Il Censis, che sta presentando il suo annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, parla di Italia come paese dal «capitale inagito», fotografando perfettamente con questa espressione lo stato in cui versa l’Italia: risorse umane non utilizzate, soprattutto tra i giovani, e over cinquanta che lavorano più di 5 anni fa
Il quadro che emerge dal rapporto Censis è sconfortante e rivela una tendenza del nostro Paese molto pericolosa, soprattutto in tempi di crisi: l’Italia accumula soldi e risorse, soprattutto umane, che dissipa senza sapere come usare in modo proficuo.
Sono soprattutto i giovani, molto più preparati e motivati rispetto alle generazioni precedenti, a farne le spese, rimanendo emarginati dal lavoro.
Si lavora a intermittenza, senza certezze
Sono 8 milioni gli italiani «inutilizzati»: tre milioni sono i disoccupati, 1 milione e ottocentomila gli «inattivi» perché scoraggiati infinite ricerche senza alcun esito e altri tre milioni i cittadini che vorrebbero lavorare se si presentasse l’opportunità. Il dato allarmante è che più della metà sono giovani (50,9%) sotto i 34 anni. Gli italiani sono anche i più scoraggiati dalla crisi fra tutti i Paesi membri dell’Unione, anche perché nonostante siano ancora 900mila i posti vacanti in Europa, in Italia mancano le competenze necessarie, soprattutto in ambito digitale.
Ma anche per chi lavora non è tutto rose e fiori: dei 4,7 milioni – dice il Censis – di ragazzi formalmente autonomi e che vivono per conto loro, almeno un milione è povero e non arriva a fine mese, mentre 2,4 milioni ci arrivano devono chiedere continuamente aiuto a genitori e parenti. La condizione lavorativa della maggior parte dei giovani è considerata «ibrida»: un lavoro a fasi alterne, a singhiozzo: oggi sì e domani no, senza certezze.
Anche la cultura è un capitale inagito
A fare da contraltare sono gli over 50 che – anche per effetto della riforma previdenziale – lavorano più di quanto non facessero 5 anni fa: più 19,1% . Anche la cultura rappresenta un grande «capitale inagito», che da noi è tristemente considerato solo un costo.
E’ paradossale, se si pensa che siamo il paese che ha più beni culturali di chiunque altro eppure abbiamo «il numero dei lavoratori nel settore della cultura (304 mila, l’1,3% degli occupati totali) che è meno della metà rispetto a Regno unito (755mila) e Germania (670mila) e di gran lunga inferiore rispetto alla Francia (556mila) e Spagna (409 mila). Nel 2013 il settore della cultura, fa notare il Censis, «ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.
Meno fiducia anche nell’istruzione come investimento: tra il 2008 e il ’13 gli iscritti all’università sono diminuiti del 7,2% e le immatricolazione del 13,6%.
Anche le nascite sono in calo: minimo storico lo scorso anno 514 mila, 62 mila in meno di 5 anni fa. Un altro “meno” lo registrano gli investimenti (23% in meno in 5 anni) e le imprese (47 mila in 5 anni). Anche i consumi alimentari sono crollati del 12,9%.