Startupper vincenti? Ci pensa il computer

Il 2015 si apre all’insegna dell’intelligenza artificiale con previsioni positive. Le exit ci saranno, ma non saranno determinate dall’uomo

Il nuovo anno inizia in grande stile per la Silicon Valley. Innovazione e modernità sono il nuovo dictat dei venture capital (VC) e il 2015 si apre all’insegna di una nuova moda. Si tratta di un’idea che se indirizzata rettamente e sfruttata con le giuste competenze potrebbe rivoluzionare l’intero mondo dei venture capital. Ma di cosa sto parlando? Sono due parole, una sola idea: intelligenza artificiale. Questa sembra essere la nuova frontiera. La Silicon Valley è decisa nel lanciare una nuova moda che potrebbe rivoluzionare l’intero ecosistema del capitale di rischio.

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«Questo è il momento in cui bisogna essere presenti sulla scena». Sono state queste le parole di Stephen Purpura, fondatore di Context Relevant, una società di VC basata sull’ intelligenza artificiale che ha raccolto più di 44 milioni di dollari da quando è stata fondata nel 2012. Inoltre, grazie allo strumento dell’intelligenza artificiale sono state selezionate ben oltre 170 startup di successo. I venture capitalist che da poco si sono convertiti alle tecnologie dell’intelligenza artificiale ritengono che la tecnologia abbia finalmente raggiunto le speranze nutrite da tempo, determinando un livello elevato di intelligenza nei computer. Si tratta della promessa di un nuovo modo di essere e di agire: una rivoluzione per gli uomini nel modo di interagire con le macchine e al tempo stesso una rivoluzione per le macchine che iniziano a invadere il mondo umano attraverso vie sorprendenti e inaspettate. «Tecnologicamente, stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma, a un vero e proprio salto temporale: siamo passati dall’epoca in cui dovevamo solo mettere i comandi in una scatola a quella in cui il computer è in grado di guardarci e apprendere». Così ha affermato Daniel Nadler, un altro fervido sostenitore dell’intelligenza artificiale (AI). La sua azienda, Kensho, ha investito 15 milioni di dollari di recente nel perseguimento di un obiettivo ambizioso, quello di formare i computer per sostituire i costosi colletti bianchi, come gli analisti finanziari. «Noi non descriviamo quello che stiamo facendo come AI – noi lo chiamiamo – automatizzare il lavoro della conoscenza ad alta intensità umana».

The next big thing

Oltre ad alcune delle più importanti società di venture capital della Silicon Valley – tra cui Khosla Ventures e Greylock Partners – e luminari hi-tech come Elon Musk e Peter Thiel, tra i sostenitori più attivi dell’intelligenza artificiale vi sono anche quelle realtà finanziarie che vedono utilizzi per la tecnologia calati nei propri settori, come Goldman Sachs. «Ogni portafoglio di capitale di rischio non può rinunciare ad avere la sua quota di investimenti nel settore dell’intelligenza artificiale» – ha affermato Nadler. Tutti vogliono essere sicuri di avere una partecipazione nella next big thing, nell’investimento del secolo.

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Il prossimo traguardo dello sviluppo dell’intelligenza artificiale sarà senza dubbio quello di consentire l’evoluzione e l’ottimizzazione dell’intelligenza nelle macchine. Si pensi all’apprendimento automatico. Le macchine potrebbero identificare modelli e fare previsioni sulla base dell’analisi dei dati forniti.

Intelligenza artificiale, machine learning, apprendimento profondo, reti neurali: costruire macchine che affrontano problemi che in precedenza si credevano poter essere risolti solo dal cervello umano. Questa la nuova sfida dell’anno. E in molti casi è già realtà. La speranza che l’intelligenza artificiale possa essere più che solo una moda passeggera della tecnologia si basa sul suo potenziale più ampio. «Tecniche come l’apprendimento automatico potrebbero aiutare le aziende a fare inferenze più intelligenti dei loro clienti» – ha detto Matt McIlwain, managing director di Madrona, una società di venture capital a Seattle. «Gli algoritmi saranno in grado di individuare le preferenze e fare previsioni, ad esempio su quando i clienti siano più propensi a voler essere contattati o quali siano le startup più a rischio di perdere il rinnovo di un contratto». Ma i maggiori progressi nel settore dell’intelligenza artificiale sono stati fatti all’interno di grandi gruppi come Google, IBM e Facebook, che hanno investito pesantemente nel settore.

Google Ventures, con oltre 170 investimenti alle spalle, utilizza un sistema ibrido in cui vengono svolte analisi di dati prima di assumere la decisione di finanziare una startup. Bill Maris di Google Ventures ha detto: «Abbiamo accesso alla più grande banca dati che si possa immaginare. Sarebbe sciocco fare investimenti lasciandosi guidare solo dall’intuito».

Per OpenView Venture Partners, una società in fase avanzata, gli algoritmi sono il futuro del capitale di rischio. «Penso che il valore degli algoritmi sia la loro capacità di essere in sintonia temporale con il mercato e il finanziamento in questo settore è la risposta giusta». Queste le parole di Adam Marcus, amministratore delegato di OpenView.

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In un’intervista a VentureBeat, Marcus ha detto che la sua azienda utilizza il software per estrarre le informazioni disponibili al pubblico, come le offerte di lavoro e i comunicati stampa e di catturare i dati sociali presenti nelle conversazioni. Non mancavano nell’intervista toni critici. Marcus ha infatti messo in luce l’incoerenza della maggior parte dei venture capitalist, i quali nonostante spesso si dilunghino a lusingare l’avvento dei big data, sono poi i primi a non applicarli alle loro strategie aziendali.

Algoritmi & venture capitalist

Questo è il grande interrogativo, il dubbio amletico che tartassa il moderno uomo d’affari. I più diffidenti continuano a ripetersi che sia impossibile, altri ancora lo reputano come un segno di sfiducia nei confronti delle capacità dell’uomo. Ma intanto c’è già qualcuno che ha trasformato l’utopia in realtà. L’estate scorsa, Deep Knowledge Ventures, un’importante società di venture capital con sede a Hong Kong, ha nominato nel board of directors un algoritmo che si chiama Vital (Validating Investment Tool for Advancing Life). Sì, avete capito bene. Non è un film di fantascienza. È tutto vero. Deep Knowledge Ventures è una società con specifiche competenze in ambito sanitario: la mission è quella di concentrarsi sui progetti di medicina rigenerativa e sui farmaci volti ad alleviare i disagi legati all’età. Proprio come gli altri membri del consiglio di amministrazione, l’algoritmo arriva a votare se sia conveniente fare un investimento in una società specifica o meno.

Ma come funziona? VITAL prende le sue decisioni attraverso la scansione dei finanziamenti necessari in futuro per le aziende, degli studi clinici, della proprietà intellettuale e dei precedenti round di finanziamento. Insomma, un algoritmo che prende le decisioni al posto dell’uomo, ma che contrariamente a quest’ultimo non è affetto dalle sue debolezze, dai suoi pregiudizi, dalla sua umanità. Alla luce della velocità, la trasparenza, la coerenza che offrono gli algoritmi – per non parlare della capacità delle reti neurali di ottimizzarsi continuamente, in un processo di autoapprendimento che supera di gran lunga le capacità del cervello umano – allora perché alcuni venture capitalist preferiscono rimanere legati alla vecchia scuola? Abbiamo assistito alla rivoluzione tecnologica, abbiamo visto la trasformazione operata dalle cryptomonete. È il momento di espandere nuovamente gli orizzonti. E i dati sono dalla parte degli algoritmi. Nel 2014, la maggior parte dei fondi di capitale di rischio – circa 500 con sede negli USA – hanno avuto una performance piuttosto negativa. E l’indice nazionale dei capitali di rischio ha mostrato rendimenti negativi nel settore per tutto il decennio dal 2000 al 2010. Sarà questo il futuro dei VC nel 2015? Una cosa è certa. Gli algoritmi sono già pronti ad aspettarli e i venture capitalist non devono far altro che bussare alla loro porta.