La consulenza cambia pelle

Che la consulenza, soprattutto quella verso CEO/COO, abbia necessità di cambiare pelle è un fatto del quale si parla da tempo. D’altra parte, tutti i settori di mercato hanno subito trasformazioni per colpa di tre principali fattori: la globalizzazione, la rivoluzione digitale e, più recentemente, l’esplosione dei modelli aperti

Agilità operativa e organizzativa, oltre che poca trasparenza nel processo di creazione di valore per il cliente, sono le due caratteristiche che hanno consentito alle consulting firms di implementare cambiamenti solo marginali ai propri modelli di business, senza modificare il modo con cui si interagisce con i clienti.

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Di fatto, se immaginassimo di aver “ibernato” un consulente nel 1994 e lo “scongelassimo” oggi, forse sarebbe meravigliato delle grandiose differenze rispetto al passato, e alla domanda «in cosa è cambiato il lavoro della consulenza», probabilmente metterebbe più l’accento sulla grande competenza che oggi, rispetto al passato, hanno i clienti, riconoscendo invece una sostanziale invarianza della relazione tra consulente e cliente, a tutti i livelli.

Il fatto è che – nonostante le evidenze di ciò che ci accade intorno – non pochi consulenti rifiutano l’idea che un cambiamento radicale possa mettere in seria crisi il successo “blindato” del quale si è goduto fino a ora.

È la situazione ideale per chi, tra le società di consulenza con dimensioni internazionali e competenza multi settore, avrà il coraggio di “scardinare” gli attuali paradigmi, proponendo ai propri clienti maggiore partecipazione e trasparenza. Che poi è la richiesta che più spesso il top management delle “aziende clienti” rivolge alle proprie consulting firms.

Con un certo grado di semplificazione (ma supportato anche dall’analisi che, nel 2012, Christensen, Wang e van Bever hanno pubblicato sull’Harvard Business Review) è possibile pensare al “digital consulting” come complementare (se non antitetico) alla consulenza classica (“analog consulting”). La “consulenza digitale” è una consulenza basata sulla relazione “online” con i clienti, ovviamente, ma anche e soprattutto con l’intero ecosistema digitale che oggi tutti, consulenti e clienti, riconoscono come un fattore potenziale per la generazione di nuove idee e di crescita industriale.

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In sostanza, si tratta di cambiare radicalmente il modo con il quale consulenti e clienti si relazionano e lavorano. Non più rapporti chiusi e soluzioni realizzate dai consulenti, soli, nelle “segrete stanze”, ma piuttosto discussioni aperte in grado di sfruttare a fondo il “digital open talent” (per creare team virtuali ma pienamente competenti e appassionati), le capacità delle startup (per la generazione delle idee), i big data e gli open contents per la conoscenza e magari anche il crowdfunding per il denaro.

Tutto questo può essere definito “corporate meta-crowdsourcing” poiché risolve le sfide che consulenti e clienti devono affrontare, combinando in modo organizzato, le capacità di diversi crowds. L’implementazione di questi modelli “aperti” implica la massima trasparenza nel processo di analisi, generazione dei risultati e definizione della soluzione, rendendo più semplice la sponsorizzazione delle iniziative, piani d’azione e investimenti necessari da parte dei CEO e COO verso i propri consigli di amministrazione.

Ovviamente, esistono già iniziative più o meno estese in tal senso, ma permangono ampi spazi per l’innovazione e la ricerca del giusto mix tra “digital consulting” e “analog consulting”.

E l’impossibilità di prevedere l’esatta evoluzione dei modelli di consulenza rende questa partita ancora più degna di essere giocata.

Riccardo Lorusso, CEO business assistant di Everis Italia