Le protesi bioniche stanno diventando una realtà sempre più concreta: la Scuola Sant’Anna di Pisa ha coordinato un progetto europeo che consente a chi ha subito un’amputazione di tornare a camminare grazie a protesi robotizzate
Il sogno di tutti i pazienti con arti amputati è finalmente una realtà, che sembra fantascienza. Un altro passo avanti nella robotica applicata alle protesi, dopo la mano bionica comandata con il pensiero, impiantata con successo su tre pazienti e i casi di occhi bionici che hanno ridato la vista a più di una persona non vedente.
Sistemi ergonomici e leggeri
Un sogno realizzato grazie a Cyberlegs, progetto finanziato dalla Commissione europea con 2 milioni e mezzo di euro e coordinato dall’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Sono 11 le persone che finora hanno sperimentato le protesi robotiche, tutti pazienti che hanno subito l’amputazione degli arti inferiori, al di sopra del ginocchio.
“Abbiamo messo insieme più di tecnologie che aiutano a tornare a camminare in modo naturale”, spiega il coordinatore del progetto, Nicola Vitiello.
I test sono stati svolti alla fondazione Don Gnocchi di Firenze dall’agosto dell’anno scorso, lavorando su vari tipi di protesi. E’ stato sperimentato un tutore del bacino, capace di assistere il movimento che permette di flettere e di estendere l’anca. Un dispositivo ergonomico, contenuto in una specie di zainetto, capace di adattarsi alla schiena senza alterare la postura. Si tratta di un sistema a batterie, che possono durare fino a tre ore, consentendo di camminare sia all’interno che all’esterno.
Protesi e tutore uniti
“A ogni passo l’ortesi robotizzata – commenta Nicola Vitiello – fornisce all’amputato un surplus di energia e permette in questo modo di ripristinare un cammino più fisiologico. Durante il progetto questo dispositivo è stato testato con successo da sette amputati, che hanno potuto interagire con il dispositivo in maniera intuitivo e, al tempo stesso, sperimentando un cammino più fisiologico”.
Esiste anche una protesi transfemorale motorizzata che permette di camminare, di sedersi, di salire o di scendere le scale.
“Un’altra frontiera esplorata con successo è quella dell’unione tra protesi transfemorale con l’ortesi (tutore) attiva di bacino – spiegano sempre dalla Scuola Sant’Anna – Il dispositivo è stato definito dai ricercatori “orto-protesi”.
In futuro gli amputati potrebbero avere protesi unite a ortesi (tutore): mentre la protesi sostituisce l’arto mancante, l’ortesi può compensare i deficit del cammino derivanti dal fatto che la protesi non è mai in grado di restituire un cammino simile a quello naturale.
Secondo Vitiello “nel lungo periodo è possibile immaginare che queste tecnologie saranno adottate in maniera progressiva e che il loro impatto sulla società sarà tangibile. Le persone amputate potranno contare su una nuova generazione di sistemi robotici leggeri per ottenere una più alta mobilità, unita a una migliore qualità della vita”.