Agenda Digitale: adesso o mai più

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I nuovi vertici dell’Agenzia per l’Italia Digitale si trovano di fronte a una sfida determinante: realizzare operativamente e in tempi certi gli obiettivi dell’Agenda Digitale

Il recente insediamento dei nuovi vertici dell’Agenzia per l’Italia Digitale impone un momento di riflessione sui contenuti e gli obiettivi della strategia italiana per l’Agenda Digitale. La strategia, nella versione pubblicata lo scorso aprile, individua – nel quadro dell’Agenda Digitale Europea – specifiche priorità e modalità di intervento collegate a risultati misurabili in base a specifici indicatori definiti a livello comunitario. Sicuramente, la definizione di un sistema di valutazione ex-post dei risultati raggiunti rappresenta un segnale importante della volontà di realizzare un percorso basato su target oggettivamente misurabili e immuni – per quanto possibile – da giudizi di valore legati a considerazioni puramente politiche. Rispetto a questo punto, restano ancora da capire le modalità operative di costruzione di un sistema di monitoraggio in grado di garantire terzietà e indipendenza nell’assessment dei risultati raggiunti.

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E-GOV E SICUREZZA – Scorrendo la strategia, emergono diversi obiettivi che meritano di essere brevemente commentati. I temi dell’identità digitale certificata per l’utilizzo sicuro dei servizi sulla rete, la digitalizzazione dei processi e l’interoperabilità dei servizi digitali della PA, la creazione di un ecosistema digitale che migliori la vita di cittadini e imprese sono sicuramente prioritari e meritevoli di un’azione coordinata tra i vari stakeholder. Per esempio, la realizzazione di un sistema di gestione dell’Identità Digitale potrà essere sicuramente lo strumento per far aumentare la fiducia dei cittadini nei servizi on-line forniti da soggetti pubblici e privati. Ad aprile 2015 è previsto l’avvio del sistema SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) che dovrà integrarsi con altri sottosistemi quali l’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente) e il progetto del DDU (Documento Digitale Unificato) che, su base nazionale, assolverà i compiti del documento di riconoscimento per l’accesso al sistema SPID sostituendo, nell’arco dei prossimi 7 anni, sia le vecchie carte d’identità che gli altri sistemi di accesso quali la carta nazionale dei servizi (CNS) e le carte regionali dei servizi (CRS). Memori proprio dell’esperienza (e del fallimento) di tanti progetti tra i quali, appunto, la carta d’identità elettronica, o del ritardo nell’adozione del protocollo informatico nelle PA, appare opportuno evidenziare che tali buoni propositi rischiano di rimanere tali quando si cerca di trasferirli nel mondo reale a scapito di interessi o – più semplicemente – di mentalità consolidate.

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OPEN DATA – Altro tema rilevante è quello degli open data, ovvero di come rendere accessibile e fruibile qualunque trattamento di dati a tutti i livelli della pubblica amministrazione in relazione ai compiti istituzionali di quest’ultime, al fine di sviluppare servizi innovativi per i cittadini. Con le ultime modifiche al Codice dell’Amministrazione Digitale è stato introdotto il principio degli “open data by default”. Le amministrazioni più riluttanti all’adeguamento stanno utilizzando interpretazioni restrittive della norma, ed è proprio qui che deve affermarsi nuovamente il ruolo del governo dell’Agenda Digitale nel creare le condizioni per cui i dati, sia pur nel rispetto delle normative concorrenti (es. privacy), vengano resi disponibili nei seguenti modi:

  • in formato disaggregato, permettendone a chiunque l’utilizzo attraverso forme di licenza “aperte”;
  • in formato digitale, elaborabile e documentato attraverso metadati;
  • gratuitamente o comunque a un prezzo pari ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.

Attualmente, in base alle informazioni fornite dall’Open Data Index, l’Italia si classifica al 15esimo posto tra i 70 paesi analizzati dalla Open Knowledge Foundation. I punti di forza dell’Italia sono le informazioni rese disponibili dall’ISTAT sulle statistiche nazionali e i dati sul bilancio dello Stato anche se meno efficiente per esempio è l’accessibilità ai dati sulla spesa pubblica. Ugualmente carenti appaiono i sistemi relativi ai dati elettorali e quelli relativi alle informazioni sulle imprese. In quest’ultimo caso, i dati raccolti e resi pubblicamente disponibili dal sistema delle Camere di Commercio italiane gestito da InfoCamere: non sono accessibili gratuitamente; non sono in formato digitale/elaborabile; non sono distribuiti con una licenza aperta; non sono aggiornati.

Questa situazione appare come un’evidente distorsione a svantaggio degli operatori di medie e piccole dimensioni, siano essi aziende, ma anche università e centri di ricerca. Per le aziende, questa situazione significa non poter fruire – a condizioni ragionevoli – di informazioni utili per lo sviluppo di campagne commerciali mirate o per creare servizi a valore aggiunto basati proprio sui dati delle altre imprese che vadano ad aumentare il livello di concorrenzialità del settore. Una crescita sostanziale nella disponibilità di dati aperti determinerebbe un network effect positivo, favorendo la multidisciplinarietà e la capacità di aggregare e analizzare molteplici e complesse sorgenti informative (big data) con strumenti di business intelligence.

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CONNETTIVITA’ E DIGITAL DIVIDE – Ultimi, ma non meno importanti, sono i temi delle infrastrutture a banda larga e ultralarga e la riduzione del digital divide. L’Italia si è fortemente impegnata al raggiungimento, entro il 2020, degli obiettivi più sfidanti del secondo pilastro dell’Agenda Digitale europea: Internet veloce e superveloce, ovvero di portare connettività a 30 Mbps a tutti i cittadini assicurando che almeno il 50% delle famiglie abbia una connessione Internet di oltre 100 Mbps. Per il nostro paese dove – secondo l’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni – la velocità media di connessione di 4,4 Mbps è la più bassa d’Europa, l’obiettivo è sicuramente ambizioso ma deve essere fatta maggiore chiarezza sulle misure di stimolo agli investimenti privati (credito di imposta?), i soli attivabili in questo momento storico. Altro aspetto rilevante è legato alla necessità di eliminare gli ostacoli di carattere burocratico che fanno da freno all’installazione delle infrastrutture per la banda larga. Mentre scriviamo questo articolo (luglio 2014) si è ancora in attesa del cosiddetto “decreto scavi” che faciliti e razionalizzi la vita degli operatori. Fondamentale infine, rispetto al tema della banda larga, è capire come il governo dell’Agenda Digitale si porrà rispetto al tema della neutralità della rete (net neutrality), ovvero di una rete che sia priva di restrizioni arbitrarie sui dispositivi connessi e sul modo in cui essi operano, e quindi dal punto di vista della fruizione dei vari servizi e contenuti di rete da parte dell’utente finale. Distorsioni rispetto a questo principio andrebbero a vantaggio esclusivo dei grandi operatori in grado di veicolare contenuti differenziati in base alla capacità degli utenti di sostenere i costi di occupazione della banda e quindi a detrimento dei piccoli operatori e degli utenti di fascia bassa, incidendo quindi negativamente sul digital divide.

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Insomma, anche grazie all’Unione europea, ci troviamo di fronte a quello che potrebbe essere l’ultimo treno utile per abilitare lo sviluppo digitale in Italia. Per prendere questo treno si devono coniugare velocità di azione e concretezza nel raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Francesco Bellini, presidente del Comitato Tecnico ICT di ANDAF e senior partner Eurokleis

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