I provider attuano il decreto del 17 dicembre con cui vengono bloccati Vimeo, Pastebin, Internet Archive e altri portali, per un totale di 300 milioni di utenti paralizzati
Diffusione di materiale terroristico. Sarebbe questa l’accusa mossa dal governo indiano a 32 siti web conosciuti in tutto il mondo e resi inaccessibili all’interno del paese. Si tratta della conseguenza dell’attuazione di un decreto pubblicato lo scorso 17 dicembre e i cui effetti cominciano ad essere evidenti oggi, dopo l’attivazione del blocco da parte dei provider nazionali. Il risultato è che decine di siti web sono stati bannati dal paese; tra questi ci sono anche colossi come Vimeo, una sorta di piccolo YouTube utilizzato anche su smartphone e tablet, il cui accesso pare essere stato riaperto. Il blocco rappresenta la risposta del governo alla “propaganda jihadista” che avrebbe trovato terreno fertile nelle suddette piattaforme, utilizzate in media da almeno 290 milioni di cittadini indiani; un danno economico quasi inestimabile per un paese che conta 316 milioni di persone e che è sulla strada di una forte crescita tecnologica. Il ministro indiano per l’Information and Communication Technology ha spiegato in un comunicato come l’accesso a 4 dei 32 siti bloccati sia stato ripristinato con i cittadini che ora possono accedere nuovamente a Vimeo, Weebly, Dailymotion e Github.
Censura globale
Resta però la sanzione per altri 28 portali usati per scopi certamente più legali di quelli terroristici. L’Internet Archive, Pastebin, Cryptbin, Codepad e alcuni progetti di Sourceforge sono ancora inaccessibili, scatenando l’ira non solo dei navigatori indiani ma anche degli attivisti. Non si è fatta attendere infatti la risposta di Anonymous che ha dato vita ad “AnonOpsIndia”, l’operazione con cui gli hacker hanno messo KO alcuni siti governativi indiani. Auspicando che invece di interi portali web vengano bannati solo i contenuti che il governo indiano ritiene offensivi o inneggianti l’ISIS, si attente ora una risposta ufficiale da parte delle istituzioni che devono fronteggiare una delle più grandi proteste digitali della storia del paese.