Big data, web marketing e storytelling. Come si raccontano le storie al ritmo segreto dei dati nell’era della comunicazione real-time
Creativi. Quelli veri puoi incontrarli per strada o in Rete. In molte agenzie, anche quelle blasonate sono allevati come carne da macello, confermando una vecchia storia che vorrebbe la categoria dei pubblicitari simile a quella degli squali. Non è sempre vero. La regola ha più di un’eccezione.
L’advertising, in tutte le sue declinazioni multicanale, è una forma di comunicazione tra le più efficaci del nostro tempo, e in alcuni casi – non tutti – una vera forma d’arte che corre sul filo delle idee.
Ma quale sarà il ruolo dei chief creative officer se le future campagne di marketing saranno sviluppate da potenti big data analytics? Il processo creativo sarà sempre più simile a un processo di ingegneria gestionale? Informazione e messaggi su misura. Niente più ricerche di mercato o indagini a campione. Niente più ipotesi da formulare e teorie da verificare, ma solo risposte certe e sentiment da registrare sulla base di masse enormi di dati. In altre parole, la somma dei singoli dati porterà alla comprensione assoluta di tutti i fenomeni e progettare una campagna sarà come unire i puntini di un’immagine già definita.
Nell’era del marketing integrato, le aziende possono realizzare tutti i desideri dei loro consumatori. Da una parte, il Grande Fratello di Orwell dall’altra la società perfetta di Aldous Houxley. Il primato delle idee sarà ancora delle persone o ci saranno aggregatori di idee per ogni necessità che si potranno acquistare per poco sul web?
Qualcuno, come Giulio Dimitri, ci ricorda non solo che – nell’era degli analytics – l’esperienza di acquisto del cliente è centrale in ogni strategia di marketing, ma soprattutto che ogni storia per essere raccontata ha bisogno di tempo. Una posizione in contrasto con quella dominante, se si considera la naturale tendenza alla produzione di contenuti real-time. Perché ciò che conta davvero non è il numero di click, ma la quantità di tempo che clienti e consumatori, elettori e lettori decideranno di dedicare per restare in contatto con i loro brand preferiti.
Nato a Manduria (Ta), classe 1980, in una famiglia di pittori e architetti, Giulio Dimitri, non è un cervello in fuga, ma un creativo ad alta concentrazione di talento, che mette insieme matita e pixel, sempre alla ricerca di nuovi mezzi espressivi. Della sua terra di origine conserva la capacità di tenere insieme il passato ricco di tante influenze diverse e l’apertura verso il nuovo, pieno di potenzialità. Dopo aver studiato disegno industriale a Milano, quasi subito ritorna alla sua grande passione: il cinema. Lavora con diverse case di produzione pubblicitarie milanesi e nel 2007 è assistente alla regia di Giuseppe Capotondi sul set del film “La doppia ora”. In parallelo, lavora su concept personali, gira videoclip indipendenti e continua a sviluppare progetti per l’ADV, privilegiando l’adozione di motion graphics e illustrazioni. Attualmente, fa parte della casa di produzione e studio creativo Slowdance particolarmente votata allo storytelling, in qualità di regista, direttore della fotografia e creativo.
Data Manager: Essere “creativi” e fare i “creativi”. Che cosa significa?
Giulio Dimitri: Domanda cruciale. Doppio risvolto, positivo e negativo. La notizia buona è che ci sono più creativi di quanti immaginiamo, ognuno ha una sua forma espressiva. La maggior parte – però – è stato educato a reprimerla. La cattiva è che non basta scegliere di essere creativi per farne un mestiere, ma è vero anche il contrario.
Qual è la cassetta degli attrezzi del creativo multimediale?
Non differisce da quella di un creativo anni 50. La curiosità è la condizione necessaria. Le idee si nutrono di altre idee, non nascono dal nulla. La differenza rispetto al passato sta nella facilità con cui possiamo ottenere questi stimoli. E a volte sono loro che ci cercano, come capita nel paradigma tipico dell’ADV 2.0. Non senza effetti collaterali. La moltiplicazione inarrestabile delle informazioni genera un rumore di fondo che annulla la forza dei messaggi. È questo l’horror pleni teorizzato da Gillo Dorfles.
Com’è cambiato il lavoro del creativo?
Nonostante la quantità di informazioni disponibili, la fase di ricerca si è complicata: sono cresciuti i mezzi ma di pari passo è cresciuta la mole di input, rendendo indispensabile la formazione di team molto interconnessi. La saturazione dei canali comunicativi ha moltiplicato l’ansia e l’attesa spasmodica della novità – della novità a tutti i costi – generando di pari passo un’esasperata compressione dei tempi e di conseguenza anche un eccessivo appiattimento delle idee. Solo le idee che sono veramente uniche riescono a emergere dal “rumore di fondo”.
Come sono cambiate le agenzie?
Le agenzie hanno rafforzato i loro organici nei settori di ricerca&digital, dapprima utilizzando studi esterni, costituiti da giovani che si sono formati in modo “non convenzionale”, poi inglobandoli nelle proprie strutture. Non è cambiata tuttavia la natura intima di queste figure. Sono sempre degli “smanettoni”. Prima erano illustratori o anche copyrighters, ora sono quelli che ingegnerizzano le strutture dei social e che scardinano le leggi della fruizione sul web.
Il web come ha scompaginato il mondo della comunicazione pubblicitaria?
Mai come adesso la pubblicità ha avuto un impulso di crescita e diversificazione. È come un albero: se dal tronco del linguaggio si diramavano prima la letteratura e la pittura – e successivamente altre forme espressive come la fotografia e il cinema e poi la radio, la televisione – ora ci ritroviamo con una chioma folta di mezzi e fatta di oggetti minuti, rametti costituiti da banner, forum, blog, eventi live…
Ogni target ha la pubblicità che si merita?
Nonostante i nuovi mezzi di customer intelligence abbiano messo veramente al centro il cliente, al momento il target non ha quasi mai la pubblicità che si merita. Sparare nel mucchio è sempre più facile, almeno in italia.
Quali sono i lavori di cui sei più soddisfatto?
Quelli in cui ho contribuito a creare una consapevolezza e quelli in cui sono riuscito a raccontare un aspetto magari inatteso ma funzionale allo scopo.
In Italia, il talento si coltiva o si ammazza sul nascere?
Entrambe le cose. Ma per coltivarlo ci vuole molto sforzo, per ammazzarlo ci vuole molto poco.
Come hai cominciato?
Da piccolo, leggendo fumetti e libri.
La campagna che avresti voluto ideare?
Una qualsiasi grande campagna seriale di successo, campagne cioè che hanno creato fidelizzazione, empatia generalizzata, condivisa e continuata. Le mie preferite sono quelle a carattere comedy, con un risvolto anche demenziale, penso a Skittles, Old Spice…
Di che cosa hanno più bisogno le aziende ICT per farsi capire e vendere meglio i loro prodotti e servizi?
Le aziende ICT hanno bisogno di capire il carattere e le abitudini del loro target di riferimento più che le esigenze. L’approccio client (user) oriented diventa behaviour oriented: bisogna capire che cosa colpisce e piace di più, perché l’attenzione è in continuo crollo e bisogna puntellarla con stimoli che appartengono alla nostra natura intima, quelli indotti e superficiali falliscono subito o durano poco. E i caratteri stanno cambiando molto in fretta. Bisogna intercettare questi cambiamenti e portarli “sullo schermo” perché poi l’utenza possa a sua volta “condividerli”.
Che cosa pensi del crowdsourcing?
Geniale. È come se i rametti dell’albero si fossero riempiti di foglie e ogni foglia avesse la sua riserva d’acqua personale.
Sei un creativo solitario o credi nella forza creativa della condivisione?
L’intelligenza di gruppo permette di raggiungere un obiettivo pratico molto più velocemente e aiuta ad analizzare criticamente il proprio lavoro in modo più funzionale. Tuttavia, a volte è necessario ritagliarsi un angolino solitario per trovare la soluzione alternativa.
Da dove nasce l’ispirazione per una campagna?
Da quello che vedo passare davanti alla mia finestra, fisica o virtuale che sia.
Qual è il tuo autore di riferimento?
Ce ne sono molti. In generale, preferisco quelli senza regole. Ovviamente solo in apparenza. La creatività ha le sue regole.
Chi è stato il tuo maestro?
Fondamentalmente la mia famiglia. Mi ritengo molto fortunato in questo.
A chi senti di dovere qualcosa?
A mio padre e alla Natura che si ostina a resisterci e a darci una speranza.
Quando ti chiedono che lavoro fai, che cosa rispondi?
Racconto storie.
Cervelli e creativi in fuga. Come si colgono le opportunità in un Paese dal quale tutti dicono di voler scappare?
Cercando spiragli e aperture. Le condizioni di difficoltà creano forse meno opportunità, ma generano prodotti eccezionali. Credo nel nostro Paese, ma bisogna sradicare quel fatalismo tutto italiano. Abbiamo le risorse, abbiamo le capacità. E vorrei che il sud diventasse una vera, grande occasione di sviluppo.