Big Data: e le risorse umane?

I dati lo confermano: anche in Italia, continua il forte interesse per i big data.

In una ricerca di poche settimane fa, IDC prevede che questo mercato continuerà a crescere al ritmo del 23% annuo nei prossimi quattro anni. Anche per l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, l’ambito Big Data Analytics (BD&A) è la principale priorità di investimento per il 2015, indicata dal 56% dei CIO. Investire in queste soluzioni, oggi, non è una scelta ma un’esigenza. La conferma arriva da Sergio Patano, research & consulting manager di IDC Italia: «A livello italiano, c’è un grande interesse intorno alle soluzioni Big Data, in quanto considerate in grado di accelerare l’innovazione e di migliorare i processi esistenti».

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Per facilitare il successo dei progetti in ambito BD&A, diventerà centrale una figura professionale ancora poco nota, ma già molto ricercata: il data scientist. Dotata di competenze informatiche, matematico-statistiche e di business, questa figura professionale deve essere in grado di estrarre informazioni dai dati, modellizzando problemi complessi per fornire al management le informazioni utili a prendere decisioni e a formulare strategie, ma deve avere anche spiccate capacità di comunicazione per illustrare i risultati delle analisi ai senior manager e agli azionisti. Una figura indispensabile per sfruttare al massimo queste soluzioni, perché i dati possono essere molto importanti, ma solo se si sanno utilizzare bene. Diversi analisti prevedono che, soltanto negli Stati Uniti, nei prossimi anni mancheranno più di 250mila data scientist rispetto alla richiesta. Stime analoghe sono state fatte anche per l’Europa: non a caso, nelle principali università italiane, sono già stati organizzati dei master per la formazione di data scientist, partiti in questi mesi.

Se nelle aziende, le Line of Business sono entusiaste delle soluzioni di BD&A, perché sono un’opportunità per migliorare e accelerare i processi decisionali, non altrettanto si può dire dell’IT, che deve affrontare le tante complessità di questi progetti e le difficoltà nel reperire personale tecnico adeguatamente formato per implementarli e gestirli. Secondo Patano: «Per ottenere il massimo da un progetto di BD&A non basta dotarsi di un data scientist, ma non possono mancare altre competenze che coprano tutto il ciclo di vita degli analytics: data preparation, data management, business analysis, advanced analytics, analytic application development, hardware infrastructure deployment and management, vendor management, performance measurement e governance».

Opportunità di lavoro, quindi, per tutte le figure professionali dell’IT. Confindustria Digitale stima che nel nostro Paese, entro il 2020, mancheranno fra le 100mila e le 200mila figure tecnologiche qualificate. Stiamo, però, già fronteggiando il digital mismatch: per le professionalità IT, secondo Modis Italia, divisione del Gruppo Adecco, specializzata nel recruiting in ambito ICT, la richiesta delle aziende è superiore alla domanda, per un’assunzione su quattro si incontrano difficoltà nel reperimento delle professionalità adatte, la formazione universitaria non è sempre in linea con quanto richiede il mercato dinamico di oggi. Per fortuna, non è ancora troppo tardi, ma il Governo deve rafforzare l’impegno nel sostenere l’economia, con nuovi investimenti in infrastrutture digitali, ma soprattutto in istruzione e in progetti di orientamento per i giovani, per coprire più facilmente i futuri posti vacanti.

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