Quanto saremmo disposti a pagare per lasciare che un altro utilizzi le nostre informazioni personali? Al massimo 2 euro, ma solo in Trentino
Da un’indagine effettuata tra l’ottobre e il dicembre del 2013 su una serie di uomini e donne tra i 28 e i 44 anni, si è capito che la privacy è importante, ma non così tanto di fronte ad un’offerta di pagamento per accedervi. E’ quello che hanno evidenziato i ricercatori di Telefonica e della fondazione Bruno Kessler e Disi Università di Trento che hanno monitorato lo smartphone di 60 volontari nei tre mesi dell’inverno del 2013. Ognuno degli esaminati ha ricevuto uno smartphone (e questo per alcuni sarebbe già un buon motivo per regalare i propri dati personali) con una serie di ricariche, chiamate, messaggi e accesso ad internet incluso. Il dazio da pagare era poter monitorare (non accedere) le attività effettuate dagli utenti nel corso dell’utilizzo giornaliero dello smartphone.
Il regno per un caffè e brioche
Non ci sarebbe stato niente di strano se l’esperimento si fosse fermato qui. Nel senso che più di una persona, pur di risparmiare sul traffico voce e dati per 3 mesi potrebbe acconsentire ad un’azienda di monitorare i “metadati” (non il contenuto di SMS, email, ecc) derivanti dall’uso del telefono. La particolarità è che quando si chiede alle persone di poter finalmente accedere ai dati prodotti, in cambio di una cifra in denaro, molte sottovaluterebbero la loro privacy assegnandole un valore anche di 2 euro. Jacopo Staiano, dell’Università di Trento, ha spiegato che ad un’ora prestabilita del giorno, il software installato sullo smartphone chiedeva alle persone quali notizie avrebbero potuto “vendere” all’azienda e a quale costo. Secondo uno schema di asta al ribasso, molte volte si scendeva persino a 2 euro, pur di ricevere un compenso in cambio delle informazioni prodotte. Quindi sta tutto qui il problema? Quanto chiedereste voi alla NSA?