Il futuro delle organizzazioni si basa sulla valorizzazione delle proprie risorse umane, resa possibile dagli analytics. L’interesse dei responsabili dei dipartimenti HR per questi strumenti è notevole, tanto che il mercato in Europa cresce dell’8% all’anno. I benefici sono tanti: i casi di Geox e Fininvest lo testimoniano. L’utilizzo dei nuovi strumenti pone anche qualche problema etico, descritto da Barry Devlin
Il ruolo dei responsabili della gestione delle risorse umane (HR) ha assunto negli ultimi anni una notevole importanza all’interno delle aziende. Valorizzare il patrimonio di esperienze, competenze e capacità delle proprie risorse, per allinearlo agli obiettivi strategici, è cruciale per il futuro stesso di ogni organizzazione. L’analisi sui talenti aziendali è simile alle analisi che vengono compiute sulle relazioni con i clienti o per la gestione della supply chain: si parte dall’analisi di quanto è accaduto, e si finisce con la verifica di come possono essere distribuiti i talenti nell’organizzazione, sulla base dei bisogni, che sono in continua evoluzione.
Le richieste degli utenti
Gli strumenti a disposizione, quindi, devono permettere una mappatura delle competenze presenti, l’individuazione delle aree di criticità e il supporto per suggerire azioni appropriate, tenendo conto delle previsioni sull’evoluzione della forza lavoro (turnover, pianificazione delle successioni, opportunità di business). Agli strumenti vengono anche richieste funzioni di analisi avanzate, come la possibilità di creare un portale delle risorse umane, di elaborare simulazioni per riorganizzazioni o ristrutturazioni aziendali, di pianificare le esigenze future, di generare previsioni accurate ed eseguire analisi what-if. Spiega Fabio Cardilli, european product leader di Talentia Software:«Rispetto al passato, i nostri clienti chiedono al software di farsi supportare in un processo continuo e agile che sappia condurli dalla definizione degli obiettivi e dei requisiti del proprio business, alla misurazione delle proprie risorse rispetto a tali aspettative, all’analisi di risultati, gap, criticità e opportunità, alla pianificazione di interventi di sviluppo e, infine, al controllo dell’efficacia degli stessi. Misurare l’efficacia in questo contesto va oltre la lettura di un dato economico o un segno in bilancio, ma passa attraverso l’interpretazione accurata di micro indicatori che contribuiscono in maniera indiretta a quel risultato economico: il saper fare, il saper diventare, l’essere soddisfatti, motivati e coinvolti. Oggi, questo processo è molto più distribuito di quanto non fosse prima. Il software deve rispondere a questo cambio di prospettiva che vede i manager interpreti della performance organizzativa attraverso la performance, l’ispirazione e la motivazione dei propri collaboratori. I cruscotti di analitiche diventano dunque non solo uno strumento di “reporting” a beneficio di pochi utenti con cui pubblicare una o quattro volte l’anno risultati economici, di turnover o assenteismo, ma piuttosto uno strumento decentralizzato a servizio dei manager per favorire in tempo reale la lettura di dati, anche destrutturati come quelli provenienti dai social network, riconoscere un trend o un rischio e suggerire preventivamente iniziative correttive. L’analisi predittiva tradizionalmente applicata al marketing o al credito ha un valore economico significativo anche applicata al talent management. Quanto costa a un’azienda perdere una figura chiave senza aver identificato preventivamente il rischio, definito un piano di successione o formato una persona ad alto potenziale»? Secondo Nicola Uva, strategy e marketing director di ADP Italia occorre sottolineare quanto sia diventata predominante, nella gestione delle risorse umane, la richiesta di strumenti di reporting. «Il bisogno primario, che hanno oggi nelle aziende gli HR manager, è quello di poter analizzare le informazioni di cui dispongono. L’analisi passa attraverso sistemi di business intelligence: dashboard, KPI, cruscotti. In questo contesto, si è registrata un’evoluzione interessante che ha portato a definire degli standard di misurazione. Infatti, l’International Organization for Standardization (ISO), la più importante organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme tecniche, ha certificato modalità per misurare alcuni fenomeni di impatto in ambito HR, come per esempio, l’assenteismo o il turn over, che fino a qualche anno fa ogni azienda misurava con un proprio metodo. Oggi, esistono dei KPI standard che facilitano anche il lavoro di chi – come ADP – offre analytics evoluti a supporto del processo decisionale dell’HR manager. Si tratta di una soluzione – che grazie a un set di report direzionali e di KPI grafici, analisi di sintesi e di dettaglio – mette a disposizione degli indicatori finiti che rispondono a modalità standard di misurazione. La proposta è completata dalla possibilità di integrare una soluzione in “mobility” per la rappresentazione dei dashboard aziendali più significativi (assenteismo, situazione ferie, straordinari, costo progetti, etc.) attraverso uno strumento chiaro e intuitivo per una facile e immediata estrapolazione delle informazioni dei sistemi e dei processi».
Il mercato secondo IDC
Il mercato dell’HCM (human capital management) e delle applicazioni di payroll nell’Europa occidentale ha raggiunto, secondo IDC, i 3,35 miliardi di dollari nel 2013, con una crescita del 7% rispetto al 2012, a sua volta cresciuto dell’8,5% rispetto all’anno precedente. Le ragioni principali di questa crescita sono: le applicazioni basate su SaaS, che raggiungono un mercato più ampio e nuovi utenti, una maggiore adozione di applicazioni pacchettizzate per la gestione dei talenti e – non ultime – le applicazioni HCM social-enabled. La capacità di utilizzare applicazioni HCM direttamente via Internet ha aumentato significativamente il mercato totale indirizzabile e si prevede che continuerà a farlo. Secondo IDC, gli analytics HCM saranno un acceleratore di mercato: a mano a mano che i processi legati al personale e la collaboration diventeranno sempre più digitali, le organizzazioni accumuleranno grandi quantità di dati, così che gli analytics diventeranno una funzionalità fondamentale delle applicazioni HCM nei prossimi cinque anni. Secondo una ricerca condotta da IDC all’inizio del 2012 e del 2013, su oltre 500 responsabili dei dipartimenti di HR, le funzionalità degli analytics sono già giudicate molto importanti dalla maggior parte degli intervistati (voto medio conseguito nel 2013: 3.89 su un totale di 5, stabile rispetto all’anno precedente). A seguire, il cloud (3.52 conseguito nel 2013), il supporto per il mobile (3.40) e le tecnologie social (3.19), tutte e tre con voti in aumento nella survey del 2013 rispetto a quella del 2012.
HR Analytics in Fininvest e Geox
Vediamo cosa è stato realizzato con le soluzioni HR analytics in due aziende di grandi dimensioni. Fininvest, la holding di uno dei maggiori gruppi di comunicazione a livello internazionale, ha scelto la piattaforma HR Zucchetti per il monitoraggio e il controllo dei processi amministrativi secondo determinati KPI, supportando il miglioramento continuo dei servizi offerti e garantendo la tempestività e la qualità dei dati raccolti. «Le HR Analytics di Zucchetti – spiega Domenico Uggeri, vicepresidente Zucchetti, rappresentano lo strumento più semplice e veloce per ottenere tutte le informazioni sui principali fenomeni del personale e per valutarne l’andamento rispetto agli obiettivi prefissati. Si tratta di cruscotti già predisposti che, grazie all’integrazione nativa con le soluzioni Zucchetti della suite HR Global Solution, sono automaticamente alimentati con i dati acquisiti dai software per la gestione del personale. In Finivest, l’interfaccia del sistema permette anche al management di trovare sul portale aziendale informazioni puntuali sulle proprie risorse. Grazie alle soluzioni HR Zucchetti, Fininvest è riuscita a ottimizzare la gestione dei processi amministrativi riducendo del 30% il tempo dedicato ad attività a basso valore aggiunto. Per quanto riguarda i sistemi di business intelligence, i requisiti di qualità e sicurezza interni ed esterni ora sono soddisfatti grazie a un più efficace monitoraggio degli indicatori di performance di processo. L’ottimizzazione delle attività di interscambio informativo ha consentito la riduzione del 70% delle attività di front-end verso i dipendenti e del 50% di quelle di reporting».
Un’altra azienda dove questi strumenti sono stati implementati con notevoli benefici è Geox, al primo posto in Italia e al secondo nel mondo in termini di capi di abbigliamento venduti nel comparto lifestyle-casual, grazie a una rete di oltre mille e 100 punti vendita monomarca e undicimila multimarca in 103 paesi. La storia della BI in Geox inizia nel 2011. «Nel reparto risorse umane – spiega Fabio Andreazza, responsabile della pianificazione del costo del lavoro di Geox –avevamo diverse fonti di dati, un gestionale diverso da quello della parte corporate, ma soprattutto una cronica mancanza di centralizzazione, che ci costringeva a utilizzare informazioni molto eterogenee. Con l’introduzione di MicroStrategy, Geox ha ottenuto subito l’obiettivo di creare un’unica fonte di dati, migliorando in modo sostanziale la qualità delle informazioni. Il cambiamento porta con sé una sorta di “rigidità virtuosa”, quella standardizzazione dei database che è condizione necessaria per poter lavorare con informazioni univoche e certificate. Quando un’azienda si trasforma, assumendo una forte connotazione retail come è stato per Geox, analizzare e controllare il costo del lavoro diventa prioritario, ed è proprio ciò che i manager delle risorse umane hanno inteso fare con il progetto che ha coinvolto MicroStrategy. Oggi, gli utenti impiegano molto meno tempo di prima a inserire le informazioni vitali per il reparto, ma soprattutto il numero di errori è diminuito drasticamente (e i pochi che vengono commessi emergono molto prima). «La sfida – dice Andreazza – è stata portare questi fogli di calcolo enormi, pesanti centinaia di mega, nel sistema di BI, mantenendo però la consistenza dei dati. In questo modo e con poco sforzo, abbiamo potuto tenere sotto controllo anche costi normalmente nascosti (per esempio quello degli interinali, che prima venivano calcolati come dipendenti normali). Così riusciamo ad avere a disposizione una situazione del business più chiara, con analisi più di dettaglio, che permettono al reparto HR di garantire prestazioni migliori».
La visione dell’esperto
Per Barry Devlin, fondatore e principal di 9sight Consulting, che in Italia presenterà per Technology Transfer un seminario sull’argomento il prossimo autunno, i datori di lavoro hanno a lungo mantenuto e analizzato quantità significative di dati, in gran parte numerici, sui loro dipendenti: date di nascita, gli stipendi, le valutazioni delle prestazioni, la progressione di carriera, e così via. Ma in pochi sanno farne buon uso. «Questi dati invece sono ideali per l’utilizzo di tradizionali strumenti di BI. Per molte piccole e medie imprese, anche Excel può fare questo lavoro perfettamente. Naturalmente, assieme a questi dati sono anche da gestire un insieme di informazioni scritte – domande di lavoro, pratiche interne all’azienda e con enti esterni, e così via – che sono meno utilizzabili con la classica BI. L’ascesa dei social media ha portato a una ulteriore esplosione di informazioni testuali e perfino a informazioni video su dipendenti e candidati: tutto questo ci porta a guardare oltre gli strumenti di BI standard per grandi analisi dei dati. Queste nuove informazioni offrono evidenti opportunità per i responsabili HR e per i dipartimenti stessi di monitorare più da vicino i dipendenti: il text mining sulle informazioni online, unito alle informazioni trovate sui social media, consente – per esempio – l’eliminazione efficiente dei candidati meno qualificati, o comunque dei meno desiderabili. Tuttavia, un’attenta considerazione deve essere fatta sulla possibilità di discriminazione, intenzionale o non intenzionale, sulla base di razza, sesso, orientamento sessuale… Mentre la BI tradizionale opera a livello aggregato, tecniche come il text mining, l’apprendimento automatico e l’analisi predittiva su informazioni personali hanno algoritmi di “scoring” e risultati la cui logica di fondo è tutt’altro che trasparente. Queste informazioni sono solo la punta di un iceberg di dati personali che stanno cominciando a essere raccolti grazie all’Internet delle cose. Aziende di logistica, per esempio, già raccolgono dati provenienti da sistemi di monitoraggio dei motori dei camion e ne deducono gli stati personali e i comportamenti dei loro guidatori. I movimenti dei dipendenti con gli smartphone possono essere monitorati in continuo, consentendo inferenze su performance e attività. Riunioni e conference call possono essere registrate per monitorare i livelli di partecipazione e i contributi personali. Anche le tecniche di riconoscimento facciale e di analisi vocale possono essere utilizzate per registrare gli stati emotivi dei dipendenti. Mentre alcune di queste tecnologie possono sembrare estreme, appena la tecnologia scenderà di prezzo, e l’archiviazione dei dati diventerà sempre più conveniente, crescerà la tentazione di massimizzare il valore dei dipendenti a fronte della concorrenza sempre crescente. I tempi in cui i dipartimenti HR utilizzavano semplici strumenti di BI per classificare i dipendenti sulla base di salari e valutazione delle performance stanno passando rapidamente. Le possibilità che emergono dall’analisi dei big data e dall’Internet delle cose sfidano l’HR a fare un passo indietro e rivedere con urgenza considerazioni etiche e di riservatezza nell’utilizzare questi dati per valutare i candidati di lavoro o le prestazioni dei dipendenti o dei potenziali candidati. I confini tra misure reali e accettabili dovranno essere costantemente definiti e mantenuti».