esigenze alimentari da pochissimi operatori presenti sul territorio.
Produzione alimentare
L’Organizzazione per le Nazioni Unite si è posta il problema, con il progetto ClimateSmart. Raggiungere la sicurezza alimentare e rispondere alle sfide del cambiamento climatico sono due obiettivi che devono essere raggiunti insieme. Per rispondere alle esigenze della popolazione, la produzione alimentare dovrà aumentare di almeno il 70 per cento rispetto a quello che si produce oggi, contro il climate change che ogni anno trasforma le reazioni del nostro Pianeta.
Cosa ci aspetta?
Due sono le scelte. Da una parte una campagna sempre più tecnologica, in cui i sensori elettronici forniranno a centrali operative le condizioni del raccolto in real-time, in cui le lotte ai parassiti o agli imprevisti del tempo saranno gestite secondo le leggi della statistica, e della gestione dei dati. Dall’altra le biotecnologie: gestione integrata della fertilizzazione, genetica vegetale, irrigazioni strategiche.
Un futuro che potrebbe perfino spaventare: perché se è vero che la città smart, tecnologica e intelligente, dipende dalla capacità di acquisto (notoriamente limitata) delle pubbliche amministrazioni, l’agricoltura smart invece rischia di diventare un tema di pochi, finanziata da privati, e in particolare da multinazionali. E quindi, il rischio finale è di affidare il cibo di tutti alle cure di pochi. Anzi. Di pochissimi.
Expo Milano 2015
Per capirne meglio, e per tutto il tempo di Expo Milano 2015, sarà possibile fare un’esperienza diretta letteralmente sul campo. A Lodi, grazie a un progetto del Parco Tecnologico Padano promosso dagli enti locali e partecipato da un folto gruppo di aziende nazionali e internazionali, sarà allestito un “demo field”, una stazione dimostrativa sull’agricoltura del futuro, dove verranno simulate le condizioni produttive di alcune delle principali colture alimentari mondiali (mais, riso, soia, sorgo), in diversi contesti agronomici
Cos’è un demo field?
In questo caso, si tratta di una collinetta artificiale dove sarà possibile salire e osservare dal vero le coltivazioni, le tecniche di coltura e di irrigazione su terreni irregolari e marginali, le innovazioni, approcci e tecnologie già disponibili nei settori dell’irrigazione, dei fertilizzanti organici e di sintesi, della genetica vegetale, della gestione integrata della fertilità del suolo, del bio-controllo e di tecniche/prodotti di pacciamatura, in grado di garantire alte rese agricole e una gestione sostenibile delle risorse ambientali. I sistemi saranno integrati con tecnologie informatiche di sensoristica e comunicazioni mobili. Era forse quello che ci aspettavamo dall’Expo di Milano, che però nel frattempo si è spostata di più sull’alimentazione e la gastronomia. Il senso del demo field è proprio quello di far incontrare ricerca e applicazione, e metterci davanti alla realtà dei fatti, come saranno: un posto fisico dove discutere dell’agricoltura nel 2050, sia per gli increduli come San Tommaso dell’innovazione sia per quelli che invece la sostengono come panacea di tutti i mali. Per una volta con gli stivaloni di gomma ai piedi, e nemmeno una slide.
Emanuela Donetti @urbanocreativo