Con il suo bestseller, Thomas Piketty riscrive la storia dell’economia e offre lo spunto per riflettere sul futuro di un capitalismo più equo e sostenibile.
Il Capitale nel XXI secolo dell’economista francese Thomas Piketty, primo nelle classifiche di Amazon, è un librone di quasi 700 pagine che consiglio di leggere, anche se i non economisti potranno limitarsi a studiarne la prima metà e potranno omettere parecchie tabelle. Contiene poca ma essenziale matematica. L’argomento centrale è l’ineguaglianza che diventa sempre più forte: gli straricchi stanno diventando sempre più ricchi.
Thomas Piketty nel suo libro analizza grandi moli di dati raccolte in un decennio. Considera il rischio che l’ineguaglianza eccessiva porti a instabilità politica e a reazioni turbolente.
CAPITALE E REDDITO NELLE MANI DI POCHI? – Negli USA fino al 1940, il 10% della popolazione riceveva il 45% dei redditi totali; poi per quaranta anni, questa percentuale è scesa al 33% e dal 1980 è risalita al 48%. In Europa e negli Stati Uniti d’America fino al 1930, il 10% della popolazione deteneva oltre l’80% della ricchezza. Poi a causa di tasse, inflazione, fallimenti, avvento del welfare state, la percentuale è scesa al 60%. Negli ultimi quaranta anni sta risalendo. Sappiamo bene che i redditi da lavoro, come la ricchezza, sono distribuiti in modo da seguire la legge di Pareto, dunque, con differenziali marcati ai livelli più alti. Questi, però, da anni crescono oltre ogni limite per i grandi capi azienda che fissano i propri livelli di retribuzione e i paracadute d’oro previsti per il trattamento di fine rapporto.
RICERCA E SVILUPPO – Piketty nota che anche la ricerca e lo sviluppo implicano la formazione e l’addestramento di esperti abili nell’uso di sofisticati strumenti di alta tecnologia. Queste alte prestazioni sono compensate a livelli più alti, il che contribuisce alla ineguaglianza. Qui bisogna aggiungere, però, che i Paesi e le industrie che investono di più in ricerca scientifica, sviluppo tecnologico e istruzione avanzata, generano più brevetti e prodotti ad alto valore aggiunto. In conseguenza contribuiscono a far crescere il PIL e a ridurre l’ineguaglianza.
Chris Giles (su Financial Times del 23/5/14) ha negato che dopo il 1980 l’ineguaglianza economica sia cresciuta e che negli USA sia più marcata che in Europa. In particolare, ha sostenuto che nel Regno Unito nel 2010 il 10% dei cittadini deteneva il 44% della ricchezza totale e non il 70% come scritto da Piketty. Paul Krugman (Nobel per l’Economia) documenta da decenni che i ricchi USA diventano più ricchi anche per i tagli alle loro tasse dall’era Reagan. Io ho trovato lo studio “UK Personal Wealth Statistics” pubblicato il 28/9/2012 da HM Revenue & Customs, che riporta in 60% la percentuale della ricchezza detenuta dal 10% degli inglesi top. Il valore vero appare incerto, ma la stima di Piketty è più vicina a quella ufficiale.
L’INEGUAGLIANZA CRESCE – Appare ovvio alla luce del senso comune (Piketty lo documenta in base a dati storici abbondanti) che un tasso di rendita del capitale molto più alto di quello della crescita economica causa ineguaglianza crescente. Questa si manifesta con la concentrazione fra pochi cittadini della ricchezza e dei redditi da capitale. Il processo è tanto più veloce quanto più il tasso di rendita supera quello della crescita del reddito nazionale. Il fenomeno potrebbe essere frenato da una forte crescita demografica ed economica – oggi improbabile. L’alternativa proposta da Piketty è l’adozione di consistenti tasse patrimoniali globali. Sono processi economici complicati. Le statistiche sono spesso incomplete e contraddittorie specie sui redditi più alti. Tutti i commentatori riconoscono che Piketty ha fatto un lavoro enorme per migliorarle. Si usano, però, strumenti e procedure di analisi di tipi diversi. La conclusione dell’autore di intervenire con imposte ai più ricchi e ai lavoratori con retribuzioni più alte non è gradita ai plutocrati, né agli economisti di destra. La discussione diventa politica.