L’industria resta il cardine della crescita e della competitività, nonostante la crisi
L’industria resta il cardine della crescita e della competitività, nonostante la crisi. E il cuore industriale europeo batte soprattutto in un’area che comprende il Nord dell’Italia e l’Ovest della Germania, come emerge dai dati dell’indagine della Fondazione Edison e di Confindustria Bergamo.
Sono 53 su un totale di mille e 300, le province manifatturiere europee che hanno una quota di valore aggiunto e di occupati nell’industria superiori al 30%, un’occupazione industriale di almeno 20mila addetti e un valore aggiunto per addetto superiore ai 50mila euro. Di queste 53, quasi tutte sono italiane e tedesche. E se si guarda alle prime 23, in testa ci sono Brescia e Bergamo. Superate le principali roccaforti tedesche come Wolsburg, patria dell’impero Volkswagen. Un vantaggio per il futuro che potrà essere capitalizzato solo se si continuerà a crescere, investendo in innovazione e valore aggiunto. L’Unione europea conferma l’obiettivo di portare, entro il 2020, il peso della manifattura sul PIL al 20%. Il problema è saper interpretare un mondo che cambia in tempo reale. Formazione e digital manufacturing sono le chiavi di questa trasformazione.
L’industria che cambia punta sull’ICT, nuovi modelli di progettazione e produzione come il PLM e le stampanti 3D, che innovano radicalmente il concetto di fabbrica. «Le imprese stanno imparando a convivere con un nuovo modello di manifattura in cui lavoro e tecnologia sono l’abbinata vincente» – sintetizza Stefano Micelli, direttore scientifico della Fondazione Nord Est. Cambia anche la forma dell’impresa. «I processi sono sempre più agili. Il buon capitale umano, in questa strategia, è fondamentale». Il guaio è che buona parte dei giovani va via. Nel 2013, sono emigrati 7.800 giovani, un quarto dei quali con laurea in tasca.