Le categorie “destra” e “sinistra” nate dalla Rivoluzione francese sono state rimpiazzate da quelle nate dalla rivoluzione tecnologica. Analogico e digitale, vecchio e nuovo sono diventati anche i termini della nuova dialettica politica. Da una parte si invoca la collaboration, dall’altra la concertazione
L’era digitale ha le sua tonalità binarie: bianco e nero. E una serie infinita di grigi. Al gessato Confindustria molti preferiscono il funky business in maniche di camicia. La finanza supera l’economia. L’occupazione fa i conti con l’automazione dei processi. Le riforme sono bloccate perché il Paese non riesce a stare dietro a un mondo che gira troppo velocemente. I modelli devono cambiare, ma se non ci diamo una mossa – forse – ci saranno solo modelli di cartone. La rivoluzione digitale vale due punti di PIL (dati Forum Ambrosetti 2013) ed è consolante che dopo due direttori e un super commissario, un numero imprecisato di esperti e consulenti, il governo abbia finalmente firmato il decreto per il comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Del resto, senza indirizzo è difficile capire da che parte bisogna andare.
«Il Paese è in ritardo». A dirlo sulla copertina di Data Manager (novembre 2000) è Elio Catania, all’epoca presidente e AD di IBM. E nello stesso numero, c’è anche l’annuale Classifica delle Società di Software e Servizi in Italia. Ieri come oggi, la frammentazione del settore è uno dei trend principali e oggi come ieri, IBM domina su tutti come un gigante. Dopo anni di decrescita, all’orizzonte del settore ICT si profila la prospettiva di un’inversione di tendenza confermata dall’aumento del numero di imprese con un tasso di crescita annuale superiore al 15%. Qualcosa però è cambiato per sempre.
Il vecchio modo di fare IT non funziona più. La velocità di cambiamento ha messo alle corde anche Big Blue, e così nel terzo trimestre, IBM si è vista azzerare gli utili, con un calo del 99,6% pari a 18 milioni di dollari, un vero tracollo rispetto ai 4 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. E a tirare le somme è Ginni Rometty, il primo CEO donna di IBM. Segno che la parità di genere è finalmente raggiunta. Anche una donna può essere libera di essere ai vertici di un’azienda e non centrare gli obiettivi, proprio come un uomo. Via il senso di colpa e anche quello di superiorità. Le donne possono sbagliare esattamente come gli uomini, anche se qualcuna guadagna meno dei colleghi uomini per fare gli stessi errori.
L’IT Transformation impone di fare scelte coraggiose, in termini di risorse, paradigmi e strategie.
Trans-formare significa dare forma al cambiamento che deve coinvolgere tutto il mondo aziendale, non solo le divisioni IT. La trasformazione deve arrivare nei luoghi di lavoro, nelle aule di giustizia, nella pubblica amministrazione centrale e locale, fin dentro le famiglie e la scuola. Se non si recupera una visione di sviluppo a lungo termine, la crescita è destinata a restare un’illusione. Mentre si passano in rassegna i numeri della 28esima edizione della Top 100, non possiamo dimenticare che ci sono 160 vertenze di lavoro ferme al ministero delle Sviluppo economico di cui 22 riguardano il mondo dell’ICT, dell’elettronica e della microelettronica. Le imprese non sono uguali, a cominciare dalle dimensioni e quindi non si può parlare di cultura di impresa in modo omogeneo, perché ciascuno ha la sua.
E oltre al “digital divide”, c’è anche il “legal divide”. Tangenti, sprechi, cattiva burocrazia: un danno di sei miliardi di euro tra il 2013 e il 2014 per la pubblica amministrazione secondo la Corte dei Conti.
Il detto “se non è rotto, non aggiustarlo” dovrebbe essere capovolto: “se è rotto non fare finta di aggiustarlo”. L’ICT non può essere soltanto la cassetta degli attrezzi, ma deve ispirare le scelte giuste.
Conosciamo la strada. Abbiamo gli strumenti. Che cosa ci impedisce di dare forma al cambiamento?