Non so se quello che si sta per chiudere sia stato per manager e imprenditori un anno senza pantaloni come quello che racconta Scott Berkun nel libro omonimo (The year without pants), descrivendo la storia dell’ascesa di WordPress da startup a provider globale di 60 milioni di siti web. Di certo, molti sono rimasti in mutande e l’unica cosa in rosso sotto l’albero di Natale è il conto corrente aziendale.
Sempre che non siate di partenza per Antigua o Andorra, con bagaglio a mano e biglietto di sola andata, vi starete chiedendo se la luce in fondo al tunnel, avvistata dal Centro studi di Confindustria, sia veramente un segnale positivo per la ripartenza e non si tratti – invece – del treno Eurozona, che ha già accumulato ritardo sulle stime di crescita.
Ma che cosa si aspettano i CEO, gli AD, i CIO, i direttori marketing e quelli del personale per il nuovo anno?
Forse, Ginni Rometty sogna di vedere schizzare gli utili nel quarto trimestre, Larry Ellison, una barca ancora più veloce e Tim Cook, un mondo dove la normalità sia la somma delle differenze e non la loro negazione.
Ogni giorno, c’è chi lotta per realizzare i propri sogni e c’è chi alla fine si arrende. Sta tutto qui il significato di fare impresa. E oggi, che siamo tutti chiamati a essere imprenditori di noi stessi, dipendenti compresi, dovremmo chiederci che cosa siamo disposti a cambiare per non rinunciare ai nostri sogni.
Si potrebbe cominciare rispettando le regole, quelle di buona educazione per esempio e – perché no – anche quelle di grammatica. Sarebbe un inizio. Farebbe bene ai rapporti personali, al clima aziendale e anche al business. Invece, non fanno bene all’orgoglio nazionale e neppure agli investimenti, le cifre del Corruption Perception Index 2014, che pongono l’Italia in cima alla classifica del paese più corrotto d’Europa e mettono una zavorra al mercato.
Abbiamo sempre scritto che la semplificazione è segno di intelligenza. Dire – però – che bisogna fare le riforme e semplificare le regole per far ripartire il Paese è come dire che l’acqua è bagnata. Intanto diventa legge la fattispecie un po’ fumosa del reato di autoriciclaggio e si discute della “semplificazione” delle norme su bancarotta, peculato, falso in bilancio e truffa che potrebbero essere derubricate come “reati lievi”.
Si può fare PIL senza creare lavoro e anche senza rispettare le regole. Ma questo farà bene alla concorrenza? In base ai nuovi parametri Istat (come chiesto dall’Europa), anche droga e corruzione rientrano tra gli indici della ricchezza prodotta, chiarendo – una volta per tutte – che cosa si intende per “lordo”.
L’Agenda Giavazzi è sparita come quella di Borsellino. Stessa sorte per i tagli alla PA pianificati già da Padoa Schioppa e che erano rientrati a turno nel dossier di Giarda e di Cottarelli.
Il 31 dicembre si chiude il semestre italiano alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea. A giugno, il commissario europeo all’Agenda digitale, Neelie Kroes, aveva detto di confidare nella guida italiana «per portare a termine il lavoro svolto». Chissà se è ancora della stessa opinione.
Il superamento dell’articolo 18 e il contratto unico non creeranno nuovi posti di lavoro, se non si tagliano le tasse sugli utili delle imprese. Senza risolvere i nodi che frenano l’economia (riforme rimandate, burocrazia lenta, fisco complicato, ritardi della giustizia, legalità, carenze delle infrastrutture) le imprese non possono fare miracoli. Ma a Natale possiamo sempre permetterci il lusso di credere ai miracoli.