Work-life blend: italiani primi in Europa nel sovrapporre lavoro e vita privata

Nuove abitudini nell’uso della tecnologia mobile sull’onda del work-life blend. La mancanza di un confine nell’utilizzo dei dispositivi mobili per attività personali e lavorative ha trasformato gli italiani in un popolo di “lavoratori hacker”, sollevando al tempo stesso importanti interrogativi sui rischi alla sicurezza dei dati

In Italia e nel resto d’Europa il work-life balance – l’equilibrio tra vita professionale e personale – sta lasciando il posto a un nuovo concetto, quello del work-life blend, la commistione tra vita lavorativa e vita privata: 9 italiani su 10, infatti, sovrappongono costantemente le due sfere dedicandosi a faccende personali durante l’orario lavorativo e svolgendo, di contro, attività lavorative nel tempo libero. Ciò è legato, in particolare, allo sviluppo di nuove competenze e abitudini sull’utilizzo dei dispositivi mobili, usati dai cosiddetti “lavoratori hacker” indipendentemente da – o nonostante – specifiche policy aziendali, sollevando notevoli rischi nell’ambito della sicurezza dei dati. Questo quanto emerso dallo studio People-Inspired Security condotto tra il 27 maggio e il 9 giugno 2014 dalla società di ricerca indipendente OnePoll e commissionato da Samsung su 4.500 persone in 7 Paesi europei (Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Belgio e Olanda).

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Secondo i risultati della ricerca, in Europa sono proprio gli italiani a sovrapporre maggiormente vita privata e lavoro: il 90% di loro (contro il 77% della media europea) si dedica a compiti professionali al di fuori dell’orario d’ufficio, mentre l’86% (contro il 75% della media europea) svolge attività personali sul posto di lavoro. In particolare, il 69% di chi si dedica alla propria sfera privata in ufficio passa fino a mezzora al giorno pagando bollette o consultando la propria banca online, mentre il 50% di chi lavora durante il tempo libero lo fa impiegando a questo scopo circa 45 minuti ogni giorno prima dell’orario ufficiale. A detta degli italiani, quest’abitudine costituisce un vantaggio: mentre il 43% dichiara di riuscire, così, a gestire meglio gli impegni personali, quasi la metà degli italiani (48%) afferma di poter svolgere una maggiore quantità di lavoro nel medesimo arco di tempo. Molto più semplicemente, il 34% considera il work-life blend un modo per ridurre lo stress.

In questo contesto, i dispositivi mobili svolgono un ruolo chiave. La metà degli italiani (49%) utilizza, infatti, il proprio smartphone personale anche a scopo lavorativo, mentre il 32% usa, al contrario, lo smartphone del lavoro anche nella vita privata. Non stupisce, quindi, il fatto che in Italia si abbiano in media 11 app personali – come Facebook, Whatsapp o Candy Crush – sui propri smartphone di lavoro e 9 app tipicamente professionali – come, ad esempio, Microsoft Outlook o Lync – sugli smartphone personali.

“Le persone stanno cercando di semplificare una vita indaffarata facendo leva sulle potenzialità dei dispositivi mobili e sulle proprie competenze tecnologiche per portare a termine lavoro e impegni personali in modo rapido ed efficiente – quando, dove e come vogliono”, ha dichiarato Rob Orr, vice presidente Enterprise Business di Samsung Europa. “Diversamente da quanto si potrebbe pensare, invece di sentirsi sovraccaricati d’informazioni, sembra che si sia sviluppata la capacità di fondere sfera personale e lavorativa a vantaggio di se stessi e delle aziende in cui si opera. Il rovescio della medaglia, tuttavia, è legato ai rischi sulla sicurezza dei dati”.

Lavoratori hacker

Lo studio rivela, infatti, l’esistenza in Europa dei cosiddetti “lavoratori hacker”: coloro che, forti di una certa dimestichezza in ambito tecnologico, utilizzano a scopo lavorativo lo strumento che preferiscono senza tenere conto di policy o restrizioni aziendali. Anche da questo punto di vista gli italiani raggiungono il primo posto in Europa: più di un terzo di loro (34% contro una media europea del 26%) hanno utilizzato i propri device per aggirare consapevolmente sul lavoro gli ostacoli imposti dalla propria società, ad esempio usando smartphone personali per accedere a siti web di file-sharing, che possono essere bloccati sui dispositivi di lavoro. In questo contesto, quasi la metà (46%) dei “Millennials”, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, sono “lavoratori hacker” – la percentuale più ampia rispetto a qualunque altro gruppo di età tra gli intervistati italiani.

“Questo studio suggerisce come molti lavoratori utilizzino la tecnologia per risolvere i problemi e migliorare la propria vita, esattamente come siamo soliti fare nella vita personale”, ha commentato Dimitrios Tsivrikos, Consumer and Business Psychologist presso la University College London. “I Millennials, che sono cresciuti insieme alla tecnologia mobile, fanno naturalmente da volano a questo trend, facendo uso della propria intelligenza digitale per sfruttare l’Information Technology a proprio vantaggio. Ricerche di questo tipo sono preziose, perché aprono la strada all’innovazione, sia comportamentale che tecnologica, che contribuisce al benessere generale della persona. Se non l’hanno già fatto, le aziende europee dovrebbero sviluppare policy lavorative e sulla sicurezza, oltre che strategie tecnologiche, che abbiano al centro il comportamento delle proprie persone”.

Più di un quarto degli intervistati in Italia (27%) dichiara, inoltre, di utilizzare il proprio device personale a scopo lavorativo pur non sapendo se sia effettivamente consentito, o non curandosene proprio: tra i lavoratori europei, gli spagnoli sono più propensi a mettere in atto questo comportamento (39%). A questo si aggiunge un dato preoccupante: più della metà degli intervistati (52%) non sa se la propria società possieda una policy di sicurezza mobile e in ogni caso, se è a conoscenza della sua esistenza, non la conosce o la ignora. In questo contesto, educare le persone ad un uso sicuro dei dati aziendali sta diventando sempre più importante, soprattutto alla luce del regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea previsto entro la fine dell’anno. L’ultima bozza del regolamento suggerisce multe fino a 100 milioni di euro – o il 5% del fatturato mondiale annuo a seconda di quale delle due cifre sia maggiore – per le aziende che dovessero infrangere le regole, ad esempio processando i dati in modo non sicuro.

“In un momento in cui lavoro e vita privata tendono sempre più a fondersi in un intreccio caratterizzato indissolubilmente dall’utilizzo di dispositivi mobili, i risultati della ricerca dimostrano la necessità di confini chiari nell’uso di dati di tipo lavorativo e personale. È per questo motivo che uno strumento come Samsung KNOX, la nostra piattaforma di sicurezza mobile, è così importante: tra le altre cose permette ai dipendenti di passare in modo sicuro sullo stesso device dalle applicazioni personali a quelle lavorative protette da password, a seconda delle esigenze”, ha dichiarato Sergio Ceresa, Head of Enterprise Business Division di Samsung Electronics Italia. “La buona notizia per le imprese italiane è che il 70% degli intervistati si dichiara più attento alla sicurezza rispetto ad un anno fa e che il 95% ha messo in atto comportamenti consapevoli, come ad esempio cambiare la password di lavoro (34%) o personale (43%). Le aziende sono chiamate a fare leva su questa crescente consapevolezza per fornire ai propri dipendenti la conoscenza e la tecnologia più adatti per sostenere l’evoluzione delle loro competenze digitali, garantendo la sicurezza IT dentro e fuori dall’ufficio”.

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